La «grande isola rossa», panorama storico (prima parte)
Un paese del tutto originale il Madagascar, sia per l’origine geologica, eccezionale biodiversità, unicità di specie animali, come i lemuri, primati progenitori delle scimmie, sia per le caratteristiche etniche dei suoi abitanti. L’isolamento millenario ha fatto sì che un cocktail di razze formasse un popolo unico e originale, con tratti fisici, lingua, cultura e storia che hanno seguito una strada propria, rispetto agli altri popoli continentali.
Il Madagascar è stato per molto tempo un’isola quasi sconosciuta. Separatasi dall’Africa a causa della deriva dei continenti, raggiunse l’attuale posizione al largo delle coste del Mozambico pressappoco 100 milioni di anni or sono. Intoo a questo stesso periodo la metà orientale dell’isola si divise nuovamente, spostandosi verso nord-est per formare quella che oggi è l’India.
Vasto due volte l’Italia, il Madagascar è la quarta isola più grande della terra, dopo Groenlandia, Nuova Guinea e Boeo in Indonesia. Le terre dei suoi altipiani centrali sono formate da terreni argillosi di colore rosso. Per questo motivo il Madagascar è stato soprannominato «la grande isola rossa».
VENUTI DALL’ORIENTE
Le prime e più antiche tribù che popolarono il Madagascar provenivano dall’Oriente. Naturalmente le loro origini sono avvolte nel mistero. Se ne parla solo nelle leggende. La maggior parte degli attuali malgasci, invece, è giunta nell’isola in tempi relativamente recenti, non più di duemila anni or sono, proveniente da Indonesia e Malaysia.
Non si conoscono le modalità di tale migrazione, ma la teoria più accreditata, fondata su elementi antropologici ed etnografici, suppone che le popolazioni indonesiane abbiano colonizzato l’isola con un’unica massiccia migrazione e che nel corso di tale migrazione abbiano effettuato tappe intermedie lungo le coste dell’Oceano Indiano.
Prova di tale teoria, oltre alla lingua malgascia, che conserva alcune caratteristiche del sanscrito, è la diffusione delle imbarcazioni a vela di tipo indonesiano lungo le rive settentrionali dell’Oceano Indiano; imbarcazioni adatte alla navigazione sotto costa. Si suppone che i malgasci abbiano costeggiato l’India, Arabia e Africa orientale, favorendo così rapporti commerciali e incontri culturali e linguistici, come nel caso del sanscrito, la lingua dell’India arcaica.
Arrivati sull’isola, le tribù malgasce, suddivise in una serie di regni minori, vi introdussero la coltivazione di prodotti tipici del sud-est asiatico, come il riso. Ancora oggi i terrazzamenti agricoli, occupati dalle risaie, assomigliano di più al tipico paesaggio dei paesi orientali che non a quello del vicino continente africano. Mangiare il riso tre volte al giorno è cosa normale per un malgascio e la crescita di una piantina di riso è descritta con gli stessi termini usati per la gravidanza e parto della donna.
Il riso viene normalmente accompagnato da uno stufato di carne di zebù, di pollo o di anatra e da verdure con l’aggiunta di spezie o radici ricche di amido, come la manioca. L’alternativa al riso è una ciotola di tagliolini fritti con verdure o carne, oppure la sostanziosa «zuppa cinese» con tagliolini, pesce, pollo e verdure: due piatti che, insieme al riso, indicano le origini asiatiche dei malgasci.
Nel corso degli anni lo stile di vita asiatica si è alquanto attenuato in seguito ai contatti con i mercanti arabi e africani che solcavano i mari con il loro carico di seta, spezie e schiavi. La regione che ha assimilato maggiormente la cultura e i costumi africani è quella del Madagascar occidentale, separata dall’Africa dal canale di Mozambico. La regione più cosmopolita dell’isola è invece quella settentrionale. Comprende discendenti di marinai arabi, mercanti indiani e schiavi africani, oltre a una consistente comunità di francesi (ora anche di italiani) e all’etnia locale degli antakàrana.
situazione femminile
Il fatto che, nella lingua malgascia, all’origine delle parole non ci sia né maschile né femminile (vedi riquadro) potrebbe aver condizionato anche i rapporti tra uomo e donna. Quella malgascia è una società piuttosto emancipata, specialmente in ambito femminile: la donna è la forza dinamica della società e occupa nella sfera domestica la posizione predominante.
