«Ho viaggiato con i “matti”»
Patasarriba: diario di un viaggio particolare
Avevano già viaggiato in treno fino a Pechino, in Cina.
A fine 2008, in 240 sono andati a Buenos Aires, in Argentina.
Sono i partecipanti a «Patasarriba», un viaggio culturale e sportivo effettuato da utenti, familiari e operatori dei servizi di salute mentale.
Un viaggio contro lo stigma e il pregiudizio che ancora colpisce le persone affette da disagio psichico. Un viaggio per riaffermare la validità della legge Basaglia (Legge 180), che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi italiani.
Roma, 21 novembre 2008. Aeroporto Leonardo da Vinci. L’articolo fatica a prendere forma. Non riesco a concentrarmi. Troppo rumore. C’è un folto gruppo di persone che, in attesa di imbarcarsi sul volo per Buenos Aires, parlano, ridono, scherzano, si rincorrono. Insomma, si divertono.
Ma chi saranno?, mi domando, forse un po’ invidioso di tanta vitalità. Provo a darmi delle risposte: una squadra in trasferta con i propri tifosi; un gruppo di Avventure nel mondo, la nota agenzia turistica; una gita aziendale. No, osservando i partecipanti, non sembra che alcuna delle mie ipotesi possa trovare conferma. Qualcuno, notando che sto osservando quello che accade, mi si avvicina e mi chiede se voglio firmare anch’io la bandiera.
Posso farlo, ma di che si tratta?, chiedo. Guardo la bandiera che dovrei firmare: «Italia-Argentina, Patasarriba, Un viaggio contro ogni pregiudizio, per un mondo senza manicomi». Patasarriba mi rammenta un saggio di Eduardo Galeano. Ma è il resto dello slogan che aiuta a capire. «Apparteniamo ad alcune associazioni che si occupano di salute mentale», mi spiega Daniele Benfenati, operatore sanitario a Bologna. Le associazioni sono l’Anpis (Associazione nazionale polisportive per l’integrazione sociale) e l’Unasam (Unione nazionale associazioni per la salute mentale).
«È un viaggio contro il pregiudizio a 30 anni dal varo della Legge Basaglia, una legge di civiltà giustamente famosa in tutto il mondo. Patasarriba, sottosopra in italiano, è il termine spagnolo che abbiamo scelto per sottolineare l’urgenza di un ribaltamento nelle politiche di salute mentale in Argentina», aggiunge Ennio Sergio, operatore ad Imola, tenendo stretta tra le mani la sua videocamera. Franco Basaglia, psichiatra veneziano promotore della Legge 180, che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi italiani, è molto conosciuto in America Latina, dove tenne una serie di seminari e conferenze.
Ma quante persone voleranno a Buenos Aires?, domando. «In tutto quasi 240 delle quali circa 150 sono affette da disagio psichico», mi risponde Rita Lambertini, operatrice a Bologna. Per organizzare una settimana fitta di incontri, attività e spettacoli, le associazioni italiane hanno trovato aiuto e appoggio in una associazione argentina similare, l’Adesam, Asociacion por los derechos en salud mental.
Benvenuti all’Università
Buenos Aires, 24 novembre. Per una strana coincidenza anch’io, come il gruppo di Patasarriba, ho previsto una visita alla sede di Buenos Aires dell’Università di Bologna. Per capire se le dure accuse di sprechi mosse da il Gioale, siano vere o mero frutto di una ovvia scelta filogovernativa del quotidiano berlusconiano. Quella in calle Rodriguez Peña 1778, nell’elegante quartiere della Recoleta, è l’unico esempio di università italiana con una sede operativa all’estero, ma fare cultura costa e spesso non dà profitti immediati. E questo, nell’Italia delle veline, del Grande fratello, dell’Isola dei famosi, della Fattoria, non è un fatto bensì un mero delitto…
La gente di Patasarriba ha preso posto nella piccola ma bella aula convegni dell’Università, dove il professor Giorgio Alberti, direttore dell’istituto, fa gli onori di casa. Assieme a lui, Stefania Costanza dell’ambasciata italiana, Roberto Grelloni, presidente di Anpis, e Carmen Mercedes Cáceres, presidente di Adesam.
Io mi perdo ad osservare le persone, cercando di capire chi possa essere un utente affetto da disagio psichico, chi un operatore sanitario, chi un familiare o un amico. Difficile capirlo, a volte impossibile. E per fortuna è così. Anzi, forse sta proprio in questo la filosofia di Franco Basaglia: fare sì che i matti (termine improprio ma dai più ancora utilizzato) siano soltanto persone tra le persone, indistinguibili e dunque non catalogabili o etichettabili.
