l’Amazzonia, la terra e il protagonismo degli ultimi
A Belém, per una volta, gli ultimi (alcuni tra gli ultimi) sono diventati protagonisti: i popoli indigeni e i Sem terra. Diversi, ma entrambi legati ad un unico destino: la terra. I primi per difendere i propri territori ancestrali dalle mire dei molteplici usurpatori; i secondi per riuscire (finalmente) ad avere un pezzo di terra con cui vivere. Intanto, nel paese degli immensi latifondi e delle incredibili ingiustizie, il «Forum per la riforma agraria» sostiene una campagna scandalosamente rivoluzionaria: limitare la proprietà privata della terra.
Nel campus dell’Università agraria di Belém c’era una delle tende – «tende tematiche» sono state chiamate – più frequentate: la «Tenda dos povos indigenas», la tenda dei popoli indigeni.
Al Forum sono arrivati i rappresentanti di 120 etnie indigene, in maggioranza dell’Amazzonia. Si aggiravano in piccoli gruppi per le strade del campus. Si lasciavano fotografare volentieri, perché non erano una mera attrazione (antropologica, turistica, estetica), ma protagonisti, alla pari degli altri partecipanti. E, alla pari degli altri, anche loro fotografavano e filmavano.
In America Latina vivono circa 44 milioni di indigeni, rappresentando il 10 per cento della popolazione totale della regione. In Amazzonia, un territorio di oltre 6 milioni di chilometri quadrati diviso tra 9 paesi (Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela, Suriname, Guyana francese e Guyana), le terre indigene rappresentano circa il 27 per cento del totale.
Per gli indigeni, il Forum sociale è stata l’occasione per parlare del loro modo di vedere il mondo (cosmovisione), dei loro problemi e dei diritti negati. Ma anche l’occasione per parlare dell’Amazzonia, il più importante ecosistema del mondo (per la foresta vergine, la biodiversità, l’acqua dolce), la cui sopravvivenza è in grave pericolo. Secondo gli esperti, negli ultimi 40 anni è stato distrutto il 17 per cento delle foreste amazzoniche e un altro 17 per cento è molto degradato (1).
ABelém erano presenti sia i rappresentanti dei popoli indigeni che quelli dei Sem terra. Che cosa accomuna questi soggetti, altrimenti tanto diversi? Un comune destino: la terra. I primi – soprattutto i popoli dell’Amazzonia – si trovano a lottare per la difesa delle proprie terre ancestrali dall’occupazione da parte di usurpatori (tagliatori di alberi, allevatori, coltivatori di riso o soia, minatori, ma anche multinazionali dell’agrobusiness e della farmaceutica) e per il loro riconoscimento giuridico (demarcazione e titolazione legale); i secondi, invece, lottano per avere un pezzo di terra con cui vivere.
In Brasile, paese ricchissimo di risorse agricole, domina il latifondo: il 2,8% dei proprietari terrieri possiede il 56,7% delle terre coltivabili. Questo si traduce in un modello di agricoltura capitalista, fondata sulla monocoltura e sull’esportazione, un modello incapace di soddisfare le esigenze alimentari di tutta la popolazione brasiliana, oltre che foriero di pesanti conseguenze sul piano sociale.
Per questo il Forum nazionale per la riforma agraria e la giustizia nel campo (Forum nacional pela reforma agraria e justiça no campo, Fnra), che raggruppa 48 organizzazioni, ha promosso una campagna per limitare la proprietà privata della terra.
Perché – si legge nel sito – è illegittima e ingiusta «la concentrazione di immense aree nelle mani di poche persone e gruppi, quando la maggioranza della popolazione si trova esclusa» (2). Dal punto di vista pratico, i promotori propongono l’introduzione nella Costituzione federale di un comma (articolo 186, comma V) in cui alla proprietà privata della terra si stabilisca un limite di 35 «moduli fiscali» (3). L’emendamento costituzionale inciderebbe solamente su poco più di 50 mila proprietari di terra, ma produrrebbe conseguenze rilevanti. Si creerebbe infatti una disponibilità di oltre 200 milioni di ettari di terra per le famiglie accampate, senza spendere risorse pubbliche per l’indennizzo dei proprietari.
Anche la chiesa cattolica brasiliana partecipa attivamente alla Campagna con alcune sue organizzazioni: il Consiglio indigenista missionario (Conselho indigenista missionario, Cimi), la Commissione pastorale della terra (Comissão pastoral da terra, Cpt) e la Caritas brasiliana. Dom Tomas Balduino, vescovo emerito di Goiás, consigliere della Cpt e figura storica delle lotte per la terra in Brasile, non è tenero con il governo del presidente Lula, perché si è allineato sulle posizioni dell’agrobusiness, che è contrario agli interessi dei Sem terra e degli indigeni.
Il religioso cattolico non usa eufemismi per spiegare il dramma del latifondo: «Alla base vi è il vecchio e nefasto concetto della proprietà come un diritto assoluto. Così esso è insegnato dogmaticamente nella maggior parte delle scuole di diritto e, purtroppo, risiede nella testa di un gran numero di giudici».
Nella «Campagna per la limitazione alla proprietà della terra» si parla di lavoratori rurali senza terra e di comunità tradizionali (ovvero afrodiscendenti di schiavi liberati (4), popolazioni rivierasche e popoli indigeni propriamente detti). L’«unità nella diversità» è stata richiesta anche nelle dichiarazioni finali dei popoli indigeni (5), redatte dopo la conclusione del Forum di Belém. Un auspicio che, però, non trova ancora concretizzazione nella realtà.
«È – spiega l’antropologa Silvia Zaccaria – un nostro vizio mettere insieme lotte sociali come sono quelle dei Sem terra e lotte culturali-cosmologiche (nel senso di diversi modi di vedere il mondo) com’è per i popoli indigeni. La verità è che tra Sem terra e popoli indigeni manca un progetto strategico e politico condiviso. Per il momento, unire le due realtà è più una speranza e un desiderio della chiesa cattolica che una effettiva realtà».
Un problema non da poco, considerando la consistenza degli avversari e della sfida. Perché la storia insegna che i potenti hanno sempre saputo approfittare delle divisioni tra poveri, scatenando conflitti in cui, alla fine, ad uscire vincitori sono sempre i soliti.
(1) Si legga il rapporto 2009 dell’United Nations Enviroment Programme (Unep/Pnuma) dal titolo: «GeoAmazzonia». Il rapporto è scaricabile gratuitamente dal sito: www.unep.org.
(2) Il sito della «Campagna per il limite alla proprietà della terra»: www.limitedapropriedadedaterra.org.br.
(3) Il «modulo fiscale» è una misura di riferimento stabilita dall’Istituto nazionale di colonizzazione e riforma agraria (Incra), che definisce l’area minima sufficiente per fornire il sostentamento a una famiglia di lavoratori e lavoratrici rurali. Esso varia da regione a regione ed è definito per ogni municipio a partire da vari parametri, come per esempio la situazione geografica, la qualità del suolo e le condizioni di accesso al territorio.
(4) Il termine brasiliano è: «quilombolas».
(5) Le dichiarazioni sono leggibili sul sito della Coiab («Coordenação das Organizações Indígenas da Amazônia Brasileira»), il Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (www.coiab.com.br) e su quello della Coica («Coordinadora de las Organizaciones Indígenas de la Cuenca Amazónica»), il Coordinamento delle Organizzazioni indigene della conca amazzonica (www.coica.org.ec).
Paolo Moiola