Il racconto delle nozze di Cana (5)
Facciamo ancora un passo avanti per raggiungere l’obiettivo che ci siamo dati con la rubrica della nostra rivista «Così sta scritto», e cioè aiutare i lettori a vincere l’approccio superficiale alla Bibbia con un’attenzione più rispettosa del testo che per noi è Parola di Dio.
Ogni volta che prendiamo in mano la Bibbia dobbiamo avere lo stesso atteggiamento e la stessa sensazione che ebbe Mosè quando vide il roveto di fuoco e scoprì di trovarsi davanti a Dio: si tolse i calzari, abbassò la testa fino a terra e stette in adorazione (Es 3,1-6). Noi invece siamo stati abituati a leggere la Bibbia come un libro di racconti edificanti o come un codice etico, da cui prendere quello che serve all’occasione, perdendo di vista la visione globale del disegno di Dio che la Bibbia descrive: un progetto di alleanza inserito nella storia dell’umanità.
Ne deriva che la Bibbia è una prospettiva di vita e bisogna impararla frequentandola assiduamente e mettendo in connessione tra loro fatti, eventi e parole per potee cogliere la portata unitaria. Nessun fatto narrato nel vangelo o in qualsiasi altra parte della Bibbia può essere preso da solo e staccato dal suo contesto naturale, perché significa sfalsae il senso: vale per le nozze di Cana, le parabole o i miracoli.
In ginocchio davanti al trono della Gloria
Alla luce di quanto appena detto, foiamo di seguito una visione d’insieme dello schema di tutto il vangelo di Giovanni, che ci serve anche come consultazione quando vogliamo leggee un brano o un passo: vedere dove è collocato, quale posto occupa all’interno del progetto dell’autore. In questo modo capiremo meglio e più profondamente. Forse all’inizio ci costerà un po’ di fatica, ma siamo sicuri che i lettori conoscono il proverbio «non c’è rosa senza spine».
Sul IV vangelo sono state fatte molte proposte di divisione e di strutture, segno della complessità e forse anche dell’irriducibilità del testo: possiamo sfiorarlo, ma non possederlo, possiamo intuirlo, ma non dominarlo perché la Parola di Dio è, sì, scritta con parole dell’uomo che usa le regole delle grammatiche delle lingue umane, ma è anche la Parola di Dio che emerge dal limite in tutto il suo splendore superandoci in sovrabbondanza.
Gli stessi disaccordi tra gli studiosi non sono alternativi, ma angolature diverse, di cui ognuno coglie un aspetto che non necessariamente nega gli altri, ma semmai si integra con essi che espongono altri punti di vista. Di fronte alla Parola di Dio bisogna essere «umili» e bisogna stare anche «in ginocchio» perché essa è il trono della gloria del Lògos che diventa fragilità per mettersi al nostro livello: «E il Lògos carne fu fatto» (Gv 1,14).
a) Cana punto di arrivo e punto di partenza
Tra tutte le proposte di divisione del vangelo di Gv, ci sembra più interessante quella dello studioso Frédéric Manns (cf bibliografia della 1a puntata: L’Évangile 12-17), specialista del vangelo di Gv e di letteratura giudaica che insegna a Gerusalemme allo Studium Biblicum Franciscanum. La particolarità della sua proposta (e di tutta la sua impostazione esegetica) sta nel fatto che egli, più di ogni altro, mette in rapporto il IV vangelo con la letteratura giudaica e i testi di Qumran, con l’obiettivo espresso di ricercare il sottofondo originario della predicazione di Gesù e della presentazione che ne fa l’autore del vangelo.
