Dall’indipendenza ai giorni nostri
Terra schiacciata prima dai colonizzatori portoghesi e spagnoli, poi da Brasile ed Argentina, l’Uruguay si guadagnò l’indipendenza nel 1825. Ospitò i rivoluzionari che scappavano dall’Europa. Uno di loro si chiamava Giuseppe Garibaldi. Durante le guerre mondiali, grazie al commercio della carne, visse periodi di abbondanza. Poi arrivò la crisi e con essa la dittatura. Con il ritorno della democrazia, ai due partiti storici «Blanco» e «Colorado», entrambi conservatori, si affiancò il «Frente amplio», che oggi governa il paese.
Un tempo l’Uruguay era considerato la Svizzera dell’America Latina. All’inizio del Novecento, unitamente al Brasile e all’Argentina, attirò schiere di emigranti europei, in buona parte italiani. A tutt’oggi si calcola che quasi la metà della sua popolazione sia composta da discendenti del Bel paese. Pur piccolo geograficamente, l’Uruguay nel panorama dell’America Latina si presenta come una nazione per certi versi straordinaria. Dall’indipendenza (1825) ha sempre avuto (salvo alcuni periodi) governi eletti democraticamente e a suffragio universale. Ha introdotto molto tempo prima dell’Inghilterra l’istruzione elementare, gratuita, laica e obbligatoria per tutti i bambini che vivevano sul suo territorio. Ha dato il voto alle donne molto prima (era il 1932) di gran parte dei paesi europei e sin dall’inizio del Novecento la giornata lavorativa era di otto ore, molto prima che negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Anche la legge sul divorzio venne promulgata decenni prima che in Spagna e in Italia.
All’inizio del XIX secolo, grazie all’opera di José Gervasio Artigas e ad un gruppo di Libertadores, risoluti, con l’aiuto dell’Inghilterra, l’Uruguay conquistò l’indipendenza e si consolidò come stato sovrano a spese dei due grandi imperi coloniali concorrenti Spagna e Portogallo, e poté affermarsi nel consesso delle nazioni in quanto la potenza coloniale inglese, che stava sostituendosi a quella spagnola, anelava avere il controllo di almeno una delle due sponde del Rio de la Plata per potere più facilmente controllae i commerci sia marittimi che fluviali. Sulle ceneri coloniali dei paesi iberici sorsero due grandi nazioni: Brasile e Argentina, che in una certa qual misura ereditarono lo stile imperiale delle rispettive potenze che le avevano generate. L’Uruguay, pur nella sua piccolezza, riuscì a conservare l’indipendenza diventando per tutto l’Ottocento il paese che dava ospitalità a quanti in Europa lottavano contro l’assolutismo regio imperante nel vecchio continente. Non è certamente un caso che schiere di carbonari italiani come di patrioti ricercati dalle polizie di mezza Europa, trovarono rifugio a Montevideo, mettendo così a disposizione di questa piccola Patria d’adozione il loro ardore rivoluzionario e le ansie di libertà che si portavano dentro.
Tra questi «ribelli», la figura di spicco resta Giuseppe Garibaldi (esiliato in America Latina dal 1835 al 1848), che il governo uruguayano del tempo, a fronte delle minacce d’invasione (per non dire di annessione) delle due potenti nazioni vicine, nominò comandante in capo della sua marina militare. Garibaldi seppe, nonostante l’esiguità dei mezzi vincere alcune battaglie che da quel momento lo consacrarono come l’eroe dei due mondi. Le stesse «camice rosse» che i garibaldini indossarono nel periodo del nostro Risorgimento, erano confezionate con stoffa scarlatta che il governo uruguayano aveva regalato al nostro eroe per i servizi resi e che lui non riuscendo a piazzare sul mercato, trasformò in uniforme da battaglia per la spedizione dei Mille.
Grazie ad un territorio molto esteso (parliamo di circa 180 mila chilometri quadrati), scarsamente popolato, ben presto l’allevamento del bestiame si trasformò in fonte di ricchezza e il porto di Montevideo diventò lo sbocco naturale per una vasta area di territorio, che comprendeva diversi paesi i quali trovavano in quel porto, marittimo e fluviale allo stesso tempo, l’approdo ideale per i loro commerci. L’Uruguay beneficiò di questa situazione favorevole, soprattutto durante i due conflitti mondiali, in quanto potèrifornire della carne bovina ed ovina prodotta nelle immense praterie del suo territorio parecchie nazioni impegnate sull’una e sull’altra parte dei vari fronti bellici. Questa «pacchia» durò fino agli anni ’50 con la guerra di Corea. Le esportazioni di carne diedero al paese una solida riserva di valuta estera che permise al «pesos», la moneta nazionale di competere con il dollaro degli Usa.
