Dalle lettere di padre Beppe Svanera da Marialabaja
Padre Beppe Svanera, bresciano doc da Ome nella Franciacorta, è un veterano della Colombia e dell’Ecuador. Catapultato a Marialabaja nel 2005, è ormai di casa in una realtà che è un crogiolo di elementi contraddittori: schiavitù e libertà, violenza e pace, morte e vita, nero e bianco, Africa e America, agricoltura industriale e di sopravvivenza, grande fede e tradizioni ancestrali.
Lasciamoci guidare da lui alla scoperta di un mondo dove, nonostante tutto, si danza la vita.
NUOVA REALTà (Pasqua 2005)
Sono nuovamente in Colombia, vicino a Cartagena de Indias, alle prese con una realtà particolarmente interessante tra la popolazione afro-americana discendente degli africani portati qui come schiavi e in seguito mescolati con i bianchi dominatori e gli indios ormai decimati.
Proprio nel porto di Cartagena sono arrivato per la prima volta il 23 novembre del 1973, per proseguire poi fino ai fiumi e alla selva del Caquetà. Adesso ritorno al punto di partenza. Sono con due confratelli nella parrocchia di Marialabaja a un’ora di macchina da Cartagena. Nel paese vivono circa 25.000 persone; altre 40.000 vivono in una serie di paesini sparsi nella campagna e nella foresta. Il primo contatto con la gente e con il territorio mi ha permesso di intravedere il fascino e la complessità della situazione e della cultura afro-americana o afro-colombiana caratteristica di questa regione in cui il 95% degli abitanti ha chiare fattezze africane con un colore della pelle che va dal nero più accentuato al bianco abbronzato.
Marialabaja riflette tutte le contraddizioni della Colombia e non mancano i problemi dovuti in particolare alla violenza che, come altrove, ha provocato molti morti e tante famiglie allo sbando. Diversi piccoli quartieri sono sorti in questi ultimi anni con le famiglie dei «desplazados» o sfollati il cui futuro è molto incerto. Senza terra, senza lavoro, cercano di non lasciarsi morire e di continuano a sperare. Nonostante tutto è gente stupenda, di una vitalità incredibile, accogliente e amabile; può sembrare strano, ma ho l’impressione che nonostante tutti i problemi reali in cui vivono, non smetterà mai di ballare e di divertirsi. La vita continua e… la festa pure!
Missione vera (Luglio 2005)
Mi sono buttato a capofitto in questa nuova realtà ed è come se da sempre fossi vissuto qui. Tutto mi è diventato familiare. Mi trovo benissimo: la gente, il territorio, il clima e la missione mi sembrano ideali per le mie attuali condizioni. Marialabaja è missione vera, non tanto per l’ambiente fisico, ma per la gente e la sua cultura tipica tutta da scoprire. E anche per l’estrema povertà e ignoranza (soprattutto religiosa) che si tocca con mano.
Qui c’è tutto, ma a troppa gente manca tutto. La terra è ricca e produttiva: due o tre raccolti all’anno, frutta abbondante e verdura fresca sempre. Una zona collinosa e una pianura fertile per coltivazioni e allevamento del bestiame, una grande riserva di acqua dolce e un sistema di irrigazione ben organizzato. Tutta la produzione ha il mercato assicurato nelle due città vicine di Cartagena e Barranquilla.
Nonostante queste condizioni ottimali, tanta gente riesce appena a sopravvivere, troppi bambini sono denutriti, tante persone e famiglie intere sono costrette ad emigrare spinte soprattutto dalla fame e dalla violenza.
In questi ultimi anni c’è stata una violenza assurda con autentiche stragi di civili, donne e bambini, e molti sfollati. Le cause di questa guerra sono da ricercarsi nella lotta per il controllo del territorio (strategicamente ed economicamente importante) tra la guerriglia e i paramilitari che sostengono il governo.
Questo scenario richiede alla missione di trovare risposte sempre nuove e di dedicarsi a fondo alla formazione delle persone. Per questo abbiamo aperto un «Centro pastorale» per ritiri e convivenze, mentre pensiamo ad un «Centro giovanile», senza dimenticare interventi immediati come l’attività degli asili che ora accoglie 160 bambini dai tre ai cinque anni.
La missione è, prima di tutto e sempre, annuncio di Gesù Cristo che porta necessariamente a creare le condizioni del suo Regno di giustizia, amore e pace. Non manca quindi il lavoro. Chi opera è sempre e unicamente Lui, che «fa nascere il sole su buoni e cattivi» e ha cura di tutte le sue pecorelle. Per questo siamo fiduciosi e come sempre … sereni!
