Cana (16) Le nozze di cana, il futuro è dietro di noi
Il racconto delle nozze di cana (16)
L’indicazione temporale che apre il racconto di Cana è preciso e delimitato: «E nel terzo giorno» (Gv 2,1). Per comprenderne la portata straordinaria è necessario percorrere il passaggio logico degli eventi e non solo cronologico. Questa indicazione di tempo, così puntuale, come abbiamo più volte osservato, è la conclusione della prima settimana di attività di Gesù, descritta nel capitolo primo e culminante nella festa nuziale di Cana e, nello stesso tempo, è un preciso riferimento alla prima settimana della creazione, con cui Dio inizia la sua attività al di fuori di sé, come è descritta nel capitolo primo del libro della Genesi. Aggiungiamo che in Gv la prima settimana di attività pubblica di Gesù è strettamente connessa anche all’ultima settimana della sua vita terrena, che culmina nella crocifissione (Gv 12,1-19,42). Abbiamo dunque tre settimane da connettere e armonizzare: quella iniziale di Gesù, quella della creazione e quella conclusiva di Gesù. È questo legame che ora ci accingiamo a esaminare e che ci impegnerà anche per la prossima puntata.
Una lettura a ritroso per scoprire Abramo
Il punto di partenza della storia di Israele non è la Genesi, ma l’Esodo. La storia del popolo scelto da Dio non inizia con la creazione, in Adamo, ma in Egitto, dove Israele è schiavo. Qui Dio interviene con Mosè attraverso una epopea di liberazione che nei secoli successivi sarà descritta in termini enfatici, facendo di questo intervento il vero «atto creativo» con cui inizia la storia della salvezza. L’esodo è il punto di partenza, storico e teologico insieme, perché segna «la genesi» di Israele, l’origine di tutto, anche di quello che «avviene prima»: i Patriarchi e la creazione stessa. Dopo l’esodo che si compie nella fantasmagorica traversata del Mare Rosso, degna di una rappresentazione cinematografica «kolossal», l’altro punto assoluto, fulcro centrale di tutta la vita sia di Israele che di ogni singolo israelita, è l’arrivo al Monte Sinai, scenario adeguato e solenne per una mirabile manifestazione, con tutti gli ingredienti della spettacolarità: vi partecipa infatti la natura tutta con tuoni, lampi, fulmini e nubi.
Qui viene consegnata la Toràh / la Legge come coscienza di identità che deve significare il senso profondo che essa esprime: il segno dell’alleanza sponsale tra Dio liberatore e Israele liberato. Da questo momento tutto acquista senso perché l’esodo e in particolare il Sinai diventano la chiave interpretativa di tutta la storia, sia quella futura (cosa ovvia), ma anche quella passata, di cui si sono perdute le tracce nella notte dei tempi, essendo sopravvissuti solo alcuni vaghi ricordi. L’epopea dell’esodo rimette tutto in movimento: il passato (chi sono i patriarchi?) e il futuro (quale terra promessa?).
Se guardiamo solo verso il passato, scopriamo che Israele ha compiuto un’opera di ricostruzione meticolosa e logica. L’esodo pone domande essenziali. Perché Dio ha liberato Israele dalla schiavitù dell’Egitto? Perché Dio ha voluto dare una Legge proprio a Israele tra tutti i popoli esistenti, anche molto più significativi? In altre parole, cosa c’era prima dell’esodo e del Sinai? Qual è il senso del presente, cioè di ciò che accade al Sinai?
La risposta è ovvia: Dio ha dato la Legge a Israele per essere fedele alla promessa che aveva fatto ad Abramo. Inizia così un processo di ricognizione storico-teologica alla ricerca dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe per scoprire le fondamenta del proprio presente e la prospettiva del futuro. La figura del primo patriarca comincia a uscire dalla nebulosità del passato e si proietta maestosa e nobile sul futuro di Israele: egli diventa la prima pietra «angolare» che dà senso all’esodo, nello stesso momento in cui l’esodo dà un nome e un volto al patriarca fondatore. È un cammino a ritroso, alla ricerca delle proprie origini. L’esodo in sé sarebbe poca cosa se non fosse «una promessa» di un Dio, diverso da tutti gli altri «dèi» conosciuti; al contrario, esso è la conclusione del cammino di una «parola» detta nella notte dei tempi che non si è smarrita, ma è diventata un fatto: la parola di Dio ad Abramo ora «si fa carne» e diventa esodo, liberazione.
Alla ricerca di Àdam
Non basta. Cosa c’era prima di Abramo? Proiettando ancora una volta la luce dell’esodo all’indietro, come un faro che illumina il cammino, Israele scopre che prima di Abramo, c’era Adamo che diventa così la coice ancora più ampia della storia della salvezza. Dal padre di Israele al padre dell’umanità. Il processo avviene dal particolare all’universale. Riflettere sull’esodo come evento fondativo significa visitare il proprio passato per cogliere la direzione del futuro e il senso del presente. La liberazione dall’Egitto e la Toràh del Sinai non sono frutti anonimi fuori stagione, ma sono la conseguenza matura di un lungo percorso che è iniziato nella notte dei tempi, anzi nel cuore di Dio. Prima ancora di creare il mondo, Dio aveva pensato Israele come suo popolo ed è per realizzare questa «elezione» che ha creato il mondo, poi ha chiamato Abramo, Isacco e Giacobbe perché «costruissero» il popolo che Dio avrebbe convocato per mezzo di Mosè ai piedi del Sinai per consegnare la Toràh, il codice dell’alleanza da portare a tutti i popoli della terra.
