Paese dai mille volti
Chiuso per decenni dietro il muro del comunismo, il popolo rumeno ha conservato il suo spirito e cultura, che neppure l’ex dittatore Ceausescu è mai riuscito a distruggere. Varietà di etnie con relativa ricchezza di tradizioni ed arte, storia millenaria intrecciata di leggende e di misteri, gente ospitale e operosa… la Romania è questo e altro ancora, un paese tutto da esplorare, per vincere tanti pregiudizi nostrani.
La strada che dall’aeroporto conduce in centro è bloccata dal traffico: sta per iniziare un rally automobilistico intorno al Palazzo del Popolo, l’immensa costruzione voluta dal dittatore Ceausescu e costruita radendo al suolo interi quartieri storici, già danneggiati da un terremoto. Passiamo davanti alla nuova show room della Ferrari, che pare non riesca a soddisfare le richieste dei nuovi ricchi rumeni. Le auto di lusso, anche i suv, sono numerose in città e sovente alla guida vedo giovani donne.
Ho trovato una sistemazione nel cuore antico di Bucarest, chiuso al traffico per via dei radicali restauri in corso. Tra gli edifici di fascino del quartiere vi è un caravanserraglio del ‘600, che tuttora ospita viandanti e barboni. Ha un alto tetto spiovente, ricoperto da tegole di legno, e si affaccia sul santuario di sant’Antonio abate e su una zona archeologica. Una fila ininterrotta di pellegrini, tra cui molti giovani, attendono il loro tuo per presentare grazie e voti al santo. Con il cero in mano sostano in preghiera, toccando le icone, poi accendono altri ceri nelle celle dedicate ai vivi e ai morti, come si usa nelle chiese ortodosse.
Questo è un paese dalle molte anime e dalle tradizioni forti. L’unità tra le regioni di diversa cultura, lingua e tradizioni, fu raggiunta solo dopo la prima guerra mondiale. Durante il nostro viaggio noteremo che in ogni villaggio o città, la piazza principale è dedicata all’Unità nazionale.
Transilvania
Brasov è una bella città, ma solo nel centro storico. La periferia industriale, con i tristi palazzi in stile sovietico, deve aver umiliato questa popolazione: ovunque in Romania si nota l’amore per la casa individuale, il colore e l’artigianato artistico.
Sighisoara è altrettanto suggestiva, ma molto più piccola e raccolta. Oggi è festa patronale e in piazza si esibiscono gruppi folkloristici. Qui incontro alcuni italiani, che mi danno informazioni per proseguire il viaggio. «Ci sono 27 mila imprese italiane che operano nel paese – mi dice Stefano, arrivato in Romania 15 anni fa con la sua azienda -. Ora però i soldi si fanno con l’immobiliare, ma non più a Bucarest, dove i prezzi sono troppo alti. Conviene comprare terreni nelle vicinanze delle città, sempre con un socio rumeno, la legge lo impone. Con l’aiuto dei politici i terreni diventano edificabili, si lottizza e si rivende con forti guadagni». Tutto il paese è in fermento, si costruisce, si restaura, e i lavori stradali rallentano il traffico nelle regioni più popolate e industriali.
Da Sighisoara ci inoltriamo nelle vallate sassoni, con le curiose chiese- fortezze, costruite nei secoli in cui il paese subiva invasioni e dotate di alloggi per la popolazione. I villaggi sono belli, ma alcuni sono in pieno degrado perché, dopo la caduta del comunismo, sono stati abbandonati dagli abitanti, emigrati in Germania, e occupati dagli zingari.
Questi sono numerosi in tutto il paese: oltre due milioni. Durante il regime comunista, che negava l’esistenza delle etnie, subirono un’assimilazione forzata, costretti a vivere nelle città, in quartieri loro riservati. Mentre i Rom sono tenacemente nomadi e li si vede viaggiare su carri foiti di tutto per vivere, in condizioni molto misere, i Lantar e i Gabor oramai sono stanziali, continuano la tradizione del canto in occasione di feste e della lavorazione del ferro. Molti si sono integrati ed esercitano varie professioni e alcuni si possono permettere abitazioni esagerate, lussuose.
