Catastrofe infinita
Introduzione
La campagna scatenata dalle Forze armate israeliane (Tsahal) contro la Striscia di Gaza, dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, è stata chiamata operazione «Piombo fuso», parole desunte da una canzone cantata durante gli otto giorni di Hanukkah, una festa che ricorda la vittoria riportata dai Maccabei, nel II secolo a.C., sui greci che volevano imporre al popolo ebreo l’ellenismo con relativi usi e costumi pagani; una vittoria, secondo Zaccaria 4,6, «dello spirito sulla forza brutale» che minaccia Israele nella sua vita religiosa e spirituale. Tale operazione militare è stata lanciata proprio durante tale festa di Hanukkah, il sabato, elevandola così al rango di causa nazionale e religiosa.
Da parte d’Israele l’attacco militare è presentato come operazione di legittima difesa, cioè per neutralizzare i razzi Qassam lanciati da Hamas contro obiettivi civili del sud di Israele; tale lancio si sarebbe intensificato appena scaduta la tregua di sei mesi, stipulata il 19 giugno 2008 grazie alla mediazione egiziana.
Da parte palestinese, invece, la ripresa del lancio di razzi è stato motivato dalle violazioni della tregua di parte israeliana il 4 novembre 2008, con l’assassinio di 6 suoi militanti, con il blocco dei convogli umanitari e l’uccisione di 19 palestinesi in attacchi aerei.
Ora, la nozione di legittima difesa presuppone una proporzionalità dei mezzi impiegati, ma non è il caso dell’operazione «Piombo fuso»: Tsahal ha attivato una sessantina di bombardieri e almeno 20 mila uomini super equipaggiati di fronte a resistenti armati di razzi rudimentali e di adolescenti armati di pietre.
Scopi ufficiali dell’operazione erano: distruggere i supporti logistici di Hamas, eliminare il maggior numero possibile di leader, rallentare o addirittura prevenire il riarmo, distruggendo i tunnel sotterranei tra Gaza ed Egitto, attraverso i quali si rifoiscono di armi Hamas e altre fazioni paramilitari. Di fatto l’operazione «Piombo fuso» ha seminato morte tra i civili e ridotto Gaza in un cumulo di rovine.
L’uso sproporzionato della forza è confermato anche da un rapporto interno delle Nazioni Unite, pubblicato all’inizio del mese di maggio, in cui vengono ricostruiti i fatti di «nove incidenti più gravi» accaduti durante l’operazione «Piombo fuso». Il giudizio degli esperti Onu è duro: essi accusano Israele di uso eccessivo e indiscriminato della forza contro i civili, e di aver aperto il fuoco e bombardato deliberatamente le sedi Onu pur sapendo che si trattava di edifici delle Nazioni Unite, a partire dal bombardamento della scuola femminile Unrwa (agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi) di Khan Younis, a quello della scuola elementare di Gaza City, alla scuola di Jabalya, fino ai mezzi e alle ambulanze Onu e ai morti provocati dai proiettili contro la scuola elementare di Beit Lahia.
Poche settimane dopo il cessate il fuoco, in Israele si sono tenute le elezioni anticipate (10 febbraio). Secondo molti commentatori la campagna elettorale è strettamente legata alla messa in opera dell’attacco militare, della sua escalation e dell’appoggio unanime delle principali forze politiche israeliane. Il risultato delle votazioni ha premiato i politici che hanno maggiormente appoggiato la campagna militare.
Ciò non significa che tutta la società israeliana sia guerrafondaia. Da alcuni anni cresce il numero degli obiettori di coscienza, chiamati «refusnik»: sono i giovani che rifiutano di arruolarsi e numerosi soldati, ufficiali e sottufficiali che abbandonano l’esercito, per sottrarsi al dover prestare servizio nei Territori Occupati palestinesi e dovere obbedire a ordini di natura repressiva e aggressiva contro civili.
E poiché Israele non riconosce il diritto all’obiezione di coscienza né prevede servizio civile alternativo, coloro che rifiutano di arruolarsi vengono sottoposti a processi e umiliati, fino a essere riformati in quanto «mentalmente disabili»; mentre quei militari, arruolati o riservisti, che scoprono di non potere, in coscienza, obbedire agli ordini dei loro superiori, vengono incarcerati e scontano la loro pena in un carcere vicino a Haifa.
Benedetto Bellesi