Alla fine si ha questo schema teologico: Dio ha creato l’universo per collocarvi l’umanità, che a sua volta diventa la coice dove avviene la promessa ad Abramo e agli altri patriarchi che diventano così la premessa all’evento principe dell’esodo che culmina nel dono della Toràh come garanzia dell’alleanza sponsale tra Dio e il suo popolo Israele. Il passaggio logico è: Mosè, Abramo, Àdam, non viceversa. Ciò spiega perché nella coscienza di Israele, l’esodo e la creazione non sono mai separati, ma sono i due aspetti complementari dell’intervento di Dio che ha creato il cosmo, formato Àdam e l’umanità, chiamato Abramo, un politeista pagano, solo per amore di Israele, «inventato» da Dio stesso come partner sponsale a cui dona in dote la Toràh, che non è solo una «legge», ma il sigillo dell’alleanza e della prosperità nuziale. Tutta la storia, da Àdam a Mosè ha senso solo se proiettata verso lo scopo e l’obiettivo che è il monte Sinai, il monte dove «nel terzo giorno» Dio consegna se stesso nella forma di Toràh, cioè di «Parola che si fa carne» (cf Gv 1,14) al popolo che ha scelto tra tutti i popoli.
I figli garanzia dei genitori
Narra la tradizione giudaica che Dio prima di Israele interpellò tutti i popoli della terra ai quali offrì in dono la Toràh che tutti rifiutarono per un motivo o per l’altro. Quando giunse infine ad Israele, egli non volle nemmeno sapere ciò che vi era scritto perché l’accettò senza condizioni o riserve.
«Prima di donarla agli Israeliti, l’Onnipotente offrì la Toràh a ogni tribù e nazione del mondo perché nessuno potesse dire: “Se il Santo benedetto avesse voluto darcela noi l’avremmo accolta”. Si recò dai figli di Esaù e chiese: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”, risposero quelli. – “Non uccidere” (Es 20,13). – “E tu vorresti privarci della benedizione impartita al nostro padre Esaù, cui è stato detto: ‘vivrai della tua spada?’ (Gen 27,40). Non vogliamo la Toràh”. – Allora il Signore l’offrì alla stirpe di Lot dicendo: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”. – “Non commettere adulterio” (Es 20,14). – “Proprio da atti impuri siamo nati! Non vogliamo la Toràh”. Allora il Signore chiese ai figli di Ismaele: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”. – “Non rubare” (Es 20,15). – “Vorresti forse portarci via la benedizione impartita a nostro padre, cui fu detto: ‘La sua mano sarà contro tutti’ (Gen 16,12)? No, non vogliamo affatto la Toràh”. Così fece con tutti gli altri popoli, i quali parimenti rifiutarono quel dono dicendo: “Non possiamo rinunciare alla legge dei nostri antenati, non vogliamo la tua Toràh, dalla al tuo popolo Israele”. – Per questo Egli – benedetto sia il suo Nome – andò infine dagli Israeliti e disse: “Accettate la Toràh?” – Risposero: “Che cosa contiene?”. – “Seicentotredici precetti”. Quelli risposero a una sola voce: “Tutto quanto il Signore ha detto noi faremo e ubbidiremo”»(1).
Israele prima mette in pratica la Toràh e solo dopo se ne domanda la ragione. La risposta degli Israeliti è disarmante e totale: (ebr.) «‘asher dibèr Adonai nÈhassèh wenishmà’», che la LXX traduce con «Panta hòsa elàlesen Kýrios poiêsomen kài akousòmetha – Tutto quello che il Signore ha detto, faremo e ascolteremo». Prima si fa e poi si ascolta. È importante mettere in evidenza la risposta di Israele che non s’impegna soltanto a eseguire le parole del Signore, ma accoglie la Toràh prima ancora di conoscee «il peso». In questo atteggiamento di Israele vi è l’entusiasmo dei discepoli che sono affascinati dall’avventura e si buttano con tutta la loro generosità senza calcolare le conseguenze che è il comportamento degli innamorati. Solo in questo contesto «personale» si può spiegare il Midrash (Midrash Ct rabba 1,4; Midras Tehilliìm/Salmi a 8,76-77) che narra di Dio che dopo avere dato la Toràh a Israele resta ancora perplesso e chiede un garante supplementare. Israele risponde dando a garanzia i propri figli, cioè il suo futuro che Dio accetta come pegno:
«Fu così che il popolo portò le mogli con gli infanti al petto e quelle gravide i cui corpi l’Eteo rese trasparenti come vetro. Poi Dio si rivolse a tutti i piccoli con queste parole: “Ecco, sto per dare la Toràh ai vostri padri, siete disposti a impegnarvi perché l’osservino?”. Ed essi risposero: “Sì”… I bambini nel ventre risposero a ogni comandamento positivo con “si” e a ogni comandamento negativo con “no”. L’Eteo diede dunque la Toràh a Israele con la fideiussione dei suoi bambini; ecco perché tanti ne muoiono quando il popolo non la osserva»(2).