Purtroppo, la classe politica formata dai due partiti tradizionali – il «Blanco», espressione degli interessi agrari, ed il «Colorado» rappresentante della borghesia legata alle attività del porto di Montevideo – non seppe reinvestire le ingenti somme a disposizione per migliorare mezzi e processi di produzione, preferendo la speculazione finanziaria e favorendo il consumo di beni voluttuari. Tutto ciò portò all’aumento dell’inflazione, al crollo dell’occupazione e ad un inasprimento delle tensioni sociali, la recessione entrò quindi al galoppo nella realtà uruguayana scatenando forti reazioni nei settori più colpiti dalla crisi; sorse pertanto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, un vasto movimento di massa capeggiato dalla «Convenzione nazionale dei lavoratori» (Cnt), che si oppose tenacemente alle indicazioni del «Fondo monetario internazionale», che cominciava a dare delle direttive che avrebbero pesantemente condizionato la politica finanziaria ed economica dell’Uruguay. Parallelamente sorse il «Movimento di liberazione nazionale tupamaros» (leggere il riquadro alle pagine 30-31), che fu protagonista di azioni eclatanti che ebbero un forte impatto nazionale ed una vasta risonanza mondiale.
Nel 1971 fu fondato il «Frente amplio», coalizione di centrosinistra formatasi attorno ad un programma progressista che candidò il generale a riposo Liber Seregni alle elezioni presidenziali dello stesso anno. Le elezioni furono però vinte da Juan Maria Bordaberry del partito Colorado. Il partito Blanco denunciò brogli rifiutando di accettare il verdetto elettorale: tra caos politico, crisi economica e malessere sociale, si creò una situazione incandescente che spinse le forze armate ad intervenire con un colpo di stato. Sciolsero parlamento, partiti e sindacati, instaurando quindi un regime dittatoriale basato sulla «dottrina della sicurezza nazionale», appresa dalle alte gerarchie militari, nel campo di addestramento di Panamà (la famigerata Escuela de las Americas), gestito e diretto dagli Stati Uniti.
A livello economico applicarono le teorie neoliberali che portarono alla concentrazione della ricchezza nelle mani di diverse multinazionali straniere, riducendo il salario a meno della metà del potere d’acquisto precedente. Quello fu uno dei periodi più tristi e bui della recente storia uruguayana, i militari diffusero un clima di paura, attuarono un programma di detenzioni arbitrarie, applicarono con metodi scientifici la tortura sui prigionieri politici, causando di conseguenza l’abbandono del paese di migliaia di persone che si rifugiarono all’estero. Nel 1980 i militari al potere indissero un referendum attraverso il quale intendevano istituzionalizzare il loro regime autoritario; questo referendum fu sonoramente bocciato ed ebbe il merito di far capire che non si poteva continuare su una strada di totale mancanza di libertà e autoritarismo generalizzato.
Lentamente l’opposizione si riorganizzò e in forza anche di un aumento spropositato del debito estero, i militari aprirono la possibilità di un timido ritorno alla legalità. Nel frattempo, si moltiplicarono le manifestazioni di disobbedienza civile, pacifiche e nonviolente che offrirono al mondo intero l’immagine di un popolo che voleva riappropriarsi della sua storia. Dopo uno sciopero generale coraggiosamente portato avanti dall’intera popolazione nel gennaio del 1984, si riannodarono i colloqui tra la giunta militare e i partiti politici e si avviò un processo di ritorno alla vita democratica in cui venivano coinvolti tutti coloro che nella notte buia della dittatura erano stati esclusi. Lentamente riprese vita tutto ciò che caratterizza un moderno stato rispettoso della Costituzione e dei diritti dell’uomo anche se la ferita dei desaparecidos, dei torturati e degli esiliati, fu traumatica e lacerante e resta tutt’ora aperta nel tessuto sociale del paese. Con le elezioni del 1984 i militari uscirono di scena con l’impegno che i governi seguenti non avrebbero portato sul banco degli imputati i responsabili delle efferatezze compiute.
Alle elezioni del 1989 il Frente amplio si affermò a Montevideo, dando per la prima volta nella storia del paese un’amministrazione di centrosinistra ad un governo municipale. Logorati da divisioni intee e contrassegnati da atteggiamenti passivi ed ignavi di fronte alla dittatura, i due partiti tradizionali che si erano spartiti il potere tra di loro per quasi due secoli, vennero superati, nel 1999 da una nuova formazione politica denominata «Incontro Progressista», che oltre a recuperare tutte le forze del Frente amplio, seppe integrare al proprio interno anche il movimento dei tupamaros, che accettarono di entrare nell’agone politico con i loro leader più rappresentativi. Il nuovo clima instauratosi favorì nel 2004 l’elezione di Tabaré Vázquez, primo uomo di sinistra ad accedere alla suprema carica di capo dello stato, ottenendo inoltre la maggioranza assoluta alle Camere.
