Il sistema è sbagliato: meno mercato, più solidarietà

Neoliberismo e pensiero unico
Buenos Aires 2 / Incontro con i lavoratori dell’Hotel Bauen

Negli anni Novanta e successivamente allo scoppio della crisi, sotto lo sguardo del mondo finanziario internazionale (prima vestale, poi arpia), centinaia
di fabbriche argentine chiusero i battenti, buttando sulla strada migliaia
di persone con le rispettive famiglie.  Molte non si ripresero più, altre cercarono occupazioni diverse, altre ancora attesero tempi migliori. Una importante minoranza si ribellò al sistema e rimise in attività le imprese abbandonate dai proprietari. Nacque allora il fenomeno delle «fabbriche recuperate».
L’Hotel Bauen ed i suoi lavoratori sono protagonisti di una di quelle storie…

Buenos Aires. A poche centinaia di metri dal Congresso, affacciato sulla centrale Avenida Callao, sorge un palazzo di venti piani, tutto vetro e metallo verde scuro.  Quel palazzo ospita l’Hotel Bauen.
Entriamo in una hall spaziosa, elegante senza essere sfarzosa. Sulla parete che separa il bancone della reception dalla caffetteria è appesa una targa, molto sobria, che ricorda una tappa fondamentale nella storia recente di questo hotel. Leggiamo: «Empresa recuperada por sus trabajadores, 20 de marzo de 2003». Insomma, l’Hotel Bauen è un’impresa chiusa dai proprietari e riaperta dai lavoratori licenziati. Un avvenimento inconsueto nel mondo, ma abbastanza diffuso nell’Argentina post-2001.
Sotto la targa storica sta un quadro che raccoglie poesie di Juan Gelman, poeta e giornalista nato a Buenos Aires. Le liriche di Gelman sono una scelta azzeccata, non soltanto per la loro intrinseca bellezza, ma anche perché l’autore è stato una vittima della dittatura militare.
L’Hotel Bauen fu costruito sotto gli auspici di quel regime. Correva l’anno 1978 e la giunta militare argentina aveva organizzato i Campionati mondiali di calcio, come vetrina per legittimarsi agli occhi (colpevolmente distratti) del mondo. Un impresario vicino ai militari, Marcelo Iurcovich, approfittò delle proprie amicizie politiche e del momento favorevole per ottenere un prestito (mai più restituito) da una banca statale (Banco nacional de desarrollo, Banade) con il quale costruire l’hotel. Questo assunse il nome di Bauen, dall’acronimo della impresa del signor Iurcovich (Buenos Aires Una Empresa Nacional, Bauen). 
Venduto ad un gruppo cileno, a fine dicembre 2001, nel pieno della crisi economica argentina, il Bauen chiuse per fallimento. Ma qualcuno degli oltre 100 lavoratori gettati sulla strada non si arrese…

Come si lavora senza…
padroni
Marcelo Ruarte, un uomo distinto e con la barba grigia tenuta a pizzetto, è uno di loro. Ci accoglie in una stanza luminosa tappezzata di manifesti. Alcuni ricordano momenti della storia del Bauen e di altre imprese recuperate; altri ritraggono personaggi del presente (Hugo Chávez, Evo Morales, Fidel Castro) e del passato (Che Guevara).

Marcelo, all’entrata abbiamo letto una targa che celebra la nascita del nuovo Bauen. Ma l’inizio è stato un altro…
«Il Bauen fu propiziato dalla dittatura durante i mondiali di calcio. La manifestazione sportiva faceva parte di una strategia dei militari per far dimenticare la repressione e la tortura».

La storia di questo hotel ha avuto parecchi momenti drammatici…
«Quando il 28 dicembre del 2001 l’hotel chiuse: erano 21 anni che lavoravo nel Bauen. Il 21 marzo del 2003 occupammo l’hotel con l’aiuto del “Movimento delle fabbriche recuperate”, il cui slogan era “occupare, resistere, produrre”. Fu molto dura. Nessuno di noi era un militante. Eravamo lavoratori imprigionati da meccanismi che venivano da fuori: il neoliberismo, la globalizzazione. Una politica selvaggia e crudele che i nostri governanti adottarono a scatola chiusa».