È vero: poiché noi non conosciamo il giudaismo, non capiamo il 90% del significato del vangelo. Lo schema sintetico del IV vangelo, suggerito da Frédéric Manns, che riportiamo sotto, ci aiuta a rilevare subito che il racconto delle nozze di Cana non è un masso erratico, ma è inserito dentro una visione teologica che ha come epicentro geografico la cittadina di Cana dove Gesù compie «due segni»: uno rivolto ai Giudei con le nozze di Cana (Gv 4,1-12) e l’altro rivolto ai Pagani con la guarigione del figlio del funzionario regio (Gv 4,43-51).
b) Da Cana a Cana: due rivelazioni di una sola Gloria
A Cana quindi avvengono due rivelazioni che riguardano il mondo intero: i giudei e i pagani, i credenti e i non credenti, il mondo biblico e il mondo estraneo alla Bibbia. Questi due segni sottolineano già nel loro stesso annuncio, l’universalità del messaggio di Gesù che l’evangelista mette in evidenza, perché la rivelazione del monte Sion fu riservata al solo popolo ebraico, mentre ora, nell’èra messianica, Dio parla al mondo intero, senza più distinzione di popolo, lingue, tribù e nazioni (cf Ap 7,9). Troviamo pertanto qui un primo velato accenno all’alleanza del monte Sinai che svilupperemo più avanti perché intimamente connesso con il racconto delle nozze di Cana.
I due segni di Cana (nozze e guarigione) sono in relazione tra loro e non solo perché avvengono nello stesso luogo, ma perché è lo stesso autore che li collega anche dal punto di vista letterario. Infatti se guardiamo lo schema, nella sezione «2,1-4,59: I primi due segni ovvero da Cana a Cana», vediamo subito un procedimento circolare o come si suole dire a «chiasmo», cioè a incrocio, dove al 1° punto corrisponde l’ultimo, al 2° il penultimo, al 3° il terzultimo e via di seguito fino a un incrocio che costituisce la parte centrale comune.
Da Cana al monte Sinai
Il punto centrale della sezione che comprende i «due segni di Cana» è un duplice dialogo: il primo quello con Nicodemo riguarda la nuova nascita nello Spirito, mentre il secondo comprende quello di Giovanni Battista con i discepoli sulla identità del Cristo, quasi a dire che per conoscere il Cristo e incontrarlo è necessario «rinascere dallo Spirito Santo». Non basta fare una passeggiata per andare a trovare Gesù, bisogna stare dalla parte dello Spirito, cioè dall’alto, per potere diventare discepoli del messia (cf Gv 3,3).
I due segni di Cana sono una forma di preparazione perché pongono le condizioni per accedere alla nuova rivelazione. Sul monte Sinai Dio rivelò il suo «Nome, Yhwh» e lo affidò a Israele perché lo custodisse e lo testimoniasse nel mondo. A Cana Gesù manifesta la sua gloria, rivelandosi a Israele e a tutte le genti, per riproporre all’umanità il disegno originario della creazione: una sola famiglia, un solo popolo, un solo Dio creatore.
Il racconto delle nozze, cioè il 1° segno di Cana, è dunque il punto di partenza di questo nuovo processo di rinnovamento della creazione intera, mentre la guarigione dalla morte del figlio del funzionario pagano, cioè il 2° segno di Cana, è il punto di arrivo: nelle nozze di Cana si riprende il tema del Monte Sinai, che fonda l’identità attraverso la Legge (le regole), mentre nel segno della guarigione, troviamo il germe della nuova creazione e della nuova vita che risorge, nonostante Adamo: se il peccato di Adam consistette nel rifiutare di somigliare al Lògos, cioè al Figlio, ora il Figlio, il nuovo Adam, accetta di riflettere in sé il volto del Padre e di essergli obbediente, anche fino alla morte, anche oltre la morte (cf Fil 2,8-11).
