In manicomio (1) / La «Colonia Montes de Oca»
Visita ad una struttura manicomiale pubblica, in cui il personale tenta
di percorrere strade alternative. Facendo leva sulla propria professionalità
e volontà per superare ostacoli e diffidenze.
Torres de Lujan. Sul campo di calcio del manicomio «Colonia nacional dr. Manuel A. Montes de Oca» è in pieno svolgimento la partita tra la squadra locale e quella degli ospiti italiani. Mentre i giocatori, tutti pazienti psichiatrici, si danno battaglia senza risparmiarsi, ci accomodiamo a bordo campo con il piccolo gruppo degli accompagnatori. Di lì a poco siamo avvicinati da un uomo alto, barbetta grigia, camice azzurrino. Sul taschino è riportato un nome: dr. J. M. Romé. Medico, il dottor José Mario Romé è direttore della riabilitazione a Montes de Oca. Dopo rapide presentazioni, gentile e disponibile, Romé risponde alle domande. «In Argentina – spiega -, il sistema sanitario è diviso in pubblico, privato e quello delle opere sociali. Normalmente, dove si paga, si riceve una migliore attenzione. Tra le opere sociali, che appartengono ai sindacati, alcune sono buone, altre secondo me dovrebbero essere chiuse. Quanto alla sanità pubblica, fa quello che può. Dipende molto da come vengono amministrati i fondi, dipende molto dal luogo». Si intuisce subito che tipo di medico sia il nostro interlocutore: «Io credo – spiega -, che lo stato non può non occuparsi di ciò che riguarda la salute, l‘educazione, la pensione e la sicurezza per il futuro».
Romé lavora nel manicomio da 25 anni: nessuno meglio di lui può aiutare a capire il luogo. «L’85 per cento degli ospiti – racconta – sono pazienti con ritardo mentale, di varia entità: lieve, moderato, grave. Il resto sono pazienti psicotici, che stanno nel padiglione 3, un edificio per sole donne con una cinquantina di letti, non sempre occupati».
Ci raggiunge anche il dottor Jorge Santiago Rossetto, psicologo e direttore della Colonia Montes de Oca. Lui vuole parlare in italiano perché – spiega – «la mia famiglia è di origine piemontese, di Novara». Rossetto ricorda che, negli anni Settanta, Franco Basaglia lodò l’Argentina e le sue strutture manicomiali. «La Colonia Montes de Oca ha appena superato il secolo di vita. Aveva un’immagine molto negativa, enfatizzata dai media. Poi, nel 2004, anno del mio arrivo, abbiamo iniziato uno sforzo di trasformazione della struttura manicomiale. Adesso stiamo portando avanti la riconversione del nostro modello di attenzione, passando da un sistema di chiusura ad uno di integrazione comunitaria, dove cioè la comunità partecipa attivamente. Siamo in un momento interessante. Si stanno riducendo i letti nei padiglioni, mentre stanno aumentando i letti in case comuni. Abbiamo, ad esempio, un programma che si chiama “Ritoo a casa”. Ad oggi ne beneficiano 80 persone. Insomma, il processo di cambio procede lento, ma procede».
«Al padiglione 7 – interviene il dottor Romé – abbiamo iniziato a formare gruppi più piccoli. I pazienti cambiano attitudini: si autogestiscono, maneggiano un po’ di denaro, escono con la famiglia, anche se non è facile, perché quelle sono le stesse persone che a suo tempo li cacciarono».
Accompagnati dal dottor Romé, andiamo a visitare alcuni padiglioni. Ce ne sono 11 di funzionanti per un totale di circa 800 pazienti e 850 operatori. Il padiglione n. 1 salta subito agli occhi perché è stato dipinto con accesi colori pastello: giallo, verde, rosa. Diviso in 3 parti autonome, una per ogni piano, l’edificio ospita donne con ritardo mentale, basso, moderato, profondo. Tutto è molto spartano, ma le stanze sono pulite e le infermiere sembrano avere un buon feeling con le pazienti. Anche il padiglione n.3 appare adeguato.
Padiglioni dignitosi dunque, ma pur sempre all’interno di una struttura manicomiale tradizionale. Per trovare qualcosa di diverso, ci facciamo accompagnare al Centro diuo, che sta fuori della Colonia, anche se poco distante da essa. Il Centro è una struttura molto semplice, ad un solo piano, con in mezzo un ampio spazio coperto da una tettornia.
Gladys Chutte, Hector Possetto, Romina Caricato e Carina Rebottaro lavorano al Centro diuo e parlano con sincero entusiasmo del loro lavoro. Ognuno con la propria professionalità dà vita alla struttura ed alle attività per gli ospiti. «Questo – racconta Hector – è stato il primo Centro diuo, nato dopo un intervento al padiglione 7, il più problematico. Abbiamo iniziato poco più di 3 anni fa con 30 pazienti. Il modello proposto era articolato su 3 tappe: Colonia, Centro diuo, paese con le case di convivenza». «Dei nostri utenti, la metà – spiega Gladys – rientra alla Colonia, un’altra metà va nelle due case residenziali che abbiamo in paese. Inoltre, dato che abbiamo diversi laboratori, ci sono anche persone che vengono non per stare qui tutto il giorno ma semplicemente per seguire un corso».
Al Centro la scelta è ampia. Ci sono laboratori artistici (si tesse, si dipinge, si scrive) ed altri dove si cucina e si prepara il dulce de leche, il dolce argentino per antonomasia. C’è l’orto con la serra. Una parte dei prodotti dei laboratori vengono posti in vendita in paese.
Romé, Rossetto, Gladys, Hector… la Colonia Montes de Oca è un manicomio pubblico che, attraverso il lavoro di persone capaci ed illuminate, sta facendo un percorso importante di smarcamento dalla struttura manicomiale tradizionale.
Non è un’impresa semplice, anche per questioni di opportunità politica. «La sanità – chiosa il dottor Romé – dovrebbe sempre essere pubblica. Lo stato non dovrebbe mai delegare in questo campo, ma ci sono troppi interessi, come quelli dell’industria farmaceutica, per esempio. Quanto alla locura (pazzia) è sempre stata qualcosa da nascondere. Senza contare che i matti non portano voti, dato che non votano quando ci sono elezioni. Dunque, a chi importa di loro?».
Paolo Moiola