L’inferno può attendere

Père Richard Frechette, al secolo Rick: ritratto

Haiti, isola perduta. Realtà inimmaginabile. Eppure c’è. Esiste. Il popolo haitiano continua a soffrire e a morire. Ma c’è anche qualcuno che ha messo la propria vita a fianco di questi fratelli. Storia di un prete e di un medico con la passione.

Tabarre, periferia di Port-au-Prince. In una stanza dell’ospedale Saint Damien due piccoli fagotti: Olivier Beisah e Luvens Bethoven non ce l’hanno fatta, non hanno superato la notte.
La camera è avvolta dal dolore e dal silenzio, spezzato solo dal Salve Regina che padre Rick intona, mentre con le sue grandi mani unge i minuscoli corpi di olio benedetto e li avvolge con cura in un sudario bianco. Sarà lui a garantir loro una sepoltura, un lusso che qui in molti, moltissimi, non si possono permettere. Poveri da vivi e poveri da morti. Per entrambi sono pronte due bare di cartone (il legno è prezioso), costruite riciclando scatoloni.
Le stesse che il sacerdote utilizza quando va all’obitorio dell’ospedale della capitale, ogni giovedì, per donare un funerale ai tanti cadaveri lì abbandonati. Morti di nessuno che vengono pietosamente sottratti alla fossa comune, e portati fuori città, su una collina che funge da cimitero, punteggiata di croci bianche senza nome.

Uragani e mancanza di cibo

«I morti hanno sempre torto», dice un proverbio haitiano. Qui, ad aver il torto di essere nati nel paese più povero e instabile delle Americhe, sono in tanti, soprattutto bambini.
Uno su nove non arriva ai cinque anni, muore di malattie in Europa facilmente curabili. E alle difficoltà di sopravvivenza quotidiana si aggiunge, spesso, anche la violenza della natura: verso la fine del 2008 Haiti è stata sconquassata da Fay, Gustav e Hanna, tre uragani che hanno provocato centinaia di morti  e ingenti danni a una terra già di per sé esausta, incapace di produrre il necessario per i suoi circa 10 milioni di abitanti (con un’aspettativa di vita intorno a 53 anni), la metà dei quali vive con meno di un dollaro al giorno.
Non a caso, nell’aprile dello scorso anno il rincaro del riso ha avuto ripercussioni tali da provocare scontri e morti, e da causare le dimissioni del primo ministro Jacques-Edouard Alexis.
Come denuncia Amnesty Inteational nell’ultimo rapporto sul paese, carenza di cibo, disoccupazione cronica e disastri naturali hanno esacerbato povertà e marginalizzazione, mettendo a rischio diritti minimi essenziali quali casa, sanità e istruzione (secondo fonti ufficiali il 40% della popolazione non ha accesso ad acqua pulita o a sistemi fognari). 
Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha nominato l’ex presidente americano Bill Clinton suo inviato speciale per Haiti. Clinton – ha detto il capo dell’Onu – aiuterà Haiti a riprendersi dopo una serie di gravi uragani e di instabilità. Clinton aveva accompagnato Ban in una visita nel paese all’inizio del 2009.

Il passionista dei bambini

La situazione la conosce bene padre Richard Frechette, semplicemente padre Rick, come lo chiamano tutti. Cinquantacinque anni, sacerdote e medico, da oltre 20 vive e lavora qui in prima linea per l’organizzazione umanitaria Nph, Nuestros Pequeños Hermanos (Nostri piccoli fratelli), fondata nel 1954 da padre William Wasson (1923-2006), sempre dedito, nella sua vita, ai bambini più bisognosi e agli orfani, in particolare nelle aree di maggior emarginazione  dell’America centrale e meridionale.
«Sono stato ordinato nel 1979 presso il monastero dei Passionisti a New York – racconta padre Rick – e ho deciso di vivere la mia chiamata servendo il Signore attraverso l’opera grandiosa di William Wasson, ad Haiti, dove, nella sofferenza e nella miseria di questa popolazione, ma soprattutto in quella dei bambini, ogni giorno contemplo la passione di Cristo».
«Dopo poco tempo trascorso ad Haiti, decisi di rientrare a New York perché sentivo la necessità di studiare per diventare chirurgo, e rendermi ancor più utile nel concreto.
Nel 1987 terminai  i miei studi e la specializzazione e tornai qui. Da allora opero in questi luoghi come prete e come medico».
Una forza della natura questo atletico e instancabile statunitense del Connecticut, che precedentemente ha maturato esperienza lavorando anche come parroco a Baltimora, a New York con i rifugiati cubani, e per cinque anni in Honduras. Ma a colpirlo profondamente, a segnarlo, è l’esperienza ad Haiti.

