La forza della radio, la vecchia radio

Oggi c’è internet, c’è l’I-pod, c’è Twitter e Facebook, ci sono i cellulari che fanno di tutto, oltre che le telefonate. Ma la radio, la vecchia radio resiste e resiste bene.
In questo dossier, non vogliamo parlare genericamente di questo mezzo di comunicazione, ma di radio particolari: per i loro fondatori, per il loro pubblico, per la funzione che svolgono.
Da parte nostra, nessuna pretesa di completezza. Abbiamo soltanto raccontato alcune storie raccolte in Africa (Ciad, Niger, Malawi, Burkina Faso) e in America Latina (Argentina, Perù, Colombia). Cercando di far comprendere come la vecchia radio rappresenti ancora un insostituibile strumento di comunicazione, soprattutto nei paesi del Sud del mondo.

di Paolo Moiola

AFRICA / Radio per tutti i gusti
Anni Novanta: in Africa si respira aria di democrazia.
Anche l’etere è liberalizzato.
Da allora «fioriscono» centinaia di emittenti, molte delle quali create dalla base.

Dai media monopolio di stato, in Africa, si passa alla liberalizzazione delle onde elettromagnetiche solo agli inizi degli anni Novanta.
Alcune esperienze di radio private si hanno tuttavia già negli anni ‘80, come Horizon Fm in Burkina Faso che, nata nel 1987 è una delle prime radio indipendenti nell’Africa francofona.
Già prima della liberalizzazione erano nate le cosiddette «radio rurali», radio pubbliche che vogliono essere di tipo didattico e orientate al mondo contadino. Trattano i temi come agricoltura, salute, nutrizione, allevamento, igiene, ecc. Utilizzano prevalentemente le lingue africane. Questa tipologia ha però diversi limiti, come la localizzazione nelle capitali, la mancanza di mezzi e di risorse umane competenti e motivate.

Con la liberalizzazione che accompagna i processi di democratizzazione dei paesi, altre tipologie di radio nascono e si diffondono rapidamente: radio confessionali, comunitarie, associative e le radio commerciali.
Sono tutte radio dette di «prossimità» ovvero locali, vicine alla popolazione, ma hanno diversi ruoli e missioni, nonché tipo di gestione.
La radio associativa è l’emanazione di un’associazione, creata e gestita dalla stessa. Ad esempio un’associazione per la difesa dei diritti umani, o una di contadini.
La radio confessionale è invece fondata e gestita da una confessione religiosa, ma orientata sempre al pubblico locale. Tante sono le radio evangeliche e quelle cattoliche nate in Africa nei primi anni ‘90.
La radio comunitaria appartiene invece alla comunità. Può essere una comunità professionale (ad esempio gli agricoltori) o un’entità sociale (le donne o i giovani di una località, le popolazioni di una certa lingua). Deve essere gestita attraverso organi definiti dalla comunità.
Nella pratica c’è una certa confusione tra radio associativa e comunitaria. Alcuni testi definiscono la prima come l’eccezione più ampia, sotto la quale si potrebbero far rientrare sia le radio comunitarie sia quelle confessionali.
La radio privata commerciale invece ha una diversa origine e finalità. Un capitale privato e l’orientamento al profitto il pubblico urbano piuttosto che la popolazione rurale.
 
La radio comunitaria, proprio perché è un’emanazione della comunità diventa strumento di concertazione. Favorisce la comunicazione tra i diversi membri della comunità, prendendo così un ruolo di strumento di regolazione sociale.  È la tipologia più indicata per essere anche uno strumento di sviluppo endogeno. La trasmissione tipo «forum» o «tavola rotonda» è molto utilizzata per permettere a tutte le parti di esprimersi. Attori o parti antagoniste trovano così uno spazio di confronto e spesso di dialogo, e riducono gli ostacoli.
Il «dibattito», la trasmissione pubblica (con la partecipazione degli ascoltatori) servono a instaurare una comunicazione interattiva tra diversi attori e diventano un’espressione democratica e pluralista di opinioni, bisogni e aspirazioni della comunità.
Organizzazioni come Unesco, Unicef, Acct (oggi Agenzia intergovernativa della francofonia, Aif) spingono e investono fondi nelle radio comunitarie in Africa già dalla fine degli anni ‘80.

di Marco Bello

Paolo Moiola e Marco Bello