Rischio o ricchezza?
Dialogo tra le religioni
«Siamo nell’era della globalizzazione. Le religioni e i credenti non possono più ignorarsi a vicenda. L’attualità dimostra ogni giorno quanto peso abbiano i rischi dei conflitti religiosi. Per evitarli, per liberarci dei nostri pregiudizi, è assolutamente necessario dialogare» (rabbino Rivon Krygier).
In un’intervista pubblicata sul settimanale cattolico «Paris Notre-Dame», il rabbino Rivon Krygier, responsabile della comunità Adath Shalom (Assemblea della Pace), ha chiaramente indicato l’importanza e la necessità del dialogo tra le religioni: «Siamo nell’era della globalizzazione. Le religioni e i credenti non possono più ignorarsi a vicenda. L’attualità dimostra ogni giorno quanto peso abbiano i rischi dei conflitti religiosi. Per evitarli, per liberarci dei nostri pregiudizi, è assolutamente necessario dialogare. Credo inoltre – ha continuato – che tutti noi siamo consapevoli che esiste una certa relatività della verità. Non si tratta d’indifferentismo o di relativismo. Diciamo semplicemente che in ogni religione esistono autentici valori spirituali e che possiamo arricchirci con la spiritualità dell’altro proprio grazie al dialogo. La spiritualità degli altri credenti ci aiuta a comprendere la nostra religione e a costruire insieme quella frateità universale insita nel progetto stesso delle nostre rispettive religioni».
Oggi le librerie traboccano di libri e riviste sulle religioni, tanto da indurci a parlare di rivincita del sacro. Anzi, si può dire che non si può comprendere il mondo senza le religioni. Le religioni però fanno anche paura, perché vengono percepite come un pericolo. È il paradosso che stiamo vivendo. Fondamentalismo, fanatismo, terrorismo sono spesso associati a una forma pervertita di islam e ora anche di induismo, come dimostra l’uccisione di cristiani nell’Orissa, uno Stato dell’India. Naturalmente non si tratta del vero islam o del vero induismo praticato dalla maggioranza dei suoi seguaci. Le religioni – lo sappiamo bene dalla storia – sono capaci di bene o di male. Possono predicare la pace o la guerra. Va comunque precisato che non sono le religioni e il loro messaggio che provocano e scatenano la violenza o la guerra, bensì i loro seguaci e la cattiva interpretazione che essi danno del messaggio originale contenuto nelle religioni.
cristiani:
dialoganti per natura
Nel dialogo tra le religioni i cristiani, per la natura stessa del messaggio evangelico, sono direttamente implicati. Il nostro Dio è infatti un Dio che dialoga con le tre persone della Trinità e dialoga con gli uomini mediante la venuta tra noi di suo figlio, Cristo Gesù, fatto uomo come noi e per noi. Pietro negli Atti ricorda che «Dio non fa eccezioni di persone e che ogni nazione che lo teme e pratichi la giustizia trova accoglienza presso di Lui» (10, 35). Gli fa eco il Concilio Vaticano II nel preambolo del decreto Nostra Aetate: «Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta agli enigmi nascosti della condizione umana, che ieri, come oggi, turbano profondamente il cuore umano».
I cristiani perciò non possono disinteressarsi degli altri credenti, di qualsiasi religione essi siano. Per i cristiani il dialogo si fonda su un Dio trino e unico, rivelato agli uomini come un Dio che dialoga con la Trinità e con gli uomini. Ogni cristiano è perciò invitato a imitare questo dialogo di comunione e di amore. Paolo lo ricorda bene nella prima lettera a Timoteo: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità». A questo scopo egli ha inviato il Figlio unigenito Gesù come «l’unico mediatore tra Dio e gli uomini» (2, 4-5). Ecco perché Gesù occupa un posto unico nella storia religiosa. Egli è più di un saggio, è più di un profeta. Nella sua stessa persona egli è «vero Dio e vero uomo». È unico poiché è il Figlio di Dio e perché è vissuto in un luogo e in un’epoca specifica, condividendo la nostra condizione umana.
COME VIVERE IL DIALOGO?