Di seguito lo schema generale del vangelo di Giovanni, proposto da Frédéric Manns in una nostra traduzione dal francese e con qualche modifica da noi apportata:
Struttura del Vangelo di Giovanni
1,1-51: Introduzione:
1,1-18: prologo
1,19-51: vocazione dei discepoli
2,1-4,59: I due primi segni ovvero da Cana a Cana:
a) 2,11-12: 1° segno: manifestazione della gloria ai Giudei a Cana
b) 2,13-25: il segno del tempio e l’annuncio del nuovo tempio
c) 3,1-21: dialogo con Nicodemo: rinascita dall’acqua e dallo Spirito
c’) 3,22-36: dialogo di Giovanni Battista con i suoi discepoli
b’) 4,1-42: dialogo con la Samaritana sul nuovo culto
a’) 4,43-51: 2° segno: manifestazione della gloria ai pagani a Cana
5,1-6,71: Due segni ovvero da Gerusalemme a Cafaao:
5,1-15: guarigione del paralitico
5,16-47: discorsi
6,1-15: moltiplicazione dei pani
6,16-25: transizione
6,26-71: discorso sul pane di vita
7,1-10,42: Dalla festa delle Tende alla festa della Dedicazione:
7,1-53; 8,12-59: festa delle Tende [8,1-11: adultera: aggiunta]
9,1-41: guarigione del cieco nato
10,1-21: Gesù bel pastore e porta delle pecore
10,22-42: l’identità del Cristo
11,1-12,50: Da Betania a Gerusalemme:
11,1-57: resurrezione di Lazzaro
12,1-11: unzione di Betania
12,12-18: ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme
12,20-36: Annuncio della glorificazione attraverso la morte
12,37-50: Conclusione
13,1-17,26: Discorsi di addio:
a) 13,1-38: lavanda dei piedi
b) 14,1-31: primo discorso di addio
c) 15,1-17: la vite e i tralci
c’) 15,18-16, 4: persecuzione dei discepoli
b’) 16,5-33: secondo discorso di addio
a’) 17,1-26: preghiera di Gesù
18,1-20,29: Passione e risurrezione:
a) 18,1-14: arresto al giardino
b) 18, 28-19,16b: processo davanti a Pilato
a’) 19, 16c-42: morte e sepoltura di Gesù
c) 20,1-18: Pietro e il discepolo al sepolcro. Apparizione a Maria
c’) 20,19-29: Apparizioni ai discepoli e a Tommaso
20,30-31: Conclusione
21,1-25: Appendice
La Gloria ricama tutto il vangelo di Giovanni
Questo schema ha il pregio di tenere presente non un solo metodo di lettura, ma di integrare metodologie diverse: lo schema geografico (da Cana a Cana; da Gerusalemme a Cafaao; da Betania a Gerusalemme) s’inserisce in quello liturgico (festa delle Tende e festa della Dedicazione) e questo, a sua volta, in quello tematico (segni, tema della gloria, discorsi di addio, passione, ecc.) e tutti all’interno di un progetto di fondo dell’evangelista, che ruota attorno al termine «gloria» e a quello dell’«ora», due parole che ricorrono da cima a fondo come due tessiture che tengono in piedi tutto l’ordito del vangelo con la loro ricorrenza che potremmo definire «ostinata».
Gv vuole costringere il lettore a prendere coscienza di queste due parole: «gloria» che in greco si dice «dòxa» e «ora» che in greco si dice «hôra». Di ciascuna diamo una breve e sintetica descrizione.
a) Ogni pagina trasuda gloria
La parola «gloria – dòxa» si trova in Gv 1,14 (2 volte), nel racconto delle nozze di Cana (Gv 2,11), a metà del vangelo (Gv 12,41) e alla fine (Gv 17,1.5.22.24), formando così una inclusione, cioè un termine non casuale, ma volutamente immesso (incluso) nel testo per racchiudere tutto ciò che c’è in mezzo e poterlo leggere alla luce del significato di questo termine. Non si può capire il vangelo e tanto meno il racconto delle nozze di Cana se non comprendiamo bene quale sia il significato della parola «gloria – dòxa» che diventa così una chiave d’interpretazione di tutto il vangelo e non solo delle nozze di Cana.
Lo stesso termine infatti, oltre alle 8 volte sopra citate, si trova nel IV vangelo altre 15 volte, costituendo così un mosaico che racchiude tutto il vangelo (Gv 5,41.44 [2x]; 7,18; 8,50; 9,24; 11,4.31.40; 12,23.28.43; 13,32; 16,14; 21,19) per un totale di 23 volte. Si potrebbe dire che non c’è pagina del vangelo di Gv che non riporti la parola «gloria» oppure un verbo che indica l’azione gloriosa del «manifestarsi» (phaneròō: 1,31; 3,21; 9,3; 21,1). È questo che intendiamo dire con l’espressione «parola ostinata», cioè martellante, ricorrente: una parola senza della quale l’intero disegno del vangelo si perde e si smarrisce.
b) Il peso della Gloria
La parola «gloria – dòxa» traduce il termine ebraico «kabòd» che gli ebrei del tempo di Gesù utilizzavano come sostituto del Nome di Dio «Yhwh», Nome che nessuno poteva pronunciare. Essa è dunque un sinonimo di «Signore», usato nella preghiera e nelle conversazioni, ma c’è dell’altro.