Il matrimonio è in Madagascar un’istituzione non troppo rigida: divorzi e separazioni sono frequenti. I figli vengono considerati lo scopo principale del matrimonio e nessuna donna vorrebbe restae priva, anche se non sposata e giovanissima. Sono ritenuti garanzia di felicità e sicurezza e le giovani madri non hanno paura di allevarli anche da sole. Lo fanno con coraggio e amore.
I rapporti tra uomo e donna sono comunque sempre accompagnati da cortesia reciproca e da riservatezza. Sollevare problemi personali è considerato una mancanza di tatto, anche con le persone più care. Allo stesso modo si evitano domande e argomenti indiscreti.
Naturalmente la situazione della donna varia a seconda della classe sociale cui appartiene. Nelle famiglie ricche, o con un buon reddito, la sua posizione è abbastanza simile a quella della donna occidentale. I compiti sono più o meno divisi in egual misura tra marito e moglie. Nelle famiglie povere, che vivono di agricoltura o di pesca, la donna è invece costretta a sacrificarsi per il bene della numerosa famiglia. Pulizia della casa, bucato, vendita o compera dei prodotti del campo o dell’artigianato domestico le appartengono. In questo non mancano di abilità e di creatività.
Ma anche tale situazione è destinata a cambiare. L’alta scolarizzazione femminile sta trasformando la società malgascia. Le decisioni più importanti sono ancora prese dagli uomini, ma ormai esistono donne-ministro, deputate e senatrici. Esse sono numerose specialmente nelle piccole aziende, nel commercio, nell’amministrazione pubblica e nella magistratura. Del resto già da molto tempo le donne avevano diritto a partecipare alle Fokonolona, le assemblee comunitarie e i luoghi delle pubbliche decisioni.
Re e regine
Al contrario di quanto avvenne per molto tempo in Europa o in altre parti del mondo, dove la storia enumera molti re e poche regine, in Madagascar il rapporto fu rovesciato, almeno per un certo periodo. Della dinastia dei Merina, l’etnia degli altipiani centrali che unificò i regni tribali malgasci, regnarono tre re e quattro regine.
A partire infatti dal Settecento fino al 1895, quando i francesi occuparono l’isola e mandarono in esilio l’ultima regina, al re Andrianampoinimerina (1787-1810) successe il figlio Radama I (1810-1828), che continuò la politica unificatrice del padre e aprì l’isola all’Occidente.
Alla sua morte salì sul trono la vedova Ranavalona I (1828-1861). Nei suoi 33 anni di regno lottò con decisione contro ogni tentativo d’invasione europea dell’isola, al fine di preservare e proteggere l’ordine tradizionale della società malgascia e i costumi degli antenati.
Alla sua morte, nel 1861, divenne re il figlio, Radama II (1861-1863), il quale inaugurò una politica totalmente differente da quella della madre: aprì l’isola ai commercianti europei e ai missionari protestanti e cattolici. Ma provvedimenti contro determinati privilegi e un grave contrasto con il primo ministro Raharo ne segnarono la fine: dopo appena due anni di regno, il re fu assassinato da una congiura di palazzo, strangolato con una corda di seta, perché lo spargimento di sangue reale era considerato fady (tabù).
La vedova Rabodo, diventata regina con il nome di Rasoherina I (1863-1868), lasciò l’amministrazione del regno nelle mani del primo ministro Rainilaiarivony, il quale goveò l’isola anche sotto Ranavalona II (1868-1883), che egli sposò, e sotto Ranavalona III (1883-1895), l’ultima regina, esiliata dai francesi ad Algeri e morta nel 1917.
