110 anni di missione, per guardare in avanti
Il 29 gennaio scorso i Missionari della Consolata hanno quietamente celebrato i 110 anni di fondazione, avvenuta nel 1901 per volere della Madonna Consolata, come ha sempre insistito a dire il fondatore di fatto, il Beato Giuseppe Allamano. 110 anni sono troppi per la vita di un uomo, ma molto pochi nella storia bimillenaria della Chiesa. Eppure hanno attraversato uno dei periodi più intensi e fecondi dell’epopea missionaria modea. Nonostante questo, attorno all’avvenimento non si è respirato un’aria di celebrazione o di festa, c’era piuttosto un atteggiamento di riflessione e ricerca. Ci si è volti sì al passato con riconoscenza, ma è al futuro che si guarda cercando di capire dove il Signore sta guidando la sua Chiesa.
L’Istituto, è non solo, deve ripensare profondamente il proprio ruolo nella Chiesa tenendo conto del cambiamento epocale in atto: non solo è cambiata la geografia della missione, ma la Missione stessa! Il cambiamento è così radicale che c’è chi teorizza addirittura la fine degli Istituti Missionari come tali perché diventati ridondanti (se non un ostacolo) in una Chiesa che – stupenda riscoperta del Concilio Vaticano II ! – è tutta missionaria per natura sua.
Quanto sta succedendo non è niente di nuovo. Sono anni che si riflette, discute e ricerca su queste tematiche: che senso abbia la Missione oggi e quale sia il ruolo dei missionari ai nostri giorni. Forse di questi tempi il processo è diventato più urgente a causa di fattori molto contingenti quali la scristianizzazione accelerata del mondo occidentale concomitante con l’invecchiamento del clero, la diminuzione delle vocazioni e l’impossibilità di mantenere il tradizionale numero di attività pastorali, religiose e caritative. Gli effetti di questa situazione sono sentiti da tutti, se non altro perché in tutte le diocesi italiane è in atto una ritrutturazione e ridistribuzione del clero senza precedenti, con accorporazioni, unificazioni e chiusura di parrocchie che spesso lasciano i fedeli smarriti e amareggiati.
In questo contesto anche i missionari (quelli classici, nati per andare nelle parti più remote del mondo) sono messi in discussione. La missione è ovunque! Che senso ha andare ad annunciare il Vangelo ai «lontani» e poi lasciare che i «vicini» lo mettano nel cassetto (quando va bene) o addirittura lo buttino nella spazzatura? In più, il nuovo esercito di preti e suore che vengono dal Sud del mondo a riempire i vuoti nelle nostre case di cura, ospizi e parrocchie, sono davvero missionari o sono solo usati come tappabuchi per mantenere un sistema superato? Domande queste che non si possono evitare, ma la cui risposta non è certo facile. Questioni che gli stessi missionari e missionarie della Consolata – queste ultime appena uscite dalle celebrazioni centenarie – si pongono continuamente e su cui sono chiamati a dare risposte efficaci durante i Capitoli Generali che si svolgeranno nei prossimi mesi di maggio e giugno a Roma.
Il cambiamento in atto non ci deve spaventare. Cambia il modo di fare Missione, ma la ragione fondamentale della Missione è sempre la stessa: Gesù Cristo. La Missione ha senso solo in Lui, missionario del Padre nello Spirito Santo. E lo Spirito Santo, nei secoli, ha dimostrato di avere una fantasia creativa incredibile, senza mai lasciarsi bloccare né dalle inadeguatezze dei missionari, né dalle prepotenza delle opposte forze in campo, né dal progresso tecnologico e scientifico. Da parte nostra basterebbe forse piantarla di lagnarsi, di fare le vittime e i rassegnati, di cercare i colpevoli, di aspettare l’ultima elaborazione teologica o soluzioni magiche, e – a costo di sembrare ingenui – vivere la fede che abbiamo ricevuto in dono, ciascuno secondo il proprio stato e carisma, attraverso una testimonianza di amore fattivo che sia contemplazione, giustizia, pace, vicinanza alla persona e (perché no?) anche impegno politico nuovo. Il «mondo», in fin dei conti, ha «fame» di Gesù. Ma è davvero Gesù, il Cristo, che oggi annunciamo?
Gigi Anataloni