Parola di sufi

L’intervista

Elvio Arancio, artista e ceramista torinese, nato nella medina di Tunisi, è un musulmano sufi. Sposato, con tre figli, impegnato nel dialogo interreligioso, in questa intervista ci spiega cos’è il sufismo e le ragioni della sua conversione all’islam, in particolare, alla sua corrente mistica.

Elvio Arancio, come descriverebbe il sufismo?
«Il sufismo, tasawwuf, in arabo, è la pratica di ricerca mistica specifica della cultura islamica.
È la scienza della conoscenza diretta di Dio; le sue dottrine e i suoi metodi sono derivati dal Corano, e anche se ingloba in sé influssi ellenici, induisti e buddisti, l’essenza del sufismo è prettamente islamica.
Potremmo definirlo un metodo islamico di perfezionamento interiore, di ricerca dell’equilibrio, di fervore profondamente vissuto e che gradualmente vuole ascendere all’oggetto d’amore: Dio.
Possiamo affermare che le componenti della dottrina sufi sono l’amore totale per Dio; la gnosi, che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, certi della Sua esistenza e consapevoli dell’impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l’ascesa mistica attraverso una serie di stati spirituali e stazioni del percorso evolutivo, integrati dalla recitazione, o ricordo, dei nomi di Dio (dikhr, in arabo), e dall’estasi».

Che differenza c’è tra asceta, adoratore e sufi?
«L’asceta è colui che si allontana dai beni del mondo e dalle sue cose piacevoli; il sufi non rifugge dall’esperienza matrimoniale e quindi dalla sessualità.
L’adoratore è colui che pone attenzione nell’osservare gli atti di adorazione – alzarsi di notte per pregare, compiere le preghiere canoniche (as-salat), e così via. Il sufi, dunque, è sia un asceta che un adoratore. Niente può distrarlo da Dio. Egli è anche un adoratore per il suo costante rivolgersi a Dio e il suo legame d’amore con Lui. Adoriamo Dio perché Dio è “adorabile”, non per desiderio, né per paura.
La santa sufi Rabi’ah al-‘Adawiya diceva: “Oh Dio, se io Ti adoro per paura del Tuo fuoco infeale, gettami dentro. E se Ti adoro per il desiderio del Tuo paradiso, impediscimi di entrarvi. E se Ti adoro per amore del Tuo nobile volto, non proibirmi di vederTi”».

Quando è diventato musulmano e sufi?
«Appartengo all’ordine sufi della Jerrahi-Halveti d’Istanbul dal 1999. Poiché il nostro maestro Tugrul Inancer Efendi è anche un maestro della Mevleviya (in Occidente sono chiamati “Dervisci roteanti”), i nostri rapporti con questa importante confrateita, fondata dal grande poeta mistico Jalal al-Din Rumi, sono intensi e frequenti.
Sono sempre stato interessato alla letteratura mistica, da quella cristiana a quella dell’Oriente Zen, finché sono arrivato ai libri sufi.
Un giorno, leggendo un testo del grande teologo Ibn Arabi mi colpirono questi versi:
“Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma / è un pascolo per le gazzelle, / un convento per i monaci cristiani / è un tempio per gli idoli,
è la Ka’ba del pellegrino / è le tavole della Torah,
è il libro del Sacro Corano. / Io seguo la Religione dell’amore, / quale mai sia la strada/ che prende la sua carovana: / questo è il mio credo e la mia fede”.
È stata una folgorazione: ho cominciato ad approfondire la conoscenza del sufismo e a cercare i sufi, e… sono arrivato in Turchia».