Quasi un supereroe

Fisico possente, mascella squadrata, potrebbe sembrar uscito da un film di cowboy o apparire come un supereroe, ma non dei fumetti, bensì di una delle realtà più tragiche dei nostri tempi. «Uno dei primi modi in cui la povertà di Haiti è manifestata a noi, nel suo aspetto più drammatico – ricorda il sacerdote – è stata la moltitudine di bambini abbandonati alle porte del nostro orfanotrofio, nel 1987, quando abbiamo aperto la prima clinica.
Non avevamo i mezzi per offrire a tutti quei moribondi la salvezza, e infatti la prima clinica servì ad assistere i bimbi in una morte dignitosa e non per offrire loro una speranza di vita. Presto, comunque, risultò evidente che la maggior parte di quei bambini non sarebbe morta se solo ci fosse stato un posto dove curarli nel modo adeguato».
Il 4 dicembre 2006 segna una data importante in questo percorso: viene inaugurato l’ospedale pediatrico Saint Damien: un unicum nel paese, in grado di assistere gratis 40 mila bambini all’anno, nato nel giro di tre anni grazie ai fondi raccolti dalla Fondazione Rava, che rappresenta in Italia Nph (www.nphitalia.org).
Ogni mattina, già alle 6.30, davanti ai cancelli del St. Damien ci sono tante mamme che sperano di salvare le proprie creature. La struttura è all’avanguardia, offre stanze linde con 350 posti, pronte ad accogliere i piccoli malati, affetti soprattutto da malnutrizione, anemia, meningite, Tbc, Aids. Ci sono anche due nuove sale operatorie, già in funzione, volte anche a potenziare la chirurgia pediatrica sull’isola.
Un altro fiore all’occhiello è la Casa dei piccoli Angeli, aperta lo scorso dicembre, dedicata ai bimbi con handicap fisici e mentali.  Grandi e importanti successi che non fermano il prete «maratoneta» (ha scalato l’Aconcagua per raccogliere fondi per Nph e quando può partecipa alla maratona di New York per dar voce ai suoi bambini): corre in continuazione, padre Rick, tutto il giorno, parlando ora francese, ora inglese, ora creolo, occupandosi di mille aspetti contemporaneamente, ma al tempo stesso infondendo una grande calma.
I suoi occhi sono sempre attenti, vigili. Si capisce che, mentre spiega e racconta, sta pensando alle tante cose da fare, ma riesce ad essere chiaro e a fornire, con poche, precise parole, un quadro della difficile situazione: «Qui il primo problema è rappresentato dalla fame e dalla malnutrizione. A ciò si va ad aggiungere l’impossibilità di accesso alle cure per molti, unita all’assenza di lavoro.
Il paese è provato da una situazione pesante, un’emergenza tristemente continua e c’è necessità di trovare un equilibrio dopo tante tragedie. Bisogna creare delle infrastrutture, dalle strade a tutto ciò che serve per consentire e sostenere lo sviluppo del paese. Ma occorrono anche strutture morali, a partire da un sistema di giustizia che funziona».