Il Bauen ha quasi 200 camere e 500 posti letto… Riuscite ad essere competitivi sul mercato?
«A Buenos Aires ci sono le grandi catene alberghiere che hanno un altro progetto e un altro target. Noi dobbiamo fare leva sulla nostra storia di impresa recuperata».

In Argentina, le imprese recuperate sono oltre 200. Possiamo parlare di  una storia di successo?
«A noi va bene. Ma non è così per tutte le imprese recuperate. Il compagno che deve produrre un bene deve pagare le materie prime e non è facile se non ottieni credito sul mercato capitalista.
Per questo noi cerchiamo di creare un’altra economia: un’economia solidale, che rispetti la dignità delle persone. Ma non si tratta di un’economia per poveri, come qualcuno pensa».
Nel Bauen oggi lavorano 150 persone, riunite in cornoperativa di lavoro. È una impresa senza padroni, come dite orgogliosamente. I rapporti tra voi lavoratori come sono?
    «Non tutto funziona. Quando ci sono le assemblee, ci sono compagni che dicono: “io sono padrone di questo”. Inoltre, molti, nella quotidianità, non fanno il loro lavoro e il collega deve lavorare anche per lui.
Perché accade questo? È un problema di cultura del lavoro che si è instillata in molti: secondo costoro, niente si poteva fare senza padrone. Invece, il Bauen è la dimostrazione che si può fare e che si può fare addirittura senza capitale, se c’è la volontà. In questi tempi (e non sto parlando di Argentina) non c’è altro modo per riuscire».

Le imprese recuperate sono nate all’epoca della crisi argentina. Con le due presidenze Kirchner, prima Nestor ed ora Cristina, le cose sono migliorate?
«Le imprese recuperate nascono dalla caduta di De la Rúa, quando il presidente scappò in elicottero. Il governo di Kirchner non è il governo di Menem o il governo della dittatura, ma la legge di espropriazione non è ancora stata approvata (ha passato una sola commissione su 3).  Però noi siamo ancora qui e abbiamo dimostrato di saper generare occupazione e capitale».

Oggi il Bauen è un punto di riferimento anche per molti altri lavoratori, giusto?
«Sì, cerchiamo di aiutare. Per esempio, quando arriva un compagno a dire:  “non ci stanno pagando”, “vogliono portare via i mezzi di produzione”…, noi gli suggeriamo di… “aggrapparsi ai macchinari”. Perché spesso occorre una soluzione immediata e concreta. Non la burocrazia dei politici o la complicità dei sindacalisti».

Quando si parla di occupazione e di espropri, si corre il rischio di incappare nei rigori della legge, che salvaguarda sempre il diritto di proprietà privata. È stato così anche nel vostro caso?
«Infatti, noi non siamo titolari dell’immobile: davanti alla legge siamo illegali. Per questo chiediamo allo stato che diventi proprietario di questo edificio e ci permetta di continuare con i nostri progetti. Abbiamo investito oltre un milione di dollari, ma nelle assemblee qualcuno sempre domanda: perché continuiamo ad investire in un luogo che non è nostro? Adesso, per esempio, stiamo ristrutturando la piscina e l’esterno che, essendo di vetro e metallo, si è ossidato».

Nel luglio del 2007, il tribunale vi ha dato torto. Come spiega questa sconfitta?
«La giudice commerciale Paula Hualde che ha deciso sul Bauen ha fatto esclusivo riferimento alla proprietà privata: secondo la legge, la Mercoteles è la proprietaria dell’immobile. Alla giudice non importa che gli Iurcovich, proprietari della Mercoteles, costruirono l’hotel con i soldi dello stato, con la corruzione, l’amoralità.
Ricordo che, quando eravamo seduti attorno a questo tavolo, lei parlava del diritto alla proprietà privata previsto dalla Costituzione argentina (articolo 17) e noi  rispondavamo con il diritto al lavoro previsto dalla stessa Costituzione (articolo 14)».
A pochi passi da qui, su Avenida Corrientes, c’è il Bauen Suite Hotel appartenente alla Mercoteles della famiglia Iurcovich. Quella del Bauen sembra una telenovela con la famiglia Iurcovich  sempre protagonista…
«Il maggiore creditore del Bauen è lo stato, che prestò il denaro alla famiglia Iurcovich per costruirlo.  Quel credito iniziale, ricevuto dal Banco Banade, di proprietà statale, non fu mai restituito.
Una storia di complicità, corruzione, negligenza. Basti pensare che sono passati 30 anni dalla nascita del Bauen, 30 anni di clandestinità, perché non è mai stato abilitato come hotel!».

