D ccome diritti: incontro con lelsur
Com’è cambiata la percezione dei diritti umani in un paese che ha conosciuto la dittatura? Nei diritti sono compresi anche i diritti economici, sociali e culturali o soltanto quelli politici? Il diritto alla sicurezza va salvaguardato anche calpestando gli altrui diritti? È giusto salvare le banche private con soldi pubblici? Di tutto ciò siamo andati a parlare nella sede dell’«Istituto di studi legali e sociali dell’Uruguay» (Ielsur).
Montevideo. Dall’alto dell’ottavo piano il panorama sulla Plaza Independencia è molto attraente. Siamo nella sede dell’«Istituto di studi legali e sociali dell’Uruguay» (Instituto de estudios legales y sociales del Uruguay, Ielsur), un’organizzazione di difesa dei diritti umani sorta nel luglio 1984, immediatamente dopo la fine della dittatura.
Un gruppo di avvocati si unì per presentare denuncie di lesa umanità contro i responsabili della dittatura. Questo fu l’inizio: la lotta contro l’impunità, che ancora oggi rimane un tema importante in Uruguay, dato che in 20 anni nessuna persona è stata incarcerata per quel delitto. Questo è stato il tema storico, ma poi Ielsur ha iniziato a diversificare la sua tematica.
Oggi l’organizzazione si occupa di diritti umani in varie aree: dalle carceri ai minori, dalla libertà di espressione ai diritti economici, sociali e culturali.
Luis Pedeera è uno dei membri dell’associazione. Dopo aver raccontato di aver conosciuto Barrio Sur e i problemi legati al traffico della droga, gli domandiamo se Montevideo sia una capitale violenta.
«Secondo me, no – risponde -. Per lo meno non nella misura in cui appare da certi settori politici e da certa stampa. Di norma, l’uruguayano è una persona amabile, che si preoccupa del vicino, ma il sistema penale rompe per definizione i vincoli comunitari». Negli anni Novanta, i governi di destra hanno attuato una politica repressiva. Con l’approvazione, ad esempio, della «Legge di sicurezza cittadina» (Ley de seguridad ciudadana, 1995). Come sta accadendo in molti paesi del mondo, dall’insicurezza e dalla paura della gente hanno creato il loro consenso. Così le carceri dell’Uruguay si sono riempite oltre ogni limite.
Il problema non ha trovato una soluzione neppure con il governo di centrosinistra, con il quale Ielsur ha avuto qualche incomprensione, a dimostrazione dell’indipendenza della Ong. In particolare, non sono state gradite le critiche sulle condizioni all’interno delle carceri.
«Non ci hanno guardato – spiega Luis – con la mente aperta che dovrebbero avere i progressisti. Non hanno capito che noi siamo un’organizzazione indipendente che agisce soltanto per la difesa dei diritti umani. La sinistra non ha saputo rimuovere quella cultura che fa del prigioniero l’ultimo schiavo della società, dimenticandosi che anche lui è una persona».
Luis è specializzato in diritti umani dei minori. Ed è durissimo nella sua denuncia. «In Uruguay, la povertà si concentra nei bambini. Il 50 per cento dei bambini da 0 a 5 anni nasce in luoghi poveri. Sono loro i più colpiti dalle conseguenze della politica di sicurezza cittadina. E nelle carceri dove sono rinchiusi sono maltrattati, riempiti di psicofarmaci, torturati».
«Se un poliziotto incontra qui sotto, nel centro di Montevideo, un ragazzo con “cara de expedientes” – sporco o con vestiti logori, per esempio -, può portalo in carcere. Il centro è zona turistica…».
Domandiamo a Luis se la gente uruguayana sostiene questo comportamento della polizia. «Sì, lo sostiene. Proprio per questo chiediamo alla sinistra che non copi le dinamiche della destra, la quale concepisce la soluzione dei conflitti sociali attraverso una maggiore repressione».
Luis non ha risparmiato critiche al comportamento della sinistra al governo rispetto alle problematiche delle carceri. Ma c’è anche una legge all’avanguardia, chiamata «Legge di umanizzazione carceraria» (Ley de humanización carcelaria), approvata da questo governo. Essa prevede attività di lavoro ed educazione per i carcerati con sconti di pena per chi svolge queste attività. È un modo anche per decongestionare le carceri, che sono sovraffollate: ci sono luoghi di detenzione che ospitano 3.000 persone invece che 900 (1).
La legge di umanizzazione prevede un sistema di premi. «Per ogni 2 giorni di lavoro e studio è un giorno in meno di carcere», spiega Luis. Ma la legge stenta a trovare applicazione, per questo Ielsur è intervenuta con una denuncia, suscitando un acceso dibattito. «Erano gli stessi detenuti a spingere per avere lavoro ed educazione. Rompendo con la loro richiesta molti pregiudizi».
Anche in Uruguay sta arrivando la crisi globale. Chiediamo a Luis se essa influirà sui diritti umani. «Terribilmente», risponde sicuro Luis. Che è durissimo contro le politiche pubbliche che mirano a salvare le banche (2) e non i settori sfavoriti, che pagano sempre.
«Perché – protesta con vigore – i delitti delle banche non sono perseguiti come quelli dei minori? Mediamente un delitto di un adolescente vale 100 dollari ed è compiuto senza armi da fuoco nell’98 per cento dei casi. Il danno compiuto dai banchieri è molto maggiore, perché per salvare gli istituti lo stato sottrae soldi pubblici ai settori sociali. A me non interessa salvare le banche, ma la gente, le vite umane».
«Se non si pensa che il problema principale è di ridistribuire la ricchezza (che sta sempre nelle stesse mani), il sistema rimarrà sempre lo stesso, i ricchi e le banche si salveranno sempre e le crisi saranno pagate dai soliti».
Ielsur è membro della «Rete internazionale per i diritti economici, sociali e culturali» (Red inteacional para los derechos económicos, sociales y culturales, Red Desc). A dicembre 2008, Luis è andato a Nairobi per partecipare al convegno della Rete. Ed è rimasto impressionato dalla città kenyana e dall’enormità dei suoi problemi.
«Mi sono reso conto che Nairobi ha tanti abitanti quanti l’intero Uruguay e che un qualsiasi barrio povero di quella città ha 300 mila abitanti, dove qui ne abbiamo 1.000 o 2.000».
Ad ogni domanda, Luis Pedeera risponde con passione e partecipazione: si vede che crede fermamente in quello che dice e che ama il proprio lavoro con Ielsur. Per concludere la nostra conversazione, gli chiediamo se vede una via d’uscita all’attuale crisi globale. Lui sorride.
«Secondo me, la soluzione è quella comunitaria, anche se in società sempre più complesse è diventato molto difficile. Ma proprio in questo consiste la sfida di oggi. A meno che non si voglia vivere e morire nelle condizioni dettate da questo sistema». Un sistema nel quale le banche valgono più delle persone.
(1) Alla fine di marzo 2009, il collasso delle carceri uruguayane è stato confermato dal relatore Onu Manfred Nowak.
(2) Il 2 aprile 2009, l’Ocse ha incluso l’Uruguay nella lista nera dei paradisi fiscali, assieme a Costa Rica, Malesia e Filippine.
Paolo Moiola