Gli asili (Natale 2005)
In questi giorni a Marialabaja si è concluso l’anno scolastico e anche noi abbiamo chiuso gli asili. Essi sono nati cinque anni fa dall’intuizione di p. Salvatore Mura per rispondere al gravissimo problema di molte famiglie impossibilitate a mandare i bambini a scuola. I corsi di formazione per le maestre, le visite alle famiglie e le riunioni con le mamme, in maggioranza abbandonate dai mariti e con diversi figli a carico, hanno favorito la realizzazione del programma. Abbiamo anche migliorato la struttura e gli strumenti didattici, e, soprattutto, assicurato ai bimbi il pranzo giornaliero che è stato una vera benedizione per questi piccoli, anche perché a Marialabaja la gente non ha l’abitudine di fare pranzo e si alimenta soprattutto la sera. I bimbi che adesso fanno pranzo e cena hanno cambiato veramente aspetto!
Ritmi (Pasqua 2006)
Gli studenti sono tornati a scuola segnando un ritorno alla normalità, ma ci sono altri ritmi che qui regolano la vita.
C’è il ritmo dei contadini che aspettano ansiosamente il tempo del raccolto per dare un futuro migliore ai figli senza dover emigrare. C’è il ritmo scandito dalla politica, o meglio dalla «politicheria», segnato dalle varie elezioni amministrative e politiche con grande sfoggio di discorsi e feste a base di birra e rum, balli e divertimenti di ogni tipo. Non si può dimenticare che il Comune (chiamato qui Municipio) è la più grande impresa del paese e con un sindaco amico si può sperare in un posto di lavoro, altrimenti non servono né i titoli né la capacità professionale.
Il ritmo religioso è scandito anche dalle feste principali come Natale e Settimana Santa, ma la festa che si vive con maggior intensità e partecipazione popolare è certamente la festa del santo patrono delle diverse comunità con manifestazioni religioso-culturali non facili da capire per noi, eppure assolutamente coinvolgenti e partecipate dalla nostra gente, che si esprime soprattutto con balli fino all’esaurimento delle forze.
L’invasione
Ogni tanto qualche novità scuote il paese e tutta la regione. Il 9 dicembre 2005, 936 famiglie hanno dato vita a una invasione (invasione: contadini senza terra che occupano terre demaniali non coltivate, ndr.). Molti si sono poi ritirati, ma la maggioranza aspetta, inutilmente per adesso, l’assegnazione di uno spazio per costruire almeno una capanna di fango e paglia in cui rifugiarsi. Nel mese di marzo la presenza della guerriglia appena fuori del paese ha suscitato un certo allarme, dileguatosi poi dopo le elezioni amministrative. La nostra presenza su tutto il territorio ci permette di renderci conto personalmente della complessità della situazione e della necessità di alcuni interventi per assicurare la tranquillità e il progresso della regione. Facciamo del nostro meglio annunciando il Vangelo e favorendo condizioni di vita dignitose con la nostra gente.
Intanto continuiamo con le diverse attività. Hanno ripreso a funzionare gli asili e abbiamo aumentato il numero dei bimbi (adesso 180) e delle maestre (9 più una cornordinatrice) soprattutto per venire incontro alle necessità delle famiglie dell’invasione proprio nei pressi dell’asilo san Martin de Porres. Con quelle famiglie vorremmo iniziare anche dei piccoli progetti produttivi che possano permettere un miglioramento della qualità di vita. Il sogno è di arrivare a tutti i bimbi poveri e denutriti del territorio con altri piccoli programmi, ma per adesso questo è un sogno proibito, anche se nessuno mai ci proibirà di continuare a sognare come sogna «Dio Padre di tutti».
BULLERENGUE (Natale 2006)
Con la fine dell’anno scolastico i 180 bambini degli asili parrocchiali sono tornati a casa per le vacanze. Riprenderemo in febbraio 2007 con 225 alunni.
All’alba di Natale si sono spente le voci e il rullare dei tamburi della tredicesima edizione del festival nazionale del «Bullerengue»: il ballo tipico di Marialabaja con profonde espressioni di gioia e stupore per la vita che nasce e per le mille situazioni quotidiane della nostra gente. È un ballo intensamente vissuto perché esprime i sentimenti più profondi e dà spazio alle espressioni più significative. Questo è vero soprattutto dei quartieri più poveri dove si sopravvive non per le risorse economiche che spesso non ci sono, ma perché si ama la vita e così anche le situazioni più banali del vivere quotidiano trovano un significato. L’amore alla vita è sempre più grande delle tragedie quotidiane e deve essere cantato e ballato senza stancarsi mai. Per questo il ballo si chiama «Bullerengue», parola che indica una festa piena d’allegria in omaggio alla fertilità della donna.
