Diventare direttore di questa rivista, era una delle possibilità prevedibili fin da quando ho cominciato il mio servizio missionario nella stampa ormai 34 anni fa, appena ordinato sacerdote. Me lo avevano perfino augurato alla fine del liceo. Ma che lo diventi all’età di andare in pensione mi sembra buffo. Rientrato dopo 21 anni di Kenya, dove per 17 anni ho fatto di tutto (anche l’editore) nella rivista che pubblicavo laggiù (il Seme, The Seed), mi trovo ora a ricominciare (perché qui ho già lavorato dall’80 all’86) con voi questa avventura in una rivista ricca di storia come è Missioni Consolata. Già, la storia ultracentenaria di questa rivista mi affascina e mi spaventa. È una responsabilità non da poco succedere al canonico Giacomo Camisassa e a grandi direttori come i padri Vittorio Sandrone, Mario Bianchi, Giovanni Mazza, Gabriele Soldati, Francesco Beardi, Benedetto Bellesi e Ugo Pozzoli, solo per nominae alcuni.
Questa si definisce la rivista missionaria della famiglia. Sono due qualifiche: missionaria e della famiglia, che mi danno a pensare. Missionaria: rimanda alla Missione; quella con la M maiuscola non è certo cambiata: è sempre l’annuncio di Gesù figlio di Dio incarnato, morto e risorto per la salvezza dell’umanità e del cosmo, l’unico Signore e Salvatore che ci chiama ad accogliere il regno di Dio. Ma la missione, quella spicciola e quotidiana, quella che è traduzione in azione e vita della grande Missione, è sempre in cambiamento e trasformazione. Cosa vuol dire fare, pensare ed essere missione nel 2010? Come raccontarla oggi? È una grande sfida. Della famiglia! La mia esperienza di famiglia, quasi patriarcale, sembra lontana anni luce da quanto si vive oggi. Anche la visione africana della famiglia, che ha avuto un ruolo importante nella mia esperienza keniana, e che tanto ha ispirato la Chiesa africana, è una realtà che sta passando attraverso un grande processo di trasformazione, spesso sofferto e contraddittorio. Quale famiglia oggi in questa nostra Italia, in questa Europa?
C’è un terzo elemento qualificante: Consolata. Consolata indica la dimensione mariana: la Madonna Consolata, fondatrice dell’istituto. Ma non solo, Consolata indica anche un metodo missionario secondo il cuore del beato Giuseppe Allamano: il bene fatto bene (e senza rumore) per l’uomo totale, anima e corpo, nel suo oggi, dove evangelizzazione e promozione umana vanno a braccetto. Per questo “tutto quello che è umano ci interessa”. Per questo possiamo parlare di politica ed economia, di musica e di arte, di sviluppo e di cultura, di moda e di ecologia, di poesia e danza, di giustizia e di pace, di inquinamento e di emigranti, di adozioni e turismo responsabile, di razzismo e guerra, schiavismo e liberazione, acqua e terra, e chi più ne ha più ne metta … e, nello stesso tempo, raccontare sempre più di evangelizzazione e conversione, di battesimi e nuove chiese, di ordinazioni e vescovi, di morale e teologia, religioni ed ecumenismo, papa e catechisti, famiglia e vocazioni, inculturazione e liturgia, preghiera e spiritualità …
Consolata è anche un filtro privilegiato. Non vogliamo e non possiamo essere qualunquisti. Siamo Consolata. Per cui questa non è una rivista neutrale. Siamo schierati, con libertà e senso critico, amore e rispetto. E come Consolata abbiamo un difetto: vediamo le cose con gli occhi del Sud del mondo, dalla prospettiva dei poveri.
Gigi Anataloni