Alla ricerca di un perché

Reportage da Trabzon

Siamo andati a Trebisonda (Trabzon) per vedere com’è la situazione dopo l’omicidio di don Andrea Santoro cui è seguita – in altra zona del paese –  l’uccisione di mons. Luigi Padovese. Nella Turchia che si dice tollerante come si spiegano due omicidi di preti cattolici in meno di 4 anni? Chi è contro il dialogo interreligioso?

La piazza centrale di Trebisonda, Trabzon in turco, pullula di uomini impegnati a godersi i piaceri del dolce far nulla. È una visione comune della Turchia, e racconta stili di vita meno ossessivi di quello occidentale.
Così un gruppetto radunato intorno a tazze di tè non si lascia scappare l’occasione per attaccare bottone: mi chiamano al loro tavolino. Un giro di bicchierini bollenti è gentilmente offerto e subito si instaura un simpatico scambio di battute in lingue inesistenti composte soprattutto da gesti. Ma i discorsi velocemente passano dal solito schema «calcio-Berlusconi» ad argomenti decisamente più pesanti: i guerriglieri del Pkk ed il rapporto tra cristianesimo e islam in questa città.

TRABZON, porta sul mar nero
e sul kurdistan turco

Il primo è il vero piatto forte della regione che da anni si dibatte dentro drammi che costellano la vita di milioni di persone. Una guerra civile infinita (sebbene nessuno utilizzi queste parole), che recentemente sembra aver perso cruenza, anche se talvolta erompe in maniera violenta. Il Kurdistan è la zona est della Turchia e Trebisonda è la porta che si affaccia su questo territorio. Un tempo città strategica per i traffici marittimi sul Mar Nero (da qui il detto italiano «perdere la Trebisonda»), oggi è una città industriale e trafficata.
Gli abitanti (qui la comunità kurda è una minoranza) sostengono che avventurarsi per la zona est della Turchia è pericoloso. I piazzisti di una compagnia di trasporti, che battono la stazione degli autobus, ripetono ai viaggiatori che gli spostamenti diui sono soggetti ad attacchi a colpi di mitragliatrice da parte dei guerriglieri kurdi. La notte invece sarebbe tutto più tranquillo.
Una volta in viaggio nel Kurdistan turco la situazione invece apparirà molto tranquilla. Le esagerazioni sono molto amate dai turchi, anche se affettivamente le zone montane non sono scevre da combattimenti, di norma taciuti dai media principali.
Città come Van, Erzrum, Diyarbakir sono centri vitali e pacifici, popolati da Kurdi che non ne vogliono più sapere né della repressione militare né dei metodi violenti degli insorti.
Così, una volta terminata la discussione sui «terroristi kurdi», trascinatasi in maniera abbastanza stanca per mancanza di argomenti, è tempo di
discutere dei rapporti interreligiosi in città e nel paese. E qui i toni si fanno seri. Perché a differenza delle chiacchiere sul Pkk, dominate da eccessi verbali e fragorose risate, quelle relative alle recenti tragedie che hanno riguardato questa ed altre
zone, sono percepite più pesantemente.
Dopo poco un ragazzo ci chiede se vogliamo visitare l’unica chiesa ancora «operativa» di Trebisonda. È la chiesa tristemente famosa per l’omicidio di un prete italiano, don Andrea Santoro,  avvenuto nel febbraio del 2006. Il sacerdote ucciso era un missionario della congregazione di Charles de Foucauld. Apparteneva alla diocesi di Roma ed era un sacerdote fidei donum missionario in Turchia da qualche anno. Il suo lavoro (grazie anche all’aiuto di alcuni laici) era centrato sul mantenimento in vita della presenza cristiana, esigua al tempo dell’omicidio ed ora a rischio estinzione. Chi lo conosceva racconta che era un acceso sostenitore del dialogo islamo-cristiano e forse è esattamente questa la ragione che ha armato la mano di chi poi lo ha ucciso proprio dentro la chiesa dove stiamo per entrare.
Sono passati quattro anni da allora, ma il ricordo è ancora molto vivo. Il nostro amico accompagnatore, musulmano praticante, ricorda bene quel prete: «Era una presenza molto discreta e chi l’ha colpito a mio avviso l’ha fatto perché mosso dalla pazzia e non da odio religioso».
Probabile, anche se poi le indagini hanno portato in carcere un giovane di appena diciassette anni che, al momento di sparare, pare abbia pronunciato la frase «Allah è il più grande».