Se il dialogo interreligioso fa parte del messaggio di Gesù e della fede del cristiano, che cosa si deve fare per viverlo giorno per giorno? Vi è dialogo quando persone o gruppi di persone in disaccordo fra loro su un determinato argomento che ritengono essenziale tentano di dirimerlo con dimostrazioni, prove e ragioni, invece di usare la violenza, la derisione, lo scherno e il disprezzo.
Il dialogo religioso consiste allora nel promuovere tutte le possibili relazioni positive con persone e comunità «allo scopo – come spiega Dialogo e annuncio, documento pubblicato il 19.10.1991 dal “Consiglio Pontificio per il dialogo interreligioso” – di imparare a conoscersi e ad arricchirsi vicendevolmente, pur obbedendo alla verità e rispettando la libertà di ciascuno» (n. 9). Ciò significa che il dialogo interreligioso inizia sempre dal rispetto dell’altro, della sua persona, delle sue convinzioni, della sua formazione, della sua cultura. Il dialogo vissuto in questo modo diviene anche occasione per approfondire le nostre convinzioni umane e religiose, per rivedere le nostre idee preconcette e spogliarci dei nostri pregiudizi inveterati.
DAL CUORE
La fede religiosa è vissuta soprattutto nelle profondità del proprio cuore. Ce lo insegna la Sacra Scrittura: «JHVH parla al cuore» di Israele (Os 2, 16), Gesù è «mite e umile di cuore» (Mt 11, 29), Maria «conserva nel suo cuore quanto ha visto e udito» (Lc 2, 19.51). Il cuore è una delle parole più importanti tra quelle che definiscono l’uomo biblico, immagine e somiglianza di Dio. E poiché gli uomini sono stati creati liberi di cercare Dio, essi sono liberi di sceglierlo o non sceglierlo. Lo afferma l’enciclica Redemptoris missio di Giovanni Paolo II quando «sottolinea che il dialogo interreligioso non è la conseguenza di una strategia o di un interesse, ma un’attività che ha le sue motivazioni, le sue esigenze e la sua propria dignità. Esso è richiesto dal rispetto che occorre avere verso tutto quello che lo Spirito ha operato nell’uomo». Grazie al dialogo la Chiesa intende scoprire «i semi del Verbo, le scintille di quella verità che illumina tutti gli uomini», semi e scintille che si trovano nelle persone e nelle diverse tradizioni religiose dell’umanità.
QUATTRO “DIALOGHI”
Questo dialogo si attua secondo quattro modalità. In primo luogo il «dialogo della vita», imparando a condividere le giornie e le sofferenze dell’esistenza umana con i membri di altre religioni. In secondo luogo il «dialogo delle opere», collaborando con gli altri a favore delle necessità fondamentali per la vita: cibo, pace, salute, ecc. La terza modalità di dialogo, quello «teologico», spesso riservato a specialisti, ci fa comprendere meglio la nostra eredità religiosa e ci permette di approfondire le Scritture delle altre religioni. Infine, il «dialogo tra differenti spiritualità» ci fa condividere le ricchezze che nascono dalla preghiera e dalla contemplazione di Dio.
UTOPIA?
Non è, questa, una visione semplicemente utopica, immaginaria, impossibile. Esistono uomini e nazioni che considerano il rispetto delle religioni come un valore essenziale per la pace nel mondo, per le proprie popolazioni e per tutta l’umanità. Benedetto XVI ha, per esempio, lodato l’apertura del popolo mongolo verso le altre religioni, definendolo un modello per l’intera umanità. Nel ricevere le credenziali del nuovo ambasciatore presso la Santa Sede (venerdì 29 maggio 2009), ha ricordato che l’attuale costituzione della Mongolia riconosce la libertà religiosa come «un diritto fondamentale», nonostante il regime comunista sia rimasto in carica per quasi 70 anni, fino al 1990, e la popolazione mongola di circa 3 milioni di abitanti sia per lo più composta di buddisti tibetani. Questa convivenza religiosa si può far risalire a Gengis Khan (1162-1227), il capo leggendario di tutti i mongoli, che estese il suo dominio fino a Pechino, al Tibet e al Turkestan invitando in Mongolia musulmani, cristiani e buddisti.
