Turismo «irresponsabile»
Un primato non invidiabile
Da alcuni anni il Senegal è diventato la meta preferita del turismo sessuale femminile: nel paese africano è in continuo aumento il numero di donne europee e americane che scelgono di «divertirsi» con prestanti «accompagnatori» del posto.
Il sermone sulla bontà del muridismo fatto dal «grande marabut» di Touba ha soddisfatto varie mie curiosità, ma non ha fugato affatto alcune mie perplessità sulla società islamica in generale e su quella senegalese in particolare. Mi domando soprattutto come sia ancora possibile tollerare certe pratiche barbare come l’infibulazione, il matrimonio di bambine con vecchi e altre tradizioni che negano i diritti basilari della donna, destinata ad assolvere quattro compiti: servire e assecondare il marito, mettere al mondo e crescere i figli seguendo i dettami del marito.
Ancora più intrigante è il fatto che di fronte all’indottrinamento islamico di massa (non me ne vogliano i musulmani senegalesi), in una realtà così chiusa in se stessa, si possa concepire un turismo sessuale sfrenato come quello che si registra in Senegal!
La situazione del Senegal mi richiama alla mente quella dell’Iran, paese ogni giorno alla ribalta di giornali e telegiornali di tutto il mondo per la negazione dei diritti umani, violenze, soprusi e rigidità di ogni genere; eppure è uno dei paesi dove c’è il più alto tasso di ricostruzione dell’imene, di chirurgia plastica in generale, per non parlare della libertà sessuale, sperimentata solo nelle feste private, di nascosto dai pasdaran, i guardiani del popolo.
Sono convinta che le imposizioni dell’integralismo islamico, che vuole regolare ogni aspetto e comportamento della vita delle persone, non può che portare a realtà schizofreniche. Con ciò non voglio generalizzare: ho amiche di entrambi i paesi, i cui genitori non le hanno sottoposte a certi obblighi o violenze, ma ho potuto constatare quanto sia complicato per esse vivere in tali ambienti.
Ho sperimentato di persona come in Senegal sia impossibile per una donna bianca e sola, girare senza essere soffocata da continue richieste. Nell’Africa occidentale, a differenza che in Africa orientale, ho dovuto sempre trovare qualche persona che girasse insieme a me, non tanto perché fosse pericoloso stare da sola, ma semplicemente perché è impossibile fare il proprio lavoro. Girare per un mercato significa incontrare nugoli di ragazzi che vogliono venderti di tutto, e questo è normale, ma insistono e insistono, ti chiamano, ti bloccano, ti tirano, ti seguono per ore e ore, lamentandosi con esasperante logorrea.
Cerco di giustificare tale comportamento con l’errata concezione del bianco che si sono costruita, come colui che ha sempre tutto o che comunque possiede più di loro; sembra inutile tentare di convincerli del contrario. D’altronde ragazzi che nascono in una società dove devono sempre ubbidire a qualcuno senza se e senza ma, indottrinati da imam o marabut del proprio villaggio, che ascoltano i racconti di senegalesi emigrati e ritornati «ricchi» ai loro occhi, e magari all’età di 18-20 anni si ritrovano a Saly come «accompagnatori» di denarose donne bianche, più e meno vecchie, è normale che ci vedano solo in un certo modo.
Sono stata una settimana a Saly, la più famosa delle stazioni balneari del Senegal. Ho affittato un alloggio sulla spiaggia, proprio per capire come mai il Senegal, tra i paesi dell’Africa nera, sia la meta preferita del turismo sessuale soprattutto delle donne.
Un tipo di turismo ormai presente in varie località dell’Africa. Ne avevo già avuto sentore a Zanzibar alcuni anni fa, dove mi ero recata per godermi un po’ di mare, dopo sei mesi intensi di missione. Nell’albergo in cui alloggiavo, lavorava un ragazzo di nome Robert, che ogni giorno, in maniera molto garbata, mi chiedeva se volessi le fragole, se volessi fare un giro per i vicoli di Zanzibar. All’inizio scambiai la sua estrema cortesia con la gentilezza tipica dei tanzaniani, anche se mi chiedevo come mai, ai tropici, con l’abbondanza di frutta locale, avesse voluto offrirmi proprio le fragole.
Dopo qualche giorno, a colazione, assorta nel contemplare l’oceano, notai una signora americana, mia vicina di stanza, mano nella mano con un giovanissimo tanzaniano: riflettendo su quel particolare, cominciai a rivalutare gli atteggiamenti di Robert. Il Tanzania è così discreto su queste cose che mi sembrava troppo strano. Ma alla fine invitai Robert a sedersi al mio tavolo per fargli delle domande. E lui, imbarazzato, iniziò a rivelarmi che era venuto da Njombe a Zanzibar per lavorare, che l’albergo offriva ai clienti, compreso nel prezzo, anche un particolare extra, ossia un compagno o compagna. Ecco le fragole, mi dissi! Robert non sapeva più come farmi comprendere che lui era lì a mia disposizione e non riusciva a capire come mai una giovane ragazza bianca fosse venuta lì solo per il mare e per il sole. Dalla mia accettazione o meno dipendeva parte del suo stipendio, poiché gli albergatori, convinti che gli inservienti arrotondassero con le turiste, li pagavano pochissimo.