La pazzia nel pallone
Giovedì 27 novembre. La località Torres de Lujan dista circa 90 chilometri da Buenos Aires. Qui sorge Montes de Oca, un manicomio statale con quasi 800 degenti.
La squadra italiana che sosterrà una partita di calcio contro una squadra di pazienti argentini è già in viaggio, seguita dalla piccola troupe televisiva guidata da Paula Kleiman, la regista che sull’evento girerà un documentario.
Il manicomio intitolato al dottor Manuel Montes de Oca è una struttura con più edifici immersa in un grande parco. Il sole picchia forte, ma gli alberi secolari leniscono la calura. Il dottor José Mario Romé, responsabile dell’area riabilitazione, ci fa da guida e ci accompagna al campo di calcio, dove le squadre sono già schierate. Fin dalle prime battute, si nota che gli argentini sono forti e il portiere della squadra italiana si arrabbia molto con i suoi difensori che non riescono a fermare gli attaccanti avversari. Il tutto si svolge sotto l’occhio elettronico delle due telecamere di Paula. Vince di misura la squadra di casa, ma gli italiani si sono battuti bene.
Una piccola delegazione di Patasarriba, guidata da Ennio Sergio, si ferma per visitare alcuni degli 11 padiglioni del manicomio che, pur nella penuria delle risorse finanziarie, sta tentando di rendere più umana la condizione di vita dei propri pazienti. A dimostrare questa filosofia, ci sono le strutture alternative, aperte fuori dall’istituto, come le case famiglia o il Centro diuo. Prima di riprendere la strada per Buenos Aires, Jorge Santiago Rossetto, psicologo e direttore di Montes de Oca, ci invita nel suo studio per uno scambio di opinioni. In mostra, in una vetrina della stanza, c’è anche una vecchia macchina per l’elettroshock. Per fortuna, oggi è soltanto un cimelio.
La «Bombonera»
di Maradona
Venerdì 28 novembre. Come il Matadero, visitato mercoledì, anche La Boca è un quartiere difficile, ma a differenza del primo è famoso, soprattutto tra i calciofili.
Franca Aceti, docente di neuropsichiatria a La Sapienza, Marcella Venier, psicologa, e Marco D’Alema, psichiatra a Frascati, oggi non sono qui come terapeuti, ma soltanto come spettatori. I protagonisti sono nelle accoglienti palestre del Club Atletico Boca Juniors, che è mondialmente conosciuto per le imprese della propria squadra di calcio, ma che in primis è una società polisportiva fondata nel 1905 da alcuni immigrati genovesi.
Cinque squadre italiane (che includono anche donne) stanno disputando partite di calcetto contro le squadre locali. Ai bordi dei campi e sugli spalti il tifo è incessante, accompagnato da cori, tamburi e sventolio di bandiere. L’entusiasmo è palpabile.
Gli organizzatori hanno pensato a tutto. Infatti, mentre nelle palestre si svolgono le partite, piccoli gruppi vengono accompagnati a visitare la Bombonera, il mitico stadio del Boca, con la sua forma particolare, i colori sgargianti (giallo e blu), il museo multimediale, le foto e le storie dei giocatori, Diego Armando Maradona in primis.
Al termine degli incontri, il folto gruppo di Patasarriba a piedi si sposta nella parte turistica de La Boca, quella che si è sviluppata attorno a Calle Caminito e al Riachuelo, fiume (ora inquinatissimo) che confluisce nel Rio de La Plata e che un tempo ospitò il porto di Buenos Aires. E dove, nell’Ottocento, approdarono gli immigrati genovesi. Ma la storia del quartiere oggi passa in secondo piano. Pazienti, operatori, familiari si perdono tra bancarelle e ristorantini. E locali di tango, dove alcuni non esitano ad esibirsi al fianco dei ballerini professionisti.
La poesia di Marta
Domenica 30 novembre: per Patasarriba è il giorno del rientro in Italia. Marta, una paziente con cui ho stretto amicizia, vuole lasciarmi un suo ricordo sul quaderno degli appunti. Scrive: «La gioia entra in te/ a poco a poco invade il tuo essere/ e diventa veramente tua/ nella misura in cui tu sai donare agli altri».
Per un puro caso, ho incontrato e conosciuto la gente di Patasarriba. È stato bello provare orgoglio nell’essere italiano. Non mi capita spesso.
Paolo Moiola