BAIA MARE
Finalmente a Baia Mare, dopo aver attraversato in auto il paese fino all’estremo nord ovest. Questa è una città in lento rinnovamento, dopo anni di degrado ambientale dovuto alle industrie pesanti e miniere. Gli edifici antichi sono in via di restauro e rivelano un passato storico e artistico, umiliato nei lunghi anni del comunismo.
«Sono felice di incontrarvi»: Mariana, impiegata nella birreria in piazza dell’Unità, si avvicina sentendoci parlare italiano e, visibilmente commossa, ci offre una buona chorba e un bel piatto di patate. «Ho lavorato per cinque anni a Milano e mi trovavo bene, ma la bambina era rimasta a casa con mio marito. Quando sono tornata, lui aveva un’altra donna».
Mariana ha le lacrime agli occhi, ammette di essere in difficoltà perché è sola, ma vuole dare alla figlia una buona educazione. «Vivo in periferia, perché il centro è caro; mando la bambina a scuola privata – ci confida – ma la paga è molto bassa, la vita durissima».
In queste regioni del nord, che hanno conosciuto un forte esodo verso l’Europa, non avremo problemi a farci capire. I giovani conoscono l’italiano perché molti di essi sono stati in Italia per lavoro; passano le vacanze estive a lavorare, aiutando la famiglia nei campi e nella costruzione o restauro delle case, molto belle, decorate a vivaci colori.
Maramures
Anche qui, nel cuore d’ Europa, si può fare un viaggio nel tempo. La regione di Maramures mi ha dato l’emozione di vivere per qualche giorno in un paesaggio fiabesco, dove gli abitanti sono immersi in una dimensione agreste di sapore medievale: trasporto su carri trainati da cavalli, lavoro nei campi fatto a mano con attrezzi di legno, villaggi raccolti intorno a splendide chiese di legno dai campanili alti e sottili, tra pruni, viti e alberi carichi di frutta. L’interno è decorato da pitture o ricami appesi alle pareti; all’esterno sono le tombe con croci di latta dipinta.
La devozione di questa gente è profonda. La domenica mattina donne e uomini sono in raccoglimento in piedi o in ginocchio, durante lunghissime cerimonie. Alla fine, gli uomini passano al bar, con il loro curioso cappellino di paglia; le donne invece, il fazzoletto in testa, ampie camicie bianche inamidate con le maniche a sbuffo, spesse calze di lana, si siedono a chiacchierare sotto il portico di legno scuro, finemente intagliato. Pare che Ceausescu abbia subito il fascino del luogo e incoraggiato gli abitanti del Maramures a difendere le proprie tradizioni, contrariamente alla sua politica di assimilazione forzata delle diverse culture nel paese.
Le terre di questa regione del nord, isolate e protette da una serie di monti, un tempo facevano parte dell’ impero austro-ungarico. Ne parliamo con Giulio, il proprietario dell’edificio in cui alloggiamo nell’antica cittadina di Sighetu Marmatiei, detta Sighet, ai confini con l’Ucraina.
Con problemi di vista e deambulazione a causa di un grave incidente, Giulio ha una gran voglia di raccontarci la sua storia e lo fa in un buon italiano. I suoi genitori furono deportati in Polonia dai nazisti; ma anche durante il regime comunista la vita non era facile per gli ebrei.
«Avevamo case comode, oro e giornielli, ma venivamo vessati continuamente da funzionari del regime comunista, che volevano le nostre cose e ci requisivano le stanze per sistemare chi non aveva un’abitazione. Così un giorno decisi di raggiungere i miei parenti italiani. Prima mi recai in Svizzera, presso amici, poi presi una funivia e scesi dal versante italiano con gli sci. Da Venezia, dove tuttora vivono i parenti di mio padre, andai a Roma, ma avevo bisogno di un passaporto».