Ancora oggi re e regine, che avviarono la modeizzazione dello stato e della società malgascia e furono riconosciuti anche dalle potenze occidentali, sono considerati sacri dal popolo malgascio, insieme ai loro palazzi e alle loro tombe, e come tali ritenuti simbolo di unità nazionale.
COLONIA FRANCESE
Nel 1883 navi da guerra francesi attaccarono il Madagascar, occupandone i principali porti e costringendo il governo a firmare un trattato che dichiarava l’isola protettorato francese. La regina Ranavalona III si rifiutò di abdicare. I francesi allora le dichiararono guerra e circondarono la capitale Antananarivo. L’esercito malgascio, guidato da un ufficiale dell’artiglieria inglese, il maggiore John Graves, resistette nove mesi, ma alla fine dovette capitolare. Il 6 agosto 1896 il Madagascar fu ufficialmente dichiarato colonia francese.
Primo governatore dell’isola fu il generale Joseph Gallieni. Egli cercò di escludere dal potere l’aristocrazia merina, soppresse la lingua malgascia e dichiarò il francese lingua ufficiale. La schiavitù fu nominalmente abolita, ma venne sostituita da un sistema di tassazione altrettanto oppressivo e oneroso, che costringeva ai lavori forzati chiunque non fosse in grado di pagare.
Agli uomini fu imposta una corvée di 30 giorni di lavoro gratuito per la costruzione di strade, fabbriche e industrie alimentari e tessili. La terra venne espropriata a vantaggio di società e coloni stranieri, che svilupparono un’economia di esportazione di caffè, coltivato lungo i versanti collinari prospicienti l’Oceano Indiano, di vaniglia, diffusa in tutta la pianura costiera orientale, canna da zucchero, cotone, spezie, legname delle foreste tropicali, minerali e pietre preziose.
Con l’affermarsi del colonialismo l’isola fu anche dotata di infrastrutture modee: scuole, strade, ospedali, mezzi di comunicazione, come ferrovia, poste, auto e camion, indispensabili su un territorio vasto quasi due volte l’Italia, per di più tormentato da catene montuose scoscese anche se non altissime, da rocce calcaree erose e appuntite e da numerose foreste pluviali, dove vive una caratteristica fauna, come i lemuri, di cui esistono circa 50 specie, alcune delle quali dotate di una straordinaria abilità acrobatica.
Con l’affermarsi dell’istruzione crebbe e si consolidò una nuova élite malgascia e si affermarono alcuni movimenti nazionalisti. Nel 1913 i giovani malgasci fondarono una società segreta, denominata Vy Vato Sakelika (ferro, pietra, ramificazione). Nel 1920 il movimento anticolonialista trovò nella figura carismatica di un avvocato, Jean Ralaimongo, il suo capo. Dopo numerosi scioperi di protesta, nel 1930 venne fondato anche il sindacato. Subito dopo la seconda guerra mondiale in tutto il Madagascar si risvegliarono forti sentimenti nazionalisti, che culminarono nella ribellione del marzo 1947, guidata da Joseph Raseta e Joseph Ravoahangy, nel corso della quale persero la vita 80 mila malgasci.
L’indipendenza
Il Madagascar divenne indipendente nel 1960 e il capo del partito nazionalista, Philibert Tsiranana, fu eletto presidente. Durante il suo mandato i francesi continuarono a controllare il commercio e le istituzioni finanziarie, nonché le basi militari. I legami del governo con la Francia, uniti a un periodo di recessione economica, contribuirono a far crescere l’impopolarità di Tsiranana. La repressione brutale di una insurrezione nella parte meridionale dell’isola, la più povera, seguita da una rivolta antigovernativa nella capitale, costrinse Tsiranana a dimettersi (1972), cedendo il potere al comandante in capo del suo esercito, il generale Gabriel Ramantsoa, che fu a sua volta sostituito nel 1975 dal colonnello Richard Ratsimandrava, assassinato dopo appena una settimana di governo.