Fa impressione constatare questa estrema vitalità nella danza e nella festa e la passività quasi totale di fronte alle situazioni di ingiustizia e di ordinaria sopraffazione causate da politici e amministratori corrotti che mantengono questo territorio nell’abbandono e sottosviluppo.
Eppure qualcosa si muove…
Ci sono persone che dimostrano una certa sensibilità, gruppi che si organizzano, giovani che cominciano ad assumere con orgoglio la propria cultura afro e iniziano timidamente a parlare di diritti-doveri e di partecipazione civica. Punto di riferimento di questa nuova tendenza è senza dubbio il nostro «Centro della Consolata» dove si svolgono incontri di ogni tipo: dall’agricoltura alla catechesi, dall’organizzazione popolare ai progetti produttivi, in un clima assolutamente familiare coronato dal tradizionale e saporito «sancocho» (minestrone).
In questi giorni si sta realizzando una tappa della «scuola afro-giovanile» per creare una maggiore coscienza e identità culturale nei giovani del territorio. Contemporaneamente ogni giorno si danno il tuo gruppi di «desplazados» (sfollati) che fanno mattoni di cemento per cominciare a costruire le proprie case aiutati dalla diocesi e dalla parrocchia. È un progetto di «autocostruzione» di 82 stanze per altrettante famiglie che stanno rispondendo con vero entusiasmo all’iniziativa.
Baldoria (Pasqua 2007)
Si dice che: «Anticamente, durante la Settimana Santa, mentre i bianchi spagnoli si dedicavano alle celebrazioni religiose, gli schiavi neri rimanevano liberi e si dedicavano… alla baldoria». Sembra proprio che questa tradizione continui ancora oggi anche se con manifestazioni sempre nuove.
Nella mentalità popolare infatti queste sono giornate di festa e di allegria. Ciò non toglie che molte persone il Venerdì Santo partecipino con devozione alla Via Crucis animata dai giovani che rappresentano con molta creatività i testi dei Vangeli. L’ambiente è di grande festa familiare e comunitaria. Le famiglie si ritrovano e ricuperano antiche tradizioni con piatti tipici come la «icotea» (piatto a base di tartaruga d’acqua dolce), il riso e fagioli neri e una straordinaria varietà di dolci fatti in casa. Dall’ambiente famigliare si passa poi alla «caseta» dove si balla e abbondano birra e rum, accompagnati dalla musica assordante dei «picò», e una folla di giovani e meno giovani si danno appuntamento nel «Canal» dove passa l’acqua per l’irrigazione delle risaie e la festa si fa sfrenata con bagni, giochi, musica, balli, alcornol, droga e dove puntualmente… ci scappa il morto!
Naturalmente ci sono anche persone che vivono la Settimana Santa in forma differente partecipando alle celebrazioni religiose abbinate a manifestazioni culturali molto belle, ma fa veramente impressione la folla che si raduna per la baldoria.
Da parte nostra cerchiamo ancora una volta di capire il fenomeno «culturale» nei suoi aspetti più positivi perché «la Pasqua» è libertà e risurrezione e quindi «festa»!
FESTE PATRONALI
Spesso la festa esplode proprio per esorcizzare le tragedie vissute e i gravi problemi quotidiani come è successo in questi giorni nella festa patronale di «San Josè de Playon» dove la gente ha potuto finalmente esprimersi dopo anni di terrore. Negli anni passati ci sono state decine di morti e moltissimi avevano dovuto abbandonare tutto e rifugiarsi altrove, subito sostituiti da altri sfollati che venivano dalla campagna. Adesso, insieme e con calma, stiamo tentando di creare una nuova comunità. Sono nate le prime organizzazioni e un comitato ha iniziato proprio con la ricostruzione e abbellimento della chiesa come segno di una nuova vita per questa regione. Il comitato ha organizzato in ogni dettaglio la festa patronale di san Giuseppe con la partecipazione di tutta la popolazione: messa, battesimi, manifestazioni culturali, solenne (e interminabile!) processione con il santo patrono accompagnato dalla banda, la quale ha poi animato il «fandango», ballo in onore del santo durante tutta la notte. Da anni questo non succedeva e la gente ha potuto sfogare finalmente i sentimenti più profondi, preludio per un futuro diverso da costruire insieme affrontando i problemi di salute, educazione, organizzazione comunitaria, economia e sviluppo.