Giulio pare orgoglioso della sua vita avventurosa, che lo ha portato in giro per l’Europa, attraverso l’esperienza della legione straniera, aiutato da un medico ebreo. «Sono poi riuscito ad avere due passaporti» spiega; e quando gli chiedo di quale paese, mi dà una risposta vaga: «Oggi ne ho diversi, sono cittadino d’Europa».
Con la caduta del comunismo è ritornato a Sighetu Marmatiei per prendere possesso delle proprietà di famiglia, case e terreni confiscati dal regime. «Avete mai visto un ebreo lavorare?» mi chiede con ironia. Poi mi consiglia di visitare l’unica sinagoga rimasta aperta a Sighet, la cui popolazione, prima della seconda guerra mondiale, era composta per il 40% da ebrei.
Marcus è il capo della comunità israelitica. Busso alla porta del suo ufficio accanto alla vecchia sinagoga e lo trovo al lavoro. Non è ora di visita, ma l’accoglienza che ricevo è calorosa. Delle otto antiche sinagoghe di questa cittadina sul confine con l’Ucraina, ne sono rimaste solo 2 e questa è l’unica aperta. La visita, come sempre in questi luoghi, è commovente. Qui viveva una grossa comunità e qui nacque Eli Wiesel, premio Nobel, che fu deportato ma riuscì a salvarsi e raccontò dello sterminio nei campi di concentramento. Fu il primo a parlare di olocausto: 400 mila furono gli ebrei rumeni che persero la vita nei campi di concentramento; una cifra spaventosa.
MONTAGNE
Da Sighet a Borsa, una stazione turistica montana, con impianti per lo sci, ma che d’estate offre un aspetto desolato. Rallentati dai lavori in corso lungo la strada che permette di superare la catena di monti, raggiungiamo la Bucovina, regione affascinante per le tradizioni e l’arte delle chiese e monasteri ortodossi.
In un villaggio vicino a Suceava, a pochi minuti di strada da alcuni dei più bei monasteri dipinti della regione, siamo accolti con calore da Ana e Joan nella loro casa, ingrandita negli anni mentre cresceva la famiglia: hanno infatti 11 figli, sei dei quali vivono e lavorano a Torino: Maria e Lidia sono le tate dei miei nipotini, poi c’è Dina, Ana, Nicolai e Petru. A casa sono rimasti i più piccoli, che frequentano ancora le scuole: Aspasia, Adriana, Viorica, Lenutsa e Stefan.
Mamma Ana ha preparato per noi le polpette di agnello, formaggio fresco, fatto con il latte della mucca, peperoni e succo di lampone. Siamo invitati a fermarci per la notte, ci sono tanti posti letto, le stanze sono luminose, oate da vasi di fiori: quando ci lasciamo Ana mi abbraccia e mi stringe forte. Non ha parole, ma sento da parte sua affetto e apprensione, per quelle sue figlie lontane.
DELTA
Dal nord alla regione del Delta, nel sud della Romania, attraverso la regione della Moldavia, facciamo sosta a Iasi, città famosa per le sue università. In pieno centro noto la chiesa cattolica, modea e di forma circolare; vi incontro il parroco, che mi mostra lo splendido mosaico che oa le pareti intee della chiesa e mi parla della sua attività, legata alla stampa cattolica in lingua rumena.
Il proseguo del viaggio offre un paesaggio monotono, con rari villaggi e campagna inaridita dalla siccità, finché raggiungiamo il Danubio e lo attraversiamo in traghetto per raggiungere il porto fluviale di Tulcea, la capitale del Delta.