Dall’esodo al Sinai per giungere a Cana
Da questa prospettiva, scopriamo che l’evangelista Giovanni è intriso di questa storia, quando scrive il suo vangelo. Collocando lo sposalizio di Cana alla fine della prima settimana di attività di Gesù e all’inizio del suo ministero pubblico, automaticamente costringe ogni credente che conosce la Bibbia a leggere nel racconto un chiaro nesso tra Sinai e Genesi e, a maggior ragione ora nel Nuovo Testamento, tra Sinai, Genesi e «Principio» del «Lògos», che si rivela e si manifesta non più su una montagna del deserto, ma nel Vangelo che assume il volto e la figura di Dio stesso. Con questo racconto l’autore ci costringe a fare lo stesso cammino a ritroso che fece il popolo d’Israele quando formò il suo pensiero teologico e lo sistemò in un organico sistema di sintesi della sua fede.
Su questo rapporto tra Genesi-Esodo-Cana, l’esegeta italiano Aristide Serra, che di fatto ha dedicato l’intera sua vita al racconto delle nozze di Cana, espone una complessa ricerca documentata nel suo ultimo volume «Le nozze di Cana» (Edizioni Messaggero di Padova nel 2009), specialmente alle pp. 110-179. Serra esamina i capitoli 19-24 di Esodo, che egli definisce «come il vangelo dell’Antico Testamento», data «l’importanza sicuramente eccezionale» (p. 119), perché attinente alla rivelazione del Sinai, che ha per oggetto l’alleanza del Signore con Israele. Dall’ampia riflessione giudaica su questo evento fondativo, egli si sofferma sulla «articolazione della settimana», che ha per protagonista la consegna della Toràh e che ha attinenza con la settimana della creazione, evidenziando così un valore cosmico anche all’evento del Sinai.
In Gen 1,3-2,3 i giorni della prima settimana in assoluto, quella della creazione, si susseguono in modo monotono e lineare, scanditi dal ritornello: «E fu sera e fu mattino: giorno primo … secondo giorno … terzo giorno … quarto giorno … quinto giorno … sesto giorno (Gen 1,5.8.13.19.23.31). Nel racconto del Sinai invece si ha un ritmo diverso che esaminiamo a partire dal testo di Es 19:
«1Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dalla terra d’Egitto, nello stesso giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai…
10 Il Signore disse a Mosè: “Va’ dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti 11e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo.
16 Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore».
Su questo testo la letteratura giudaica (targumìm e testi rabbinici) fanno lunghe e minuziose dissertazioni, inquadrando la rivelazione del Sinai in schemi cronologici di sei, di sette e anche di otto giorni (cf A. Serra, Le nozze di Cana, 97-102 che riporta anche una ampia e accurata bibliografia di testi). In base a questi calcoli il ritmo della scansione della settimana sarebbe il seguente. Il terzo mese del calendario ebraico è il mese di Siwàn (che corrisponde a maggio-giugno). A partire dall’inizio di questo mese, come descrive dettagliatamente il Targum dello pseudo Gionata(3), si contano i giorni con la seguente progressione:
1 giorno: Gli ebrei giungono al deserto del Sinai (TJ I a Es 19,1-2).
2 giorno: Mosè sale sul monte e scende (TJ I a Es 19,3-8).
3 giorno Il Signore preannuncia la sua venuta a Mosè (TJ I a Es 19,9).
4 giorno: Ordine del Signore a Mosè di purificare il popolo «oggi e domani» e di tenersi pronti per il «terzo giorno», il giorno della Teofania (TJ I a Es 19,10-15).
5 giorno: Corrisponde al «domani» del punto precedente.
6 giorno: Corrisponde al «terzo giorno» del punto precedente: Dio si rivela, consegna la Toràh a Mosé che fa avvicinare il popolo ai piedi del monte per consegnargli «le dieci parole» (TJ I a Es 19,16-25).
Nel racconto della Genesi, al sesto giorno è creato Àdam e Eva, cioè la prima umanità; al Sinai al «sesto giorno» che, come abbiamo visto, corrisponde al «terzo giorno», è creato Israele che acquista la identità di «sposa» e nelle nozze di Cana «al terzo giorno» Gesù manifesta la sua gloria. È evidente che in questa progressione cronologica il giorno più importante è «il terzo», il giorno in cui Dio manifesta se stesso sia al Sinai che a Cana e questo «terzo giorno» del Sinai-Cana corrisponde al «giorno sesto» della creazione dove la prima coppia prende vita e contempla in assoluto il volto del Dio creatore [continua – 16]
Paolo Farinella