Sul piano interno il primo atto di Vázquez fu di avviare un piano di emergenza di due anni per rispondere ai bisogni alimentari, sanitari ed educativi della popolazione; in politica estera firmò un accordo con il Venezuela di Hugo Chávez in base al quale il petrolio caraibico veniva acquistato a prezzi contenuti, favorendo nel contempo l’esportazione di prodotti alimentari dall’Uruguay al Venezuela. Riallacciò le relazioni diplomatiche con Cuba (rotte nell’aprile 2002), mentre con l’Argentina firmò accordi su diritti umani ed emigrazione in base ai quali i due paesi, segnati entrambi da devastanti dittature militari nel recente passato, si sarebbero impegnati reciprocamente a fornire informazioni relative ai desaparecidos delle nazioni rioplatensi, al fine di far chiarezza sui numerosi «buchi neri», che hanno costellato la loro storia.
Cronologia storica essenziale
Dai charrua ai giorni nostri
Secolo XVI – La regione è popolata da 3 gruppi autoctoni: i charrúa, i chaná e i guaraní.
1517-1527 – Arrivano i primi esploratori dei popoli colonizzatori: Juan Diaz de Solis e soprattutto Sebastiano Caboto.
Secoli XVI – XIX – Si diffonde l’allevamento del bestiame. Nello stesso tempo, i popoli indigeni vengono cacciati verso nord o sterminati.
1680-1724 – I portoghesi costituiscono la Banda Oriental, un territorio che comprende l’attuale Uruguay e buona parte dello stato brasiliano di Rio Grande do Sul. Per tutta risposta, gli spagnoli fondano Montevideo (1724).
1810 – 1816 – Rivolta nella Banda Oriental, capeggiata da José Artigas.
1816-1823 – Il territorio della Banda Oriental viene invaso dai portoghesi. Nel 1823, l’Uruguay diventa una provincia del Brasile, appena resosi indipendente dal Portogallo.
1825-1828 – Gli abitanti della Banda Oriental chiedono l’indipendenza dal Brasile, che viene dichiarata il 25 agosto 1825, ma ottenuta ufficialmente soltanto nel 1828, dopo la mediazione del Regno Unito.
1830 – Viene emanata la Costituzione della nuova «Repubblica orientale dell’Uruguay» (18 luglio).
1839-1851 – La «Grande guerra» con l’Argentina divide il paese tra indipendentisti e fautori della fusione con il vicino stato.
1865 – Il dittatore Venancio Flores inserisce l’Uruguay nella Triplice Alleanza con Brasile ed Argentina contro il Paraguay.
1876-1879 – Il dittatore Lorenzo Latorre fa recintare i latifondi. Scompare la figura del «gaucho», il mandriano libero.
1903-1915 – José Batlle y Ordóñez, durante le sue due presidenze (1903-1907 e 1911-1915), modeizza il paese ed emana leggi all’avanguardia per l’epoca.
1932 – Viene approvata la legge sul suffragio alle donne.
1915-1950 – Durante le due guerre mondiali e la guerra di Corea, aumentano le esportazioni di carne uruguayana, foita agli alleati (in Europa) e agli statunitensi (in Corea).
1964 – Viene fondata la «Convenzione nazionale dei lavoratori» (Cnt).
1965 – Nasce il «Movimiento de liberación nacional tupamaros». Lo capeggia Raúl Sendic.
1971 – Nasce il Frente amplio, coalizione di sinistra che ha l’obiettivo di contrastare il dominio dei 2 partiti conservatori dei Blancos e dei Colorados.
1973-1984 – È il decennio della dittatura militare. Sono vietate associazioni, partiti politici e sindacati. Vengono praticate la detenzione arbitraria e la tortura.
1984-1994 – Julio Maria Sanguinetti, candidato del Partido Colorado, vince le elezioni. Gli succede (1989) Luis Alberto Lacalle del Partido Blanco. Nel 1994 torna Sanguinetti.
Marzo 1991 – Uruguay, Argentina, Brasile e Paraguay creano il Mercosur.
Novembre 1999 – Partido Blanco e Partido Colorado si alleano per impedire al centrosinistra, riunito nella coalizione del Frente amplio (in forte e continua ascesa), di vincere le elezioni. Viene eletto presidente Jorge Batlle, colorado.
Ottobre 2004-marzo 2005 – Tabaré Vázquez, candidato del Frente amplio, vince le elezioni presidenziali (ottobre). Il 1° marzo 2005 inizia il suo mandato.
Marzo – Aprile 2009 – Il relatore Onu stila un rapporto molto duro sulla situazione delle carceri (marzo). Secondo l’Ocse, l’Uruguay è nella lista nera dei «paradisi fiscali» (2 aprile).
Giugno 2009 – Il Frente amplio, la coalizione attualmente al potere, sceglie il proprio candidato per le elezioni presidenziali.
Ottobre 2009/marzo 2010 – Sono in programma le elezioni presidenziali (ottobre 2009). Il nuovo presidente entrerà in carica qualche mese dopo (marzo 2010).
Fonti principali: Guida del mondo, Il mondo visto dal Sud, 2007-2008, Emi, Bologna 2007 (da segnalare che l’edizione originale di quest’opera viene proprio da Montevideo, per merito dell’Instituto del Tercer Mundo); Atlante Universale, Editorial Sol 90, Barcellona 2002.
(a cura di Paolo Moiola)
Mario Bandera