Finalmente arrivò al potere un altro militare, l’ammiraglio Didier Ratsiraka, ex ministro degli esteri, che cercò di attuare riforme radicali, politiche e sociali, improntate allo stile delle nazioni del blocco sovietico, in particolare della Cina comunista e della Corea del Nord. Arrivò perfino a proibire nelle scuole l’insegnamento delle lingue francese e inglese, per impedire qualsiasi contatto con l’Occidente, e sull’esempio di Mao Tsetung si dedicò alla stesura di un «libro rosso» delle teorie e della prassi di governo.
Alla fine dell’ottobre 1991 governo e opposizione firmarono un accordo per preparare il terreno alle elezioni e alla nascita di quella che fu definita la «terza repubblica». Nonostante ciò, Ratsiraka si rifiutò di lasciare le redini del potere. Il periodo che precedette la prima tornata di elezioni fu caratterizzato da disordini, che culminarono nel blocco della capitale e nel bombardamento di un ponte ferroviario che univa Antananarivo a Toamasina, il più importante porto del Madagascar.
Per settimane e settimane la capitale rimase senza benzina e la rete dei trasporti subì danni devastanti. Ancora oggi, come conseguenza di quel blocco, la ferrovia a scartamento ridotto non funziona. Il trasporto di derrate, benzina e container avviene su camion, lungo una strada di 350 e più chilometri, che collega la capitale al porto di Toamasina, tutta curve, salite e discese, vero cimitero di incidenti stradali e di camion in panne.
Alle elezioni del 1993 risultò eletto il professore Albert Zafy, candidato dell’opposizione, mettendo fine ai 17 anni di governo in puro stile comunista di Ratsiraka. Zafy cercò di far decollare l’economia del paese, ma, accusato di riciclaggio di denaro, rapporti con i narcotrafficanti e abuso di potere, fu costretto a dimettersi. Alle nuove elezioni presidenziali Ratsiraka, dopo aver trascorso 19 mesi in esilio in Francia, si ripresentò e tra lo sconcerto generale, compreso quello degli osservatori inteazionali, vinse le elezioni di stretta misura e nel febbraio del 1997 accettò l’incarico.
BRACCIO DI FERRO
Nel 2002, dopo essere stato al potere per quasi 27 anni, Ratsiraka fu spodestato dal magnate dello yogurt Marc Ravalomanana. Questi aveva iniziato la sua carriera imprenditoriale girando in bicicletta per le vie della città a commercializzare il suo prodotto fatto in casa.
Quando nel 1999 entrò in politica per diventare sindaco di Antananarivo, la sua azienda, la Tiko, era la più importante produttrice di latticini del paese. Candidatosi alle elezioni presidenziali del dicembre 2001, basò la sua campagna elettorale sulla promessa di un rapido sviluppo economico, grazie alle sue capacità imprenditoriali, che avrebbero dovuto richiamare gli investimenti stranieri, combattere la povertà e ripristinare le infrastrutture del paese, ridotte in pessime condizioni. Il neopresidente promise inoltre di estirpare la corruzione politica, dilagante sotto il governo di Ratsiraka.
La vittoria elettorale, se pur risicata, andò a Ravalomanana; ma Ratsiraka pretendeva di essere il vincitore e accusava l’avversario di brogli elettorali. Seguirono sei mesi di lotta per il potere. Ratsiraka alla fine dichiarò lo stato di emergenza, impose la legge marziale e proclamò Toamasina capitale. In questo modo, asserragliato con i suoi sostenitori a Toamasina, estremamente importante a motivo del suo porto, bloccò le vie di accesso alla capitale per impedire i rifoimenti di carburante e di medicine.
Nell’aprile del 2002 l’Alta Corte Costituzionale del Madagascar dichiarò Ravalomanana legittimo vincitore. Ratsiraka continuò a non accettare la sconfitta e diede ordine ai suoi sostenitori di far saltare in aria i piloni della corrente elettrica, facendo così piombare nel buio la capitale.