In Senegal invece quest’attività è molto meno riservata, per non dire spesso ai limiti del ridicolo. A Saly, ogni albergo o spiaggia privata ha una schiera di bagnini che non aspettano altro che arrivi la prima anziana. Paco mi racconta come tantissimi ragazzi siano sposati con delle nonne bianche.
Una mattina scendo in spiaggia sotto casa e mi ritrovo accerchiata da una decina di anziane signore, che con i libri sotto braccio e audacissimi bikini, non danno affatto l’impressione di essere lì per abbronzarsi. Nel giro di pochi minuti ecco l’assalto di frotte di giovani senegalesi altissimi, i corpi cosparsi di olio che evidenzia i loro fisici scultorei.
Cerco di trattenermi dal ridere quando vedo la mia vicina di camera, abbronzatissima e in topless, 60 anni passati da un pezzo, rossetto vermiglio sui denti più che sulle labbra, andare incontro a suo marito, un diciottenne, baciandolo appassionatamente. Una scena davvero imbarazzante.
Altrettanto comico è vedere i ragazzi discutere tra loro per conquistare l’ambita preda. Come trattenersi dal ridere quando li ascolti lanciarsi in frasi del tipo: «Ma che bella pelle; come sei carina; che begli occhi… » e magari la donna ha gli occhiali da sole? E tutto questo indirizzato ad anziane che cercano in tutti modi di vestirsi e muoversi come ragazzine.
La sera, passeggiando per la lunga spiaggia, è un continuo susseguirsi di ragazzi che si avvicinano per chiedermi se voglio compagnia, mentre osservo tante coppie di «nonne e nipoti», mano nella mano.
Parlando seriamente con Paco, vengo a scoprire come la realtà del turismo sessuale sia tutt’altro che comica, soprattutto per i danni che esso provoca nelle nuove generazioni. «Ci si può sposare con donne senegalesi, farsi una famiglia; ma anziché lavorare, ci si fa mantenere da donne che vengono in Senegal a divertirsi per qualche mese e, con un po’ di fortuna, ci si fa mantenere tutto l’anno».
Paco mi racconta che anche lui è stato sposato con una donna svizzera che aveva l’età di sua madre. Si erano conosciuti quando lui era molto giovane. E per qualche anno è stato il suo giocattolo, da usare come e quanto lei voleva. Alla fine la convivenza era diventata impossibile e Paco l’ha lasciata. Lei ha iniziato a tormentarlo, minacciando di suicidarsi, finché Paco è riuscito farle conoscere un suo amico.
La sera facciamo un giro anche per i vari locali di ritrovo e posso constatare come ce ne siano davvero per tutti: locali per omosessuali, locali per uomini in cerca di donne e per donne in cerca di uomini. Osservo quelli che potrebbero essere miei nonni e nonne. E tanti italiani. La chiamano trasgressione semplice. Con pochi dollari fai quello che vuoi. Fuori dai locali molti ragazzini, non avendo soldi per entrare, cercano di imitare i loro «modelli», provando a sedurre chiunque passi.
Generazioni di ragazzi e ragazze crescono seguendo questi modelli come dei valori. «Il Senegal non era così. Non c’è nemmeno voglia di sacrificio, di lavoro – mi spiega Rosalie -. Il pensiero dominante è farsi mantenere da parenti all’estero o da donne e uomini bianchi. Certo, non siamo tutti così, ma credimi, le percentuali sono diventate altissime, soprattutto nelle grandi città. Questa concezione del gigolo senegalese poi, non fa che rafforzare il potere dell’uomo in generale».
Non voglio concludere questa mia esperienza descrivendo solo realtà negative: il Senegal, come l’Africa in generale, è sinonimo di luce, musica, arte, spiagge, isole bellissime, gente cordiale. Tale genere di turismo non è affatto da generalizzare. Sono innumerevoli le organizzazioni e le inziative che promuovono il turismo responsabile in molte parti del Senegal. Iniziative che, unite a politiche e campagne del governo riescono a promuovere lo sviluppo del paese e ad arginare certi drammi come la diffusione dell’aids, diventato una pandemia in altri stati africani.
L’economia progredisce. Grazie alla creazione di infrastrutture, banche inteazionali, autostrada… il Senegal continua ad attirare molti investitori: con l’augurio che non siano tutti cinesi.
Romina Remigio