RITORNA P. SALVATORE
(15 luglio 2007)
La novità più grande e più gradita di questo periodo è stato il «ritorno» del P. Salvatore Mura nella nostra parrocchia. P. Salvatore, sardo di Cagliari, da queste parti è un personaggio conosciuto perché, salvo alcuni anni in Italia, ha quasi completato 50 anni in Colombia di cui cinque come parroco di Marialabaja. Gli è toccato il periodo di maggiore violenza e si è guadagnato la stima e l’affetto di tutti perché avevano trovato in lui un vero pastore. A lui si deve, tra l’altro, l’avvio degli asili, che adesso sono una gran bella realtà, come pure l’acquisto della terra per le casette degli sfollati e di un terreno che stiamo attrezzando per realizzare la «cittadella sportiva» per i tanti giovani del nostro territorio.
Le iniziative non mancano. C’è entusiasmo e partecipazione, anche se le risorse sono scarse. Si cerca di coinvolgere la nostra gente in un progetto di costruzione della comunità alla luce del Vangelo, mantenendo i valori tradizionali e assicurando una vita degna dei figli di Dio con una minima sicurezza alimentare nel rispetto dell’ambiente, pur nell’indifferenza, se non ostilità, delle autorità locali.
Forum per la terra
(3 novembre 2007)
È la stagione secca. Pioverà pochissimo. I ragazzi potranno godersi le sospirate vacanze. Toeranno tanti che sono dovuti emigrare da questa terra incredibilmente fertile dove però non hanno potuto costruirsi un futuro a causa di mille ragioni, ma soprattutto per copla di politiche sociali e agrarie perlomeno discutibili.
Stiamo organizzando un Forum per studiare la nuova preoccupante situazione che si sta creando nel nostro territorio. Il Goveo colombiano si è buttato, come molti altri paesi del Sud del mondo, nella produzione del biodiesel e dell’etanolo. Da un momento all’altro enormi estensioni di terra adatte all’agricoltura e da sempre utilizzate per produrre alimenti, sono state destinate alla produzione di biocarburanti. E lo chiamano «progresso»! Il Municipio di Marialabaja è entrato in questa nuova, pericolosa e discutibile realtà. Nel giro di pochi anni sono stati seminati quasi cinquemila ettari di palma da olio africana per l’estrazione del biodiesel con la prospettiva di raggiungere i diecimila ettari. Questo territorio che da sempre si è considerato la «dispensa alimentare di Cartagena» corre il rischio di non produrre a sufficienza neppure per gli abitanti della regione.
E all’orizzonte si affaccia un altro pericolo: altrettanti ettari destinati alla coltivazione della canna da zucchero per produrre l’etanolo, l’altro biocarburante richiesto sul mercato internazionale.
Naturalmente questi progetti sono presentati dalla propaganda ufficiale come la soluzione ideale ai problemi della nazione e dei contadini colombiani. Si fanno mille promesse e si moltiplicano le offerte di ogni tipo ma la preoccupazione aumenta dal momento che, di fatto, diminuiscono gli alimenti e aumentano i prezzi…
la minaccia delle monocolture
Come missionari, anche se non siamo tecnici né economisti, siamo realmente preoccupati, e non bastano certo le dichiarazioni dei politici che promettono: «Non toccheremo un centimetro quadrato di selva. Non penetreremo la frontiera agrícola colombiana. Useremo una terra che è praticamente inefficiente».
Marialabaja, per esempio!?… Terra lussureggiante e fertilissima, destinata da sempre all’agricoltura tradizionale, con un sistema d’irrigazione tra i migliori in Colombia. Una vera pazzia; il prezzo da pagare al «progresso» e ancora una volta…fame! Il Vescovo Pedro Casaldaliga afferma che ci sono solamente «…due assoluti: Dio e la fame!»
Vi posso assicurare che non è per niente piacevole vedere continuamente bambini denutriti e dover necessariamente concludere che i responsabili siamo tutti noi infatuati del progresso e schiavi di un capitalismo selvaggio e distruttore. Non sarà certamente il Forum indetto dalla parrocchia a risolvere questi problemi. Speriamo comunque di creare una certa sensibilità che aiuti a prendere coscienza e trovare qualche alternativa che possa favorire la nostra gente. Intanto continuiamo con piccole iniziative per mantenere la speranza e magari indicare il cammino da seguire per un vero benessere.