Bidonville: incrocio
di tutti i traffici

Si comprendono ancor meglio le sue parole andando in uno dei gironi infeali dove il sacerdote quotidianamente opera: si parte alla volta della bidonville Cité Soleil.
Polvere, fumo, odore acre di pattume bruciato che si mescola al fetore delle fogne a cielo aperto e a quello di montagne di rifiuti; un maiale rovista in un ammasso di immondizia, un bimbo nudo si lava tra le baracche, con i piedi immersi nella melma.
Qui persino le forze dell’ordine hanno paura ad entrare, e i Caschi blu vengono solo se ben armati.  La missione delle Nazioni Unite è stata rinnovata lo scorso ottobre per il quindo anno consecutivo.
Ma con padre Rick presente, le guardie del corpo non servono:  è lui il salvacondotto. A lui non torcono un capello neppure i capi delle gang che qui dettano legge, gestendo il mercato della droga in transito dalla Colombia verso gli Usa, delle armi e dei rapimenti, purtroppo sempre più frequenti e con vittime i bambini,  spesso resi possibili dal coinvolgimento di poliziotti corrotti. «La violenza che nasce dalla disperazione». Così la definisce il sacerdote.
Lui stesso, qualche tempo fa, è stato aggredito: volevano rapirlo, ma quando l’hanno riconosciuto l’hanno pregato di non far parola dell’episodio: se i boss l’avessero saputo, gli autori del gesto l’avrebbero pagata cara.
Qui e nelle altre zone a rischio della capitale, infatti, padre Rick è rispettato da tutti: è riuscito a creare 17 scuole di strada, sottraendo oltre 3mila bambini al giro della prostituzione, della droga e del lavoro minorile, offrendo un’istruzione di base che permetta di imparare un mestiere, e dando lavoro a circa 80 insegnanti, molti dei quali provengono dalla casa orfanotrofio Nph di Kenscoff.
Ha organizzato delle cliniche mobili, per fornire soccorso ai bambini e alle loro famiglie e portare i casi più gravi in ospedale, e con l’auto cisterna distribuisce gratuitamente acqua potabile a circa 2.000 persone. Sta anche mettendo in piedi il progetto mateità sicura, nella bidonville Wharf Jeremy, per garantire assistenza alle donne in gravidanza, spesso giovanissime e impreparate, e ai neonati, per i quali vuole allestire delle sale al St. Damien, mirate alla degenza post parto cesareo e alla terapia intensiva neonatale.

un popolo con
Una grande umanità

Risultati davvero importanti in condizioni di degrado così forte, e ancor più evidente, nella sua crudezza, quando la luce inizia a calare  e il fumo dei falò di spazzatura rende i contorni delle cose e delle persone meno nitidi. La strada diventa tutto un brulichio di voci, risa, traffico, con una miriade di bancarelle che, illuminate dalle fiammelle delle candele, paiono tanti piccoli altari pagani.
Mentre si incrocia un blindato dei Caschi blu, ad attirare l’attenzione è un cartellone pubblicitario su cui campeggia la foto di una donna, con la scritta «M’ap denonce kidnappé» (denuncerò i rapimenti).
La sensazione di impotenza e di sconforto si alterna al desiderio di speranza, anche in chi vede la situazione dall’esterno, e ne viene colpito e travolto, inesorabilmente. Sono ancora le parole di Rick Frechette a offrire un ulteriore spunto di riflessione: «La gente qui ha un’enorme capacità di soffrire, ma anche di reagire e di andare avanti. Ho visto, in tante situazioni tragiche, difficili,  una creatività veramente impressionante. Sono persone con incredibili qualità.
Lo constato ogni giorno, anche in tutti coloro che lavorano con me: sono seri, onesti, fedeli, lavoratori, dotati di grande umanità. E non posso non pensare alle madri che ogni giorno, affrontando difficoltà di ogni genere, vengono qui all’ospedale per cercare di salvare i loro bambini, e stanno loro accanto con un affetto e una dedizione commoventi.
Queste sono qualità enormi. Cosa ci vorrebbe per cambiare la situazione nel paese? Non lo so, forse un miracolo! Ma credo che ci siano molte iniziative e segnali per iniziare a migliorare».
Piccoli grandi miracoli, uno per volta, in questo paese complesso, di contrasti, che rimane nel cuore. Come padre Rick insegna e dimostra, ogni giorno. 

Di Paola Babich

Paola Babich

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