DIMENTICANZE

Risale a neppure un mese fa la pubblicazione del quinto «Rapporto sulle crisi dimenticate», lo studio che con periodicità quasi annuale Medici Senza Frontiere (Msf) dedica ad emergenze, conflitti e catastrofi umanitarie che non trovano sufficiente copertura da parte dei nostri principali mezzi di comunicazione.
L’analisi di Msf segue non di molto l’uscita di un altro saggio, questa volta a cura della Caritas Italiana in collaborazione con Famiglia Cristiana e il Regno, dal titolo: «Nell’occhio del ciclone. Rapporto di ricerca su ambiente e povertà, emergenze e conflitti dimenticati». Passando in rassegna avvenimenti e situazioni di crisi del mondo contemporaneo, entrambi i contributi stigmatizzano la sistematicità con cui i nostri media più importanti «dimenticano» eventi, luoghi e volti se non rispondono a precisi criteri dettati dalle leggi del mercato o da interessi di parte. È una vecchia storia, ampiamente e periodicamente ripresa sulle pagine delle riviste ed agenzie missionarie, chiamate a svolgere sempre più spesso un servizio di «grillo parlante» a difesa dei senza voce di ogni tempo e di ogni angolo del mondo.
Il lungo dossier di questo mese, ad esempio, si occupa di un evento recente (il «Forum sociale mondiale» tenutosi a Belém, in Brasile, lo scorso mese di gennaio), di portata ed interesse mondiali, con un tema (l’ambiente) che riguarda la vita e il benessere di tutti, ma immediatamente caduto nell’oblio grazie ad una copertura mediatica a dir poco imbarazzante offerta dai principali media nazionali.
In quanto rivista missionaria sentiamo la responsabilità di insistere ad allargare orizzonti, gettare ponti e aprire finestre sul mondo, su tutto il mondo; soprattutto su quella fetta di globo che rimane invisibile e che pure crea storia, vivendo esperienze di pari dignità rispetto alle nostre. A volte, per individuare questi contesti nascosti e dimenticati non bisogna andare troppo distante. Basta svoltare l’angolo illuminato di una grossa arteria metropolitana e mettersi a camminare i vicoli bui che formano la topografia del lato vulnerabile delle nostre città, quei borghi che escono dall’anonimato soltanto quando diventano un «problema» sociale, un disagio, un urlo che implora sicurezza.
Sappiamo bene che qualcuno ambirebbe a che quelle finestre, che vorremmo aprire per dare ai nostri sguardi una diversa prospettiva, rimanessero chiuse. Oggi, in modo particolare, i tempi di crisi spingono con decisione a scelte egoistiche, protezionistiche ed esclusiviste, al punto che parlare di un mondo «altro» di cui farsi carico, facendo appello alla responsabilità delle nostre scelte di vita, diventa estremamente più difficile.
I «No» secchi espressi  a Bruxelles dai paesi più vecchi e più ricchi dell’Unione Europea alla richiesta di un piano di intervento in favore dei paesi dell’Est povero del nostro continente sono, mutatis mutandis, analoghi ai «No» di ogni tipo che con sempre maggiore frequenza si sentono sbattere sulla faccia i tanti poveri che riempiono le strade del pianeta. Di questi no, piccoli e grandi, sentiamo di dover parlare in ogni caso.

Di Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli

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