Alla fine le Nazioni Unite riconobbero il governo di Ravalomanana. Ratsiraka fuggì in Francia, protetto dal presidente francese, nonostante che un tribunale malgascio lo avesse condannato a 10 anni di lavori forzati per appropriazione indebita di fondi pubblici.
Alle elezioni del 2006, Ravalomanana è stato rieletto per un secondo mandato presidenziale, grazie all’influenza della sua televisione più che ai benefici portati alla popolazione durante la sua presidenza. È vero che negli ultimi anni l’economia malgascia è decollata, grazie alla remissione del debito estero, alle privatizzazioni e investimenti stranieri attirati dalle inesplorate risorse del sottosuolo (nichel, cobalto, bauxite, petrolio); ma di tale crescita non hanno affatto beneficiato vasti strati della popolazione e il Madagascar continua a essere tra i paesi più poveri del mondo.
Le risorse statali sono state mobilitate a vantaggio delle imprese private, soprattutto della Tiko che, nata come industria casearia, è diventata la più grande impresa alimentare e ha esteso le sue ramificazioni nell’edilizia, nella finanza, nell’agricoltura, nella stampa e televisione. Un complesso di «affari» a scapito dei servizi pubblici e sociali. L’immobilità statale ha provocato lo scontento della popolazione e costretto alcune organizzazioni umanitarie non governative, tra cui i Medici senza frontiere, ad abbandonare il paese.
Sul malcontento popolare, alimentato anche dalla crisi internazionale e conseguente aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, ha soffiato il capo dell’opposizione politica, il sindaco di Antananarivo, Andry Rajoelina, 34 anni, soprannominato Tgv (treno superveloce) per il suo decisionismo.
Dalle tensioni si è passati allo scontro aperto nel mese di dicembre, quando il governo ha chiuso l’emittente televisiva del sindaco, Viva Tv, perché aveva diffuso un’intervista dell’ex presidente in esilio Didier Ratsiraka. Rajoelina ha chiamato il popolo a raccolta contro Ravalomanana, accusandolo di cattiva gestione del patrimonio pubblico.
Il 26 gennaio, rispondendo all’appello del sindaco, una grande folla si è riversata per le vie della capitale; ma la manifestazione è degenerata in saccheggi e devastazioni di negozi, supermercati, uffici pubblici; in tali disordini sono morte almeno 68 persone (oltre 100 secondo l’ambasciata americana), tra cui un bambino ucciso dalla polizia.
Si è innescata una reazione a catena: il sindaco ha continuato a chiamare in piazza i suoi sostenitori, fino a chiedere la destituzione del presidente e la formazione di un governo di transizione; Ravalomanana ha risposto inviando la sua guardia presidenziale contro i manifestanti e il 3 febbraio ha destituito il sindaco dalla sua carica.
Nonostante gli appelli delle istituzioni inteazionali, è continuato il braccio di ferro tra i due contendenti con proteste di piazza e repressioni, come quella del 7 febbraio, dove gli spari ad altezza d’uomo hanno causato altri 40 morti e 350 feriti.
A ristabilire «l’ordine» è intervenuto l’esercito: il 15 marzo, un centinaio di militari hanno assediato con i carri armati il palazzo presidenziale, chiedendo le dimissioni di Ravalomanana. Dopo un velleitario tentativo di resistenza, senza spargimento di sangue, il 17 marzo il presidente ha rassegnato il potere a un gruppo di alti ufficiali che, a loro volta lo hanno rimesso nelle mani di Rajoelina e la Corte Costituzionale lo ha subito riconosciuto nella nuova carica.
Il neo presidente si è affrettato ad assumere l’incarico e nel suo primo discorso, il 18 marzo, ha promesso di promuovere la riconciliazione, combattere la povertà e indire nuove elezioni entro 24 mesi. Se sono rose fioriranno… tra due anni.
Giampiero Casiraghi