NICOLAE, il diacono (rumeno)
che lavora da prete

Ci arrampichiamo per le vie del centro seguendo i passi del nostro amico. Trebisonda è una città che ha perso i fasti del passato e si aggrappa ad uno sviluppo caotico, dominato dal cemento e dai traffici un po’ loschi che vanno e vengono dalla vicina Russia.
Da soli difficilmente saremmo riusciti a trovare la chiesa, perché non segnalata. L’esterno è arioso ed un cartello invita i cristiani e gli stranieri ad entrare dentro, perché tutti sono benvenuti. È scritto in inglese ed in turco (vedere foto). Suoniamo il campanello.
La chiesa sembra deserta. Dopo pochi minuti siamo però accolti da un uomo di circa trent’anni a cui siamo introdotti, in turco, dalla nostra guida. È gentile, ma sospettoso. Si rivolge a noi in francese ma, dopo poche frasi di circostanza, passa all’italiano. È rumeno e non è il prete della chiesa. È un diacono che manda avanti tutta la baracca tra sforzi immensi. È solo da tre anni, perché un nuovo sacerdote, dopo l’omicidio di Andrea Santoro, non è mai stato nominato. Racconta del clima che si respira nella città che maggiori problemi di convivenza dà alla Turchia.
Nicolae, così si chiama il padrone di casa, racconta di paura, ma anche di speranza. La paura è dovuta al secondo omicidio:  monsignor Luigi Padovese, dal 2004 vicario apostolico dell’Anatolia, è stato assassinato il 3 giugno 2010 nel giardino della sua casa sul mare a Karagaac, vicino a Iskenderun, sulla costa del Mediterraneo. Il suo autista Murat Altun, probabilmente a causa dei gravi scompensi psichici di cui soffre, l’ha colpito con diversi fendenti, uccidendolo.
Le voci di odio religioso, figlio del fanatismo islamico, si sono allargate a macchia d’olio, ma nessuno osa confermarle. Anzi, gli uomini della piazza di Trebisonda, come i pochi cattolici che si incontrano, negano che il clima sia questo.
La speranza è comunque viva: «Noi siamo una comunità molto piccola, poche centinaia di persone – spiega Nicolae – . La nostra chiesa è sempre aperta. E questa mattina è accaduta una cosa che mi ha dato fiducia ed aperto il cuore. Ho visto entrare quattro ragazze islamiche. Giravano e commentavano. Le ho sentito dire frasi sulla bellezza della chiesa e soprattutto sulla follia del conflitto religioso…». A pochi metri da dove chiacchieriamo c’è ancora il foro di uno dei proiettili.
Nicolae è un diacono che svolge un po’ tutti i servizi fra mille difficoltà, economiche e non. È sposato e vive con la moglie a pochi passi dalla chiesa.
«Il problema – racconta – sono le ostie consacrate. La mancanza di un prete le rende difficilmente disponibili. Così capita che, quando un sacerdote passa da queste parti, io ne approfitto per fae consacrare un po’ e poi le custodisco. Ma non è facile, dato che trascorrono mesi e mesi senza che passi alcuno. La soluzione migliore sarebbe la nomina di un prete ma, dopo la uccisione del vescovo Padovese, sarà ancora più difficile».
La chiesa è deserta, pulita, sembra quasi un museo.
«Questi sono gli aspetti più difficili della situazione. In compenso è molto bello portare la parola di Dio in un posto difficile come Trebisonda. È vero che gli esaltati non mancano, ma la Turchia rimane un paese laico in cui la libertà di culto è preservata. Comunque, questi sono discorsi politici che interessano relativamente chi si trova in trincea come me. Qui io mi occupo di tutto: dallo spazzare il pavimento alla celebrazione delle messe. E lo faccio per due soldi. I vertici della Chiesa dovrebbero ricordarsi maggiormente di chi porta la parola di Dio in posti di frontiera come questo».
Sono solo un centinaio i cattolici che vivono a Trebisonda. Altri sessanta circa sono presenti a Mardin, bella città che ricorda un po’ Gerusalemme, nel centro del Kurdistan.  Il resto è deserto. In ogni senso.

Maurizio Pagliassotti

Maurizio Pagliassotti

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