«Le persone che praticano la tolleranza religiosa – ha ricordato il papa – hanno il dovere di condividere la saggezza di questo principio con l’umanità intera, cosicché tutti gli uomini e tutte le donne possano percepire la bellezza della coesistenza pacifica e abbiano il coraggio di edificare una società rispettosa della dignità umana».
FRUTTI BUONI
Questa coesistenza è certo un bene per tutti gli uomini e tutte le nazioni. Alcune di esse, come quelle dell’Europa, l’hanno raggiunta dopo anni di guerre di religione o di laicismo esasperato; altre oggi sono un modello interessante di dialogo interreligioso, come per esempio la Bosnia-Erzegovina, dove, dopo un conflitto e una campagna di «pulizia etnica», convivono croati cattolici (17,3%), serbi ortodossi (13,3%) e musulmani bosniaci (49,2%). Nella sola Sarajevo, la capitale, coabitano musulmani, croati, serbi e una nutrita comunità di rom.
Gli accordi inteazionali degli anni Novanta hanno contribuito al progresso di questo paese dell’ex-Jugoslavia, introducendo nei loro ordinamenti una visione giuridica e religiosa ispirata ai principi della dignità della persona umana, che ha superato quella nazionalistica, parziale e strumentale. Segno che il dialogo è sempre possibile, anche in situazioni difficili e per alcuni aspetti ancora instabili.
Visitando la Terra Santa, la Palestina e la Turchia, il papa Benedetto XVI ha voluto incontrare i leader musulmani. Ha fatto lo stesso con gli esponenti della religione ebraica per favorire il dialogo interreligioso. Anche durante il suo ultimo viaggio in Africa (marzo 2009) ai rappresentanti musulmani del Camerun ha detto con evidente convinzione che «la ragione rifiuta ogni violenza religiosa». Egli sa che il futuro dell’umanità dipende dai nostri sforzi in questa direzione.
Qual è ora il nostro
compito?
Il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo tra le religioni, in un suo intervento a Malta, lo ha riassunto nei seguenti tre punti. Prima di tutto avere idee chiare sul contenuto della propria religione. L’ignoranza e l’ambiguità non permettono il dialogo. Ognuno di noi deve possedere una chiara identità e conoscenza di quello di cui e su cui vuole dialogare.
In secondo luogo è importante vivere seguendo le proprie convinzioni. Si deve essere dei credenti credibili. Nel dialogo interreligioso ci viene sempre chiesto «chi è il tuo Dio e come vivi la tua fede?». Questo tipo di dialogo avviene non tra le religioni, ma sempre tra credenti. Infine, non si deve aver paura di dire la verità circa la propria fede. Facendo così, il credente è onesto verso se stesso e verso gli altri. Non si può barare per arrivare a una facile conciliazione. Nello stesso tempo il messaggio religioso non è da conservare in una scatola chiusa. Lo si deve comunicare e testimoniare con coraggio.
Dialogo è dono
Dialogare è sempre una ricchezza e una grazia, un dono che viene da Dio. Tutti siamo chiamati a collaborare in diversa maniera con coloro che si sforzano di assicurare il rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali. Senza dubbio esistono anche dei rischi. Uno è quello del sincretismo, ma rimane un rischio relativo, nel senso che ogni credente che dialoga è portato ad approfondire la propria fede per rendersene ragione. Una grazia è invece la convinzione di poter dialogare, così come dialoga Dio con noi. Tutte le religioni possono aiutarci a raggiungere una migliore conoscenza della nostra identità cristiana. Nel documento Dialogo e annuncio, già citato, ci viene ricordato che «la pienezza della verità ricevuta in Gesù Cristo non dà al cristiano la garanzia di aver pienamente assimilato quella verità… Attraverso il dialogo i cristiani possono essere condotti ad accettare che la comprensione della loro fede debba essere purificata» (n. 49). E questo «per essere sempre pronti – come dice Pietro nella sua prima lettera – a spiegare meglio e a rendere ragione della speranza che è in noi». Tutti siamo cercatori di Dio e tutti possiamo aiutarci vicendevolmente a conoscerlo e amarlo.
Gianpietro Casiraghi