Insieme a zambujal
Portogallo
In uno dei quartieri più poveri e disagiati della periferia di Lisbona prende vita un’esperienza di lavoro comune che unisce missionari e missionarie, religiosi e laici, tutti tesi a portare una parola di speranza.
Una serie di grandi costruzioni giallastre e grigie alla periferia di Lisbona, a pochi passi dai modeissimi stadi di calcio del Benefica e dello Sporting, danno ospitalità a circa ottomila persone, esiliate in quest’angolo di Portogallo dalle loro condizioni di disagiati cronici. Reduci portoghesi mai arricchitisi dall’avventura coloniale si ritrovano come vicini di casa coloro a cui prima contendevano la terra mozambicana, angolana e di altri angoli di mondo. Capoverde è ben rappresentato in questo piccolo microcosmo di umanità racchiuso fra le mura sbrecciate dell’edilizia popolare portoghese, che comprende anche un buon numero di rom, cinesi e persone emigrate dai vari paesi dell’Est Europa. È Zambujal, il territorio che dal 2002 i missionari e le missionarie della Consolata, religiosi e laici, hanno scelto per impostare un lavoro di équipe che fosse una risposta evangelizzatrice alle varie frontiere ad gentes che si iniziavano ad aprire anche in Europa.
Abbandono scolastico, disoccupazione selvaggia, lavoro saltuario e precocità nel costituire una famiglia sono fenomeni quotidiani per molta gente che a Zambujal cerca un luogo in cui sopravvivere alla bene e meglio. Le sfide, per chi opera in questo quartiere sono il dialogo interculturale, la formazione di leader per la gioventù e gli animatori di comunità; senza ciò, il tessuto sociale sarebbe assolutamente impermeabile.
Invece, nel quartiere dello Zambujal, la consolazione si è diffusa rapidamente tra le persone che lo abitano. L’équipe missionaria ha saputo creare entusiasmo e in breve tempo lo sforzo di proporre una forma alternativa di vivere è stato concretamente condiviso da molti. Ci sentiamo una grande famiglia: la gente ci invita a pranzare a casa loro, ci vuole presenti durante le celebrazioni e le feste tipiche della loro terra d’origine. Le persone si confidano con noi e raccontano con semplicità e spontaneità i segreti della loro vita: hanno fiducia e, al contempo, cresce e si rafforza il loro senso di appartenenza.
Ho sempre creduto che i vari progetti a favore della gente devono formare leader locali, affinché la dipendenza dai missionari sia minima. In questo quartiere ciò avviene e i progetti di pastorale e di sviluppo sorgono uno dopo l’altro per iniziativa della popolazione, che inizia a realizzarli con autonomia e responsabilità.
Nella mia preghiera personale rifletto e cerco di comprendere il valore e il senso della mia presenza nel quartiere – a volte fugace, fragile e spesso segnata dalla stanchezza per altri impegni che mi sono affidati. Tuttavia, con grande meraviglia constato che Dio risponde alla mia preghiera attraverso le persone: ad esempio, quando sono più stanco, sono accolto con maggior attenzione e amicizia dalla gente; quando mi sembra di avere fatto poco, mi accorgo che le persone valorizzano quel poco che ho donato; quando dopo essere stato lontano per un po’ di tempo too la gente mi accoglie e fa festa.
La mia attività nello Zambujal mi ricorda che la missione è fatta soprattutto di presenza, vicinanza, accoglienza: sì, ci vogliono anche le opere, ma si realizza soprattutto attraverso la condivisione della vita che vale molto di più di tanti progetti. Il missionario lascia la sua terra di origine e va incontro alle persone: questo dà valore alla sua presenza là dove è stato inviato.
In diversi momenti della mia vita ho notato come sia importante prendere e sostenere delle iniziative insieme alla comunità, vivendo profondamente lo spirito di famiglia. Questo spirito unisce anche la comunità eterogenea dello Zambujal: tutti siamo consolatori e al contempo consolati; tutti catechisti e catechizzati.
La gioia che vedo sul volto delle persone quando arrivo nel quartiere è una delle maggiori consolazioni che provo come missionario nella periferia di Lisbona. Rispetto molto le persone anziane, mi consola la fiducia che pongono in me quando narrano e confidano le pene e le giornie della loro vita.
Gioisco e sono consolato anche dalle conversazioni in creolo, dalla musica etnica suonata con tanta passione e, soprattutto, dal vibrare all’unisono per gli eventi giorniosi e anche quelli tristi della vita. Questo intrecciarsi di gesti e parole crea un forte senso di appartenenza che non guarda il colore della pelle, ma si fonda sul calore umano, che consola profondamente tutti.
Nello Zambujal la consolazione è attuale e vibrante, bisogna solo essere capaci di donarla e riceverla con umiltà e generosità.
Mario Linhares