Che organizzazioni sufi ci sono in Turchia e cosa fanno?
«Il sufismo permea profondamente il mondo turco e mi riferisco non solo allo Stato, ma a tutta la vastissima area asiatica turcofona che va dall’Anatolia alla Cina occidentale. Infatti, le confrateite sufi, sin dall’800 d.C., praticamente dai primi secoli della diffusione dell’Islam, hanno diffuso la fede musulmana alle tribù nomadi e ai clan guerrieri delle steppe asiatiche.
Furono le confrateite sufi ad integrare poi nel grande Impero ottomano, che si espandeva per tutta l’Eurasia, le tante etnie e le diverse provenienze religiose dei popoli che ne facevano parte. Ad esempio, i corpi militari furono quasi tutti affiliati all’ordine sufi Bekhtashiya, gli intellettuali e gli studiosi in genere alla Mevleviya e alla Jerrahi-Halveti, altri alla Naqshbandiya, e questo solo per citare gli esempi più conosciuti.
È negli ordini sufi che nasce la letteratura turca; è sulle pagine dei maestri delle confrateite che si forgia la sensibilità di questo popolo/nazione».

Perché adesso ai sufi è vietato di dichiararsi tali in pubblico?
«Nel 1925, Atatürk soppresse gli ordini religiosi sufi. Da allora essi sono vietati, o meglio, non autorizzati, ma non per questo sono meno presenti e attivi.
Tuttavia, mi sembra che sia in corso un cambiamento e auspico una riapertura imminente ufficiale degli Ordini: un ritorno alla luce del sole.
È infatti difficile conoscere la Turchia senza conoscere le confrateite religiose che ne hanno formato e alimentato il tessuto sociale, e alle cui fonti ancora si rivolgono intellettuali, donne e uomini di ogni ceto sociale».

Cosa pensa della Turchia attuale e del presidente Erdogan?
«Ritengo che il governo guidato da Erdog˘an sia una delle realtà più interessanti del panorama internazionale, e questo per varie ragioni: il Paese è passato da una rovinosa crisi economica all’attuale fase di sviluppo; è in atto un confronto tra il partito di governo, l’Akp, e il potere militare, sul tema della laicità dello Stato; lo spostamento delle alleanze nel Vicino e Medio Oriente: sostegno alla causa palestinese e presa di distanza dalle politiche d’Israele.
Vale la pena ricordare la nomina del nuovo Ambasciatore turco Kenan Gürsoy presso la Santa Sede: si tratta di un personaggio di notevole cultura, un grande accademico e profondo conoscitore del sufismo, ed egli stesso discendente di una famiglia di tradizione sufi. Ritengo che la scelta del governo turco di assegnargli l’importante carica sia espressione di un desiderio di dialogo aperto e costruttivo nei confronti della Chiesa cattolica, anche in considerazione dell’amicizia che legava da molti anni il neo-ambasciatore a monsignor Padovese, il prelato ucciso a giugno in Turchia».
Cosa pensa del referendum costituzionale che si è svolto il 12 settembre?
«Sono profondamente convinto che il peso dei militari in Turchia andasse ridimensionato: un esercito che non dipende dal governo, da un ministero della Difesa, che con la scusa della tutela della laicità dello Stato condiziona la vita democratica della nazione, è inaccettabile. La nascita della repubblica turca di Kemal Atatürk comportò l’emergere di due miti: in primo luogo, quello dello stesso “laicissimo” presidente, nei cui confronti si espresse una dogmatica e incondizionata devozione che potremmo assimilare, paradossalmente, ad un vero e proprio culto religioso, e poi, quello dell’esercito. Da allora, fino ad oggi, l’apparato militare è sempre stato visto come “un’istituzione sacra che protegge i sacri valori dei Turchi”. Tale legittimazione ha permesso ad esso di intervenire ripetutamente nelle vicende politiche del Paese.
Credo che la scelta del popolo turco rappresenti una svolta democratica, importante quanto necessaria.
Inoltre, Erdog˘an esce dalla consultazione referendaria estremamente rafforzato, soprattutto in vista delle elezioni politiche del luglio 2011, alle quali, non dimentichiamoci, faranno seguito, l’anno successivo, le prime elezioni presidenziali dirette nella storia turca».

Angela Lano

Angela Lano

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