In ebraico la parola «kabòd» deriva dalla radice «k_b_d», che contiene in sé il senso di «peso», per cui una cosa gloriosa è una realtà pesante, in quanto cioè è consistente; «la gloria» infatti esprime il valore e la consistenza esistenziale e sociale di una realtà, di una persona, di una funzione. L’uomo orientale ama «il grasso» perché indica più peso e quindi più consistenza, cioè maggiore autorità, significato, importanza. Dio è «glorioso» perché è l’essere più «pesante» che esista, in quanto è la pienezza stessa dell’esistenza: è il Creatore.
La «Gloria» riferita a Dio non è qualcosa di astratto o di pomposamente rituale, ma indica il «Nome» stesso di Dio, cioè la sua natura e la sua vita, che è solida, consistente, piena. «Dare gloria a Dio» significa riconoscee la «signoria» e la maestà e riconoscersi suoi figli ubbidienti.
c) L’ora della gloria
L’altra parola che abbiamo è «hôra – ora», nel senso di «momento» e quindi riguarda il tempo, che nella Bibbia ha sempre due valenze: una riguarda l’aspetto ordinario ed è la successione degli eventi come capitano e che in genere ognuno di noi subisce (il giorno, la notte, ieri, oggi, ecc.) e che nella Bibbia si chiama «chrònos – tempo»; l’altra riguarda la «qualità» del tempo, perché mentre scorre porta qualcosa di nuovo e di coinvolgente. Questo secondo aspetto è chiamato da Paolo «kairòs – occasione favorevole» (cf Rm 5,6; 8,18; 9,9; 13,11;Gal 6,10, ecc.). È il tempo che è testimone della conversione; è il tempo in cui si svela lo Spirito come azione di amore; ecc.
Il 1° tempo, il «chrònos», è segnato dal sole, dalla meridiana, dalla clessidra e oggi dall’orologio; mentre il 2° tempo, il «kairòs», è segnato dall’anima che vive gli eventi e di cui si rende conto: è la presenza di sé all’evento di cui si coglie la portata, la qualità e la novità.
Giovanni con il termine «ora» si riferisce a questo secondo aspetto, davanti al quale anche Sant’Agostino s’interroga a modo suo e, in modo magistrale, dà anche la sua risposta: «Che cosa dunque è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più» (Le Confessioni, XI,XIV,2).
È veramente così, noi viviamo esperienze interiori che possiamo contemplare dentro di noi, ma non possiamo spiegare agli altri, perché ogni tentativo di spiegazione potrebbe banalizzarle.
L’«ora» di Gesù, che nelle nozze di Cana «non è ancora giunta» (Gv 2,4), è il tempo della rivelazione nuova, il tempo che svela la luce e per contrasto le tenebre (cf Gv 1,4.5.8.9), l’occasione favorevole per fare una scelta di fondo: «Chi crede in lui non è condannato; chi non crede in lui è già stato condannato» (Gv 3,18.36). L’«ora in-compiuta» delle nozze di Cana giunge a compimento, a maturazione nel momento della morte: «Padre è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1).
In poche parole l’autore unisce l’ora (il tempo) e la gloria (il peso consistente della rivelazione). Per Gv, l’ora della morte è l’occasione, il «kairòs» di una duplice «gloria»: del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre. L’uno e l’altro rivelano la propria consistenza di vita: il Figlio nella risurrezione vissuta come obbedienza al Padre e il Padre perché nel Figlio rivela la nuova Toràh che è lo Spirito Santo, cioè la sua stessa vita, perché nel momento in cui il Figlio muore come uomo, vive da risorto e in tutti coloro che accettano il dono del suo Spirito di risorto: «E, chinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30). (continua-5)
Paolo Farinella