A due anni dal viaggio di Benedetto XVI
A quasi due anni dalla visita di Benedetto XVI nei paesi dell’Africa occidentale (17-23 marzo 2009) pochi si sono domandati quali sono stati i suoi sentimenti e quali i contenuti dei suoi messaggi. Ci accontentiamo di essere spettatori alla televisione o di leggere sui giornali la cronaca della sua accoglienza e delle dimostrazioni di gioia e di affetto che gli sono state riservate. Non sempre invece ci chiediamo lo scopo del suo viaggio apostolico e quali problemi sente dentro di sé quando pensa all’Africa e alle difficili condizioni della sua gente.
Proviamo allora a ripercorrere insieme questo suo primo viaggio «missionario» africano da pontefice che ha cura di tutte le Chiese, anche le più dimenticate, come sono in genere quelle di alcune parti del continente africano, per scoprire così quali sono i problemi che tormentano l’Africa.
«Con questa visita – ha ricordato prima di partire da Roma per il Camerun e l’Angola – intendo idealmente abbracciare l’intero continente africano: le sue mille differenze e la sua profonda anima religiosa; le sue antiche culture e il suo faticoso cammino di sviluppo e di riconciliazione; i suoi gravi problemi, le sue dolorose ferite e le sue enormi potenzialità e speranze. Intendo, inoltre, confermare nella fede i cattolici, incoraggiare i cristiani nell’impegno ecumenico, recare a tutti l’annuncio di pace affidato alla Chiesa dal Signore risorto». «Penso in particolare – ha ancora aggiunto – alle vittime della fame, delle malattie, delle ingiustizie, dei conflitti fratricidi e di ogni forma di violenza che purtroppo continua a colpire adulti e bambini, senza risparmiare missionari, sacerdoti, religiosi, religiose e volontari».
«Io amo l’Africa», ha detto ai giornalisti mentre il Boeing 777 dell’Alitalia lo portava da Roma a Yaoundé in Camerun. «Ho tanti amici africani già dai tempi in cui ero professore. Amo la gioia della fede, questa fede giorniosa che si trova in Africa».
Con la sua prima visita in Africa (marzo 2009) il papa ha infatti voluto promuovere la fede che caratterizza la Chiesa africana. Ma poiché la Chiesa, qualsiasi Chiesa, non è mai una «società perfetta», ha fatto anche appello a «una purificazione» non tanto delle strutture estee, quanto piuttosto del cuore e della coscienza, perché le strutture sono il risultato di ciò che è il cuore.
Ha inoltre parlato dei moltissimi movimenti religiosi, che nascono come funghi in varie parti del continente, e ha ricordato che la fede cristiana è frutto di un annuncio sereno e giornioso, perché propone un Dio vicino all’uomo e dà vita a una grande rete di solidarietà umana e cristiana. Le stesse religioni tradizionali africane si aprono sempre più al messaggio evangelico, perché vedono che il Dio dei cristiani non è un Dio lontano, ma un Dio vicino a ciascuno di noi.
Durante il suo viaggio in Africa il papa ha ancora affrontato l’impatto che l’attuale crisi economica può aver avuto nei Paesi poveri e l’importanza dell’etica per un retto ordine economico mondiale. La causa della recessione – ha sottolineato – è soprattutto di carattere etico, perché «dove manca l’etica, la morale, non può esserci correttezza di rapporti». Questo vale non soltanto per i paesi più ricchi, ma anche per l’Africa, dove la corruzione è uno dei mali da sconfiggere.
È, quello di combattere la corruzione per il bene della gente, un compito quanto mai urgente e necessario di qualsiasi governo, ma lo è soprattutto di coloro che si dicono cristiani. «Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione e all’abuso di potere – ha affermato il papa rispondendo alle parole di benvenuto del presidente della Repubblica camerunese, Paul Biya – un cristiano non può mai rimanere in silenzio». Il messaggio del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza, «così che la luce di Cristo possa brillare nel buio della vita delle persone». In Africa, come pure in tante parti del mondo, «innumerevoli uomini e donne anelano a udire una parola di speranza e di conforto».
In un tempo di scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di cambiamenti climatici, l’Africa soffre in modo sproporzionato rispetto ad altri continenti. Un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia, in particolare dell’Aids, mentre il traffico di esseri umani, specialmente di donne e bambini inermi, sta diventando una modea forma di schiavitù, e i «conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e vedove».
Nelle parole del papa si percepiscono sentimenti di amarezza, di angoscia profonda, di rammarico e sofferenza. Egli chiede a gran voce riconciliazione, giustizia e pace. È quanto la Chiesa offre: «Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio, non rivalità interetniche e interreligiose, ma la rettitudine, la pace e la gioia del Regno di Dio, descritto in modo così appropriato da papa Paolo VI come civiltà dell’amore».
Appena toccato il suolo africano per la prima volta durante il suo pontificato, Benedetto XVI si è fatto portavoce del grido di giustizia e di pace che risuona in tutto il continente. Citando una frase di un sacerdote camerunese, il presidente Biya, che ha accolto il papa ed è al potere dal novembre 1982, si è chiesto «Come è possibile non ascoltare il grido di dolore dell’uomo africano?». È il grido di molte donne rimaste vedove e di innumerevoli bambini che sopravvivono come possono per strada.
Per questo il papa in Africa è stato accolto come una «benedizione». Lo ha detto il grande iman di Yaoundé, lo sceicco Ibrahim Moussa: «Nel Corano il profeta Maometto ci raccomanda di accogliere bene gli stranieri, perché spesso vengono in pace. Per noi, quindi, l’arrivo del papa è una benedizione». Lo sceicco ha perciò rivolto un appello ai musulmani invitandoli a «rispettare la religione degli altri e a unirsi per accogliere questo grande uomo». Anche le comunità protestanti del Camerun hanno considerato l’arrivo del papa «una grazia che non può lasciare un cristiano indifferente» e hanno ritenuto il suo arrivo «un avvenimento di grande portata spirituale».
Giampiero Casiraghi