Carlos Cardoso: per non dimenticare
Sono passati nove anni, ma chi abbia pianificato e deciso la morte del giornalista Carlos Cardoso dorme ancora sonni tranquilli. Il giornalista investigativo più noto del Mozambico lottava contro le misure strutturali imposte dalla Banca Mondiale e contro la corruzione nel suo paese. Lo ricorda un suo collega e compagno di lotta.
È il 22 novembre 2000, quando Carlos Cardoso, giornalista di 48 anni, viene freddato da due killer in pieno centro a Maputo (foto in alto). Cardoso era «il migliore e il più rispettato giornalista mozambicano» riporterà l’inglese The Guardian due giorni dopo.
Nato a Beira nel 1951, figlio di immigrati portoghesi, Cardoso era un giornalista investigativo che non lasciava nulla al caso. Aveva moglie e due figli.
Dopo una carriera nei media di stato, aveva co-fondato Mediacornop, la prima cornoperativa di giornalisti indipendenti (1992) e Media fax, primo quotidiano che usa il fax come mezzo di diffusione.
Cardoso fonda poi da solo il giornale economico Metical (1997, dal nome della moneta del paese), anch’esso via fax. Si dedica in particolare alle battaglie contro le misure imposte dalla Banca Mondiale e dalle altre organizzazioni inteazionali per il suo paese.
In quelle settimane sta lavorando a un’inchiesta scottante. La frode di 14 milioni di dollari nel caso della privatizzazione del Banco Comercial de Moçambique, la maggiore banca del paese.
«C’è libertà di stampa in questo paese, ma è una libertà condizionata – ci racconta Feando Lima, giornalista, presidente del consiglio di amministrazione di Mediacornop, e amico di Cardoso -. Sembra che tutti in Mozambico siano favorevoli a questo governo, ma non è così.
Quando un giornalista fa delle domande alla prima ministra, se sono superficiali non c’è problema, ma se vuole approfondire le cose si complicano, come quando si vuole scrivere di corruzione del governo o dei funzionari dello stato».
E continua: «Ci sono molte barriere per chiedere, e ottenere la libertà che dovrebbe essere insita a questo mestiere. Le pressioni poi non mancano».
Il panorama mediatico non è eccellente. Continua Lima: «I giornalisti sono in genere mal preparati e mal pagati, questo porta al fatto che non riescono a fare articoli di una grande profondità. Ci sono varie scuole, ma non molto buone».
Quando gli chiediamo se cambiò qualcosa per la stampa in Mozambico, dopo l’assassinio di Cardoso, risponde con un velo di emozione: «Non molto, quello che succede è che ne sentiamo la mancanza. Per fare quel lavoro lui aveva qualità e non ci sono altre persone del suo livello. È una perdita molto grande, dal punto di vista umano e professionale. Una delle ragioni che portarono alla sua morte fu che si trovò molto isolato. Era un caso unico. Così decisero: attacchiamo lui e risolviamo il problema. In quel momento lo risolvettero, perché determinate inchieste caddero. Le forze politiche ed economiche legate al crimine, si salvarono».
Un evento del genere potrebbe ancora verificarsi? «Chiaro che io posso essere ucciso domani, ma qualcuno pagherà un prezzo in perdita di popolarità, prestigio, relazioni inteazionali, cooperazione. È penalizzante per un presidente, arrivare in un paese e per prima cosa ti chiedono perché è stato ucciso un giornalista. È molto imbarazzante per un governo. Non è solo incriminare persone, ma l’immagine di uno stato, soprattutto se si vuole apparire un regime di legalità democratica e garantita».
«Io so e tutti sappiamo determinate cose, non è detto che non ci saranno più morti, ma qui in Mozambico molte persone muoiono nel contesto del crimine, della droga».
Dopo diversi processi, nel gennaio 2006 è stato condannato come mandante Annibal dos Santos junior a 30 anni di carcere. Questi, noto malvivente, è già riuscito a fuggire due volte dal carcere. Sarebbe protetto da alte personalità, e nell’inchiesta spuntò anche il nome di Nyimpine Chissano, figlio dell’ex presidente Joaquim. Ma la giustizia sui veri mandanti deve ancora fare il suo corso.
Marco Bello