Tra nostalgia e integrazione
I turchi di Pietrabruna (Im)
La comunità turca nella provincia di Imperia è consistente; le amministrazioni locali cercano di offrire opportunità di integrazione, ma non è sempre facile, sia per mancanza di mezzi che per la resistenza degli immigrati, specie tra i più anziani.
«Quando hai oltre 100 cittadini stranieri residenti su 390 abitanti si pone un problema di tenuta. Non si tratta assolutamente di razzismo o intolleranza, è un problema di numeri: problemi con le scuole, con i parcheggi ecc.: 100 nuovi cittadini che si aggiungono ai residenti rischiano di mandare in tilt tutti i servizi». Riccardo Giordano, sindaco di Pietrabruna, piccolo comune di 591 abitanti sparso in diverse borgate nell’entroterra della provincia di Imperia, non usa mezzi termini per spiegare la trasformazione vissuta dal suo piccolo comune.
«Abbiamo ben 148 stranieri residenti nel comune, di 14 paesi diversi, in maggioranza, 94, di origine turca. E questi ultimi sono tutti concentrati nella borgata centrale di Pietrabruna». Era la seconda metà degli anni ‘90 quando la vecchia polveriera militare dismessa, che si trova sulla strada d’accesso al piccolo comune imperiese, viene trasformata in un centro di accoglienza per profughi kurdi, in fuga dalla persecuzione subita nella loro regione d’origine. Il piccolo centro arriva ad ospitare fino a 2.500 persone. Alcune delle quali riescono a trovare lavoro e stabilirsi a Pietrabruna.
«Nel 2000, quando sono diventato sindaco, i turchi non erano più di una decina – ricorda Riccardo Giordano -. Poi è successo che famiglia chiama famiglia, e pochi mesi fa abbiamo raggiunto il top. E si, perché più di così non ci possono stare fisicamente, non ci sono più case disponibili». E nonostante le periodiche proteste di alcuni residenti che si sentono «assediati», il primo cittadino cerca di gestire la situazione.
«Se dal punto di vista culturale l’atteggiamento di alcuni abitanti è “fuori dalle scatole”, dal punto di vista economico è “belin che gli affitto la casa”. Poi c’è la maggioranza silenziosa, che non si esprime. In mezzo, noi del comune, che cerchiamo di fare da mediatori».
Ma l’arrivo dei turchi ha anche permesso al comune di mantenere attivi alcuni servizi, che altrimenti sarebbero stati dismessi. «La scuola ad esempio, la manteniamo aperta a tutta la popolazione grazie ai bambini turchi – spiega il primo cittadino -. Nel 2008 infatti su sei bambini nati, cinque sono turchi e uno italiano».
Ma l’altra faccia della medaglia è che alcuni scolari stranieri arrivano durante l’anno, senza conoscere la lingua, e ci vorrebbe il sostegno di un insegnante d’appoggio. Che l’Istituto comprensivo scolastico non riesce a garantire. E finisce che l’amministrazione comunale deve farsi carico del servizio. «Tuttavia non dobbiamo preoccuparci più di tanto – tranquillizza il sindaco -. Qui fortunatamente non abbiamo mai avuto problemi di ordine pubblico. Guai, diventerebbe difficile amministrare la situazione. I turchi sono molto tranquilli, tutti occupati nell’edilizia. Molti magari lavorano in nero, ma altrettanti hanno aperto partita iva, lavorano onestamente e pagano le tasse». Sono specializzati in muri in pietra.
Il vero problema da affrontare in un futuro prossimo, secondo Riccardo Giordano, è quello dell’integrazione della nuova comunità. «Qui integrazione non ce n’è, perché loro non la cercano. Forse ci sarà in un’altra generazione, ma oggi in paese non c’è nessuna visibilità della comunità turca, non hanno aperto negozi né creato nulla di loro. È tutto come prima. Le donne velate le vedi solo quando vanno a fare la spesa. Altrimenti stanno in casa. I turchi si frequentano tra loro ed escono poco».
La giunta comunale ha organizzato corsi di italiano per le donne turche realizzati da una maestra madre lingua. «Non so se il prossimo anno riusciremo a riproporre il servizio – continua il primo cittadino – perché dobbiamo ancora trovare le risorse economiche. L’Ici non c’è più e le spese aumentano. Bisognerebbe anche costruire delle occasioni di confronto, qualche festa assieme per promuovere l’integrazione. Ma non ce la facciamo a far tutto da soli».
«Alle olimpiadi io tifo per l’Italia e non per la Turchia. Perché ormai il mio posto è questo. Sono arrivato a Pietrabruna nel ’99 da Sorgum, provincia di Yozgat, vicino alla capitale Ankara, che avevo 12 anni. Insieme a me tutta la famiglia: padre, madre, quattro fratelli maschi e due sorelle». Questa la confessione di Karaman Ismail, che insieme a tre cugini turchi racconta la sua storia seduto al dehor del bar, nella piazza del paese.