Con il vostro aiuto, oltre agli asili sta funzionando la piccola fattoria della Consolata, trasformata in un autentico giorniello, modello di coltivazioni tradizionali e piccolo centro per la trasformazione dei prodotti locali (riso, granoturco, frutta…). È la sede per i corsi di formazione di animatori e catechisti del paese e della campagna per costruire, alla luce della Parola di Dio, un mondo a misura d’uomo. Noi ci proviamo nella speranza che ancora una volta il piccolo Davide abbatta il gigante Golia! Naturalmente «se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i …manovali».
Continuiamo con le attività pastorali di sempre. Insieme cerchiamo di applicare e aggioare un progetto pastorale che risponda ai bisogni della nostra comunità afro.
NECROCARBURANTI
(Natale 2007)
Abbiamo realizzato il Forum lunedì 10 dicembre. Domenica 16 dicembre ci siamo riuniti in assemblea con la partecipazione dei rappresentanti dei 35 villaggi che compongono la parrocchia di Marialabaja. La conclusione del Forum non poteva essere più chiara: per la nostra gente e per il nostro territorio non si può parlare di biocarburanti (bio=vita) ma di necrocarburanti (necro=morte). Le ragioni sono molteplici e complesse, ma tutte conducono a politiche nazionali e inteazionali, basate sul solito capitalismo selvaggio che disprezza la vita delle persone e distrugge le risorse del pianeta per affermare gli interessi egoistici dei pochi di sempre.
Purtroppo però ci rendiamo conto che tutti siamo complici, e quindi responsabili, a causa del nostro stile di vita che esige tutte le comodità offerte dalla società in cui viviamo. Sarà possibile vivere diversamente, e quindi con sobrietà, a Marialabaja, a New York o a Milano senza divorare le risorse del creato? Non sarà forse anche questa la sfida del Povero che nasce a Betlemme e di un Natale che si rinnova ogni anno perché «tutti abbiano vita e l’abbiano in abbondanza»? Probabilmente dovremmo lasciarci evangelizzare dalla nostra gente, dai poveri che nonostante tutto rimangono aggrappati alla vita e ai valori veri.
Senso della missione
(Pasqua 2008)
Qualsiasi bilancio naturalmente bisogna farlo alla luce della Pasqua, morte e risurrezione. Apparentemente la tragedia di Gesù appare come un fallimento, ma per noi tutti esplode la vita. La Risurrezione si afferma come la dimensione ultima della nostra esistenza e pervade la storia dell’umanità destinata a risorgere con Cristo per una nuova vita di giustizia, amore e pace. La missione va in questa direzione, vuole trasformare un mondo di morte nel trionfo della vita. Protagonista è sempre e solo il Signore risorto che si manifesta attraverso chi lo segue e lotta per un mondo diverso, qui e dappertutto, perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza.
Nelle cosiddette «missioni» forse questo è più evidente perché i contrasti e le ingiustizie sono più palesi, ma la «missione» è per tutti sempre e dovunque.
Un bilancio provvisorio
In questi anni abbiamo accompagnato come missionari la nostra gente di Marialabaja, insieme abbiamo tentato di fare qualcosa e in parte pensiamo di esserci anche riusciti. Nella direzione giusta? Crediamo di sì. Con grandi risultati? Sicuramente no, anche perché non si può pensare di fare in tre anni quello che non si è fatto in trecento. A volte ci domandiamo e spesso ci chiedono: Vale la pena venire dall’Italia? Non è meglio lasciare che la gente viva come ha sempre vissuto? Perché disturbare e creare altre esigenze? Ogni popolo ha la sua cultura e la sua religione e bisogna lasciarlo vivere in pace. Se poi è vero che ci sono tanti problemi, è vero anche che esistono organizzazioni che lavorano per questa gente. In fin dei conti ha senso oggi essere missionari?
La risposta difficilmente può essere teorica. Per noi nasce da quello che viviamo e contempliamo nella Settimana Santa. La missione di Cristo si realizza attraverso la passione, morte e risurrezione per una novità di vita offerta a tutti e da realizzare insieme. Luis, il bambino che cresce nell’asilo e riceve un pranzo caldo, attenzione e affetto. Yoiner, il giovane che comincia a credere nel suo futuro. Yaneth, la donna sempre più cosciente della sua dignità. Julio, lo sfollato che riprende fiducia e si sforza per ricostruirsi una vita. Quando ci identifichiamo con le sofferenze e i bisogni della nostra gente, in particolare dei più poveri, e insieme cerchiamo soluzioni, viviamo la Pasqua e il suo mistero di morte e risurrezione. Questa è la missione. Il grido giornioso che il Signore è risorto e ha vinto definitivamente la morte. Qui e dappertutto. Anche da voi!
(1 – continua)
Gigi Anataloni