Oggi tutto il mondo si dibatte in una crisi economica che sembra una crisi strutturale e non ciclica come nel passato, che pensa al riguardo?
«Penso che la nostra debba essere una lotta per un sistema diverso, distinto da quella capitalista, trasparente, umano. Per questo noi cerchiamo di creare un’altra economia: un’economia solidale, che rispetti la dignità delle persone. Ma non si tratta di un’economia per poveri, come qualcuno pensa.
Il capitalismo non aveva altro destino se non quello che sta capitando».

E gli Stati Uniti?
«Spero che il presidente Obama abbia la forza e possibilità per agire diversamente dal suo predecessore».

In Argentina, la disoccupazione e la sottoccupazione rimangono alte, ma durante la crisi del 2001 si respirava aria peggiore, no?
«Ma Tucuman e Salta stanno combattendo contro la fame. La fame! E non occorre andare mille chilometri a nord. Basta muoversi qui, in periferia. Ci sono famiglie che sopravvivono nella precarietà. Con i figli che non possono avere un’assistenza medica adeguata perché gli ospedali pubblici sono al collasso, senza farmaci, senza strumenti. E lo stesso dicasi per l’educazione».
Dunque, voi siete fortunati perché almeno avete un lavoro. A casa portate un salario adeguato?
«No, ovviamente non abbiamo un salario sufficiente, ma sono soldi generati dal nostro lavoro, senza padroni. Tutti riceviamo la stessa cifra: circa 400 dollari al mese. Dobbiamo sempre ricordarci che siamo lavoratori e in quanto tali non possiamo sfruttare altri lavoratori. Dobbiamo salvaguardare la nostra origine. Altrimenti non ha ragione di esistere questa lotta.
Me entiendes?». 

Di Paolo Moiola

Storia dell’Hotel Bauen:
diritto di proprietà Vs diritto al lavoro

1978 – In occasione dei Campionati mondiali di calcio, viene costruito un hotel in Avenida Callao a poche centinaia di metri dal Congresso della Repubblica. L’Hotel assume come nome l’acronimo della impresa – B.A.U.E.N. che sta per «Buenos Aires Una Empresa Nacional» -, guidata da Marcelo Iurcovich, un impresario legato alla dittatura militare.

1997-2001 – L’hotel viene acquistato e gestito dal gruppo Solari, di origine cilena.

2001, 28 dicembre – Il Bauen viene chiuso per fallimento. Oltre 100 lavoratori rimangono senza lavoro.

2003, 21 marzo – Con l’aiuto del «Movimento nazionale delle imprese recuperate» – Movimiento nacional de empresas recuperadas, Mner -, un gruppo di lavoratori del Bauen occupa l’hotel ed inizia il suo recupero.

2004, giugno – Il Bauen viene riaperto al pubblico ed inizia l’attività.

2007, 20 luglio – La giudice commerciale Paula Hualde stabilisce che l’hotel deve essere sgombrato dalla cornoperativa di lavoratori che lo gestisce e deve passare alla società Mercoteles della famiglia Iurcovich.

2008-2009 – Il Bauen continua ad operare sotto la cornoperativa dei lavoratori, mentre la deputata Victoria Donda si è fatta promotrice di una Ley de expropiación (Legge di espropriazione), che affidi definitivamente l’hotel a chi lo ha salvato e dal 2003 lo gestisce.

Fonti: Diego Ruarte, responsabile Prensa trabajadores del Bauen; Elisabet Contrera, Negocio cinco estrellas, pubblicato in 2 puntate – 21 agosto e 22 agosto 2007 – sul quotidiano argentino Página 12.
Sito: www.bauenhotel.com.ar

Paolo Moiola

Paolo Moiola

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