«Partito dalla Turchia – racconta il giovane – sono venuto subito qui. Mio padre lavorava a Pietrabruna come muratore dal 1996, e io, dopo qualche anno di studio, ho aperto una ditta edile con mio fratello. Mio padre aveva conosciuto un connazionale in Germania che gli parlò della provincia di Imperia, dicendo che si trovava lavoro. Abbiamo deciso di venirci tutti».
La comunità turca della provincia di Imperia, secondo Karaman, conta oggi circa 2.500 persone. Di cui ben 94 residenti nel piccolo comune di Pietrabruna. «Il grosso problema per chi arriva qui è trovare casa – spiega -. Giù ad Imperia per una stanza ti chiedono anche 800 euro al mese. Per questo molti sono venuti a stare qui a Pietrabruna, dove si trova anche per 250».
Altro problema, ammette il giovane, è quello della lingua. Anche se, dice: «L’italiano è più facile di tedesco e inglese. E tutto sommato è stato facile impararlo. Chi non lo parla, e purtroppo sono ancora molti, è perché non vuole integrarsi. E questo non è giusto; alcuni vengono qui esclusivamente per lavorare e fare i soldi con la sola idea di tornare in Turchia. Vogliono prendere in giro la gente. Ma a me, come a tanti della mia generazione, non va. Io tra qualche mese prendo la cittadinanza, almeno sono tranquillo di poter rimanere».
Karaman è amico di tutti, parla con i connazionali e i liguri indifferentemente. Suo papà, invece, appartiene a un’altra generazione, non parla ancora molto l’italiano, e tra qualche anno vorrebbe tornare in Turchia. «Mio padre adesso lavora meno, ha cominciato a 12 anni e oggi ne ha 48. Arrivato in Italia ha lavorato per ditte locali, poi appena ottenuto il permesso di soggiorno ne ha aperta una sua. Ma ora è vecchio e tocca a noi provvedere alla famiglia; penso che tra tre o quattro anni toerà a Sorgum».
L’idea di tornare in Turchia al giovane turco invece proprio non va. «A volte mi viene la nostalgia del mio paese – spiega – ma mi va via in fretta. Quando too per le vacanze trovo sempre tutto cambiato. La gente mi guarda in un modo diverso, e anche la mentalità ormai non mi appartiene più. Mi sento a posto più qui che al mio paese, e in Turchia non riuscirei più a viverci. Noi giovani non ce la facciamo più a tornare».
La famiglia Ismail, che ha da poco comprato casa nel piccolo comune ligure, ha comunque conservato la casa di famiglia in provincia di Yozgat. Dove il padre sta addirittura costruendo due alloggi per le vacanze ai figli maggiori. «Oggi tutto sommato non possiamo proprio lamentarci – continua il giovane turco -. Siamo andati via dalla Turchia per motivi economici e da quel punto di vista va molto meglio. Qui possiamo addirittura festeggiare le ricorrenze musulmane nel nostro centro a Porto Maurizio, dove abbiamo un imam e dove ci rechiamo a comprare i prodotti per la nostra cucina. Come la carne alal, proveniente dalla Francia. Sempre a Imperia, poi, c’è un foo e un bar gestiti da turchi. E stanno pensando di aprire un negozio con i nostri prodotti. Tutte notizie positive, perché penso sia un bene che oggi i turchi non facciano più solo i muratori».
Certo Karaman non nasconde che rimangono alcuni problemi, primo fra tutti quello dei documenti. «Il sistema qui da voi proprio non funziona. Possibile che se uno temporaneamente non lavora e non ha la busta paga, per avere il rinnovo del permesso in questura debba iscriversi all’artigianato? E se poi non riesce a pagare le tasse? Gli ritirano immediatamente il permesso di soggiorno».
Inoltre, spiega Karaman tra i gesti di consenso degli amici, il vero problema che deve affrontare la comunità turca di Pietrabruna è la crisi economica. Perché da un anno a questa parte nel piccolo comune gli immigrati faticano a vivere: «C’è poco lavoro e le tasse continuano a salire, tanto che dalla Turchia non arriva più nessuno – conclude Karaman Ismail -. Anzi qualcuno comincia a tornare indietro ed altri emigrano in Francia. In Germania meno, perché lì vive bene chi è andato qualche anno fa. Ora è difficile entrare, fanno il test della lingua. Dicono che vogliono farlo anche in Italia, e secondo me sarebbe giusto, perché chi vuole venire a lavorare qui dovrebbe saperla. Poi come se non bastasse sono arrivati anche i rumeni, che lavorano quasi gratis».
Maurizio Dematteis