Quando al mattino ci presentiamo all’imbarco, il traghetto per Sulina, cittadina al confine estremo del delta, sul Mar Nero, è già partito. Non mi resta che chiedere un passaggio. Mi informo presso la capitaneria di porto e trovo un gruppo di preti ortodossi diretti proprio a Sulina, per celebrare la solennità di sant’Alessandro. Sono fortunata: Astarion, vescovo ortodosso di Tulcea, accetta di averci a bordo con lui.
Il comandante vede in questo gesto l’occasione per guadagnare soldi in nero, mi chiede una cospicua mancia, di nascosto dal prelato.
Il gruppo è formato da sei giovani parroci, che non parlano altra lingua che il rumeno, mentre il vescovo dopo le preghiere si intrattiene con noi, parlando del suo paese e dei rapporti con l’Italia e la chiesa cattolica. «Sono stato diverse volte in Italia, il vescovo di Cremona è mio caro amico». Poi chiarisce: «Sono un vescovo sinceramente ecumenico!».
LIPOVENI
Joan è un uomo aitante, bello nella sua divisa blu di marinaio della capitaneria di porto. Ci offre la sua barca, per fare un giro nei canali, ovviamente a pagamento. La guiderà il figlio, che si chiama come lui. Studente in odontorniatria nella lontana città di Arad, dove vivono i parenti della mamma, Joan jr vuole guadagnare qualcosa durante la stagione estiva. Ci porta in giro nei canali più remoti, ricoperti di ninfee fiorite e bordati da canneti. Ci spingiamo verso la costa del mare, dove vivono numerose colonie di pellicani. Lo spettacolo del volo di grandi stormi è ancora più bello verso il tramonto, quando ritorniamo a Sulina.
La mattina seguente lasciamo il canale principale per raggiungere in lancia il cuore del delta, dove pare sia rimasta un’antica foresta di querce e arbusti. Sbarchiamo nei pressi di un villaggio e restiamo in vana attesa di un mezzo per spostarci lungo le polverose piste del delta, finché decido di incamminarmi a piedi tra le case di pescatori, che scopro essere Lipoveni, cioè, gli ortodossi fedeli agli antichi riti, perseguitati sin dal tempo dello zar Pietro il grande. Li avevo incontrati l’anno scorso in Alaska, dove sono noti come old believers (vecchi credenti) e ora li ritrovo qui, regione altrettanto remota.
È domenica. Le donne vestono come le contadine rumene, il fazzoletto sul capo; gli uomini hanno calzoni a sbuffo e tunica allacciata da un cordone, come i personaggi dell’opera Kovancina; i carri sono fermi per il riposo dei cavalli, la strada è lunga. Ma ecco un vecchio fuori strada, guidato da Claudio che, tutto allegro, ci fa salire sull’automezzo.
Dell’antica foresta rimane qualche vecchia quercia, corrosa e circondata da una boscaglia fatta di arbusti, interessanti perché endemici del delta. Infatti, un gruppetto di visitatori ci ha appena preceduto, guidato da un professore che ci dà conto delle varie specie botaniche e delle piante medicinali che ricoprono le alte dune di sabbia lungo le coste del Mar Nero. Oggi si tenta di proteggere parte della regione del Delta, pesantemente sfruttata in epoca comunista e ancora con problemi di inquinamento.
È stato un viaggio che mi ha emozionata e incantata. Un paese che mi incuriosiva, la Romania, per quello che si sente dai media, molto negativo, e per le esperienze, sempre positive, che ho avuto con i rumeni conosciuti a Torino. Qui trovo conferma della mia idea: sono in maggioranza persone educate, fiere e laboriose.
Purtroppo il viaggio termina con una brutta esperienza. Al momento di consegnare la vettura a nolo, in condizioni perfette, non mi viene restituita la cauzione. Chiedo di parlare col titolare dell’agenzia e scopro che è un italiano, calabrese. Allora mi indigno, gli dico che mi vergogno per lui, che racconterò, scriverò di questo connazionale trasferito in Romania per insegnare i trucchi malavitosi a questa gente. E allora l’uomo cede e mi restituisce il denaro.
Claudia Caramanti