Migrazione spinta, migrazione attratta

Migranti dal mondo all’Italia

Milioni di persone nel mondo lasciano ogni anno la propria patria per migrare in altri paesi in cerca di un futuro migliore. L’Italia è tra i primi paesi di immigrazione nell’Unione europea e il fenomeno è destinato a crescere, anche perché a causa della crisi demografica cresce il bisogno di manodopera straniera in tutti i settori della nostra società. Un fenomeno necessario e positivo, quindi, ma deve essere accompagnato da politiche aperte e lungimiranti, che favoriscano l’integrazione, il passaggio da immigrati a cittadini. I «nuovi italiani» non sono numeri e statistiche, ma persone con storie di vita, portatori di nuovi valori culturali, che è  necessario conoscere, per la convivenza interculturale e la pace religiosa.

O ggi i migranti nel mondo sono arrivati a quota 200 milioni, pari a quasi il 3% dei 7 miliardi di esseri umani sulla terra, con un incremento annuale di 3 milioni di persone.
Di questi 200 milioni, nonostante il crescente numero di richiedenti asilo e sfollati denunciato annualmente dalle Nazioni Unite, la parte più consistente rimane costituita da lavoratori in cerca di un futuro migliore. Lavoratori immigrati che secondo l’Inteational labour organization arrivano a rappresentare nei paesi industrializzati circa il 12% dell’intera forza lavoro.
Migranti: produttori di ricchezza
La spinta ad abbandonare il proprio paese per cercare condizioni di vita migliori è dettata dal fatto che la ricchezza mondiale è sempre più concentrata nei Paesi a sviluppo avanzato (Psa) a scapito del resto del mondo. Sulla base di una serie di elaborazioni teoriche, si calcola che nel corso del 2007 nel mondo si siano prodotti 65.200 miliardi di dollari di ricchezza, una cifra che sarebbe in grado di assicurare a ogni abitante della terra un reddito annuo pari a 9.768 dollari.
In realtà la forte sperequazione nell’accesso alle risorse tra le diverse aree del mondo fa sì che appena il 13% della popolazione mondiale residente in America settentrionale e negli stati membri dell’Unione europea detenga la metà del Prodotto interno lordo (Pil) mondiale. Mentre Africa, America Latina e Asia, che rappresentano la metà della popolazione mondiale, raggiungano appena un quarto del Pil dell’intero pianeta terra.
Per contrastare la crescente povertà nel mondo, l’Onu, nel corso del 2000, ha lanciato gli Obiettivi del millennio. Si tratta di otto obiettivi finalizzati al contrasto della povertà estrema, delle malattie, dell’inquinamento ambientale e all’impegno nell’innalzamento della qualità della vita di ogni essere umano che abita il pianeta, che tutti i 191 stati membri si sono impegnati a raggiungere per l’anno 2015.
Ma oggi, a causa del rallentamento della crescita economica globale, il raggiungimento di tali obiettivi resta incerto. E non è un caso che il 2008 sia da ricordare per il fallimento dei negoziati presso l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) per la liberalizzazione del commercio dei prodotti alimentari, misura che avrebbe dovuto apportare concreti benefici in termini di competitività internazionale per le economie prevalentemente agricole dei paesi in via di sviluppo (Pvs).
I pochi dati economici globali presentati bastano a far capire quali sono i principali flussi delle immigrazioni nel mondo, che vedono milioni di persone abbandonare i propri paesi del Sud del mondo verso quelli del Nord. Storie di speranza, ma anche di fatiche e sofferenze, qualche volta di disperazione. E proprio per quanto riguarda «l’immigrazione disperata», quella che spesso finisce nelle mani di trafficanti di uomini senza scrupoli, il bilancio è impressionante: nei primi 7 mesi del 2008, tra coloro che hanno cercato di raggiungere Italia e Spagna via mare, si contano 399 morti accertati nel Canale di Sicilia e 188 sulla rotta verso le isole Canarie. Dal 1988 oltre 12.566 persone, per rimanere alle morti accertate, sono annegate nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Il caso Italia
«Molti immigrati nel nostro paese trovano impiego nell’ambito dei servizi alla persona – spiega Tiziana Caponio, del Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione -, soprattutto agli anziani. Perché l’Italia si presenta con una grossa domanda di servizi di cura per anziani non autosufficienti in assenza di strutture residenziali adeguate. Abbiamo un sistema di welfare debole sul lato dei servizi, che viene compensato con il trasferimento dei redditi delle famiglie a badanti straniere».
Nel nostro paese l’équipe del Dossier Caritas/Migrantes stima che a fine 2007 fossero 4 milioni i cittadini stranieri presenti, che su una popolazione totale di 59.619.290 abitanti è uguale al 6,7% del totale, ben al di sopra della media europea. L’Italia infatti si colloca oggi tra i primi paesi di immigrazione dell’Unione europea, subito dopo Germania e Spagna, con un incremento annuo di immigrati di 350 mila unità. E se continuerà questo ritmo l’Italia è avviata a superare la presenza di 10 milioni di stranieri ben prima di metà del secolo, diventando il primo paese europeo per numero di immigrati insieme alla Spagna.
Uno scenario preoccupante?
Al contrario: se si calcola che nel nostro paese il saldo tra nascite e morti è ormai negativo da anni, per l’esiguo numero di nuovi nati e l’aumento esponenziale dei decessi; che l’età media è in continuo aumento e la popolazione attiva in costante diminuzione, il futuro non è pensabile senza gli immigrati che, essendo persone più giovani d’età, diventano indispensabili per abbassare l’età media della popolazione complessiva.
«L’immigrazione in Italia comincia nel ‘74 – spiega Francesco Ciafaloni, ricercatore dell’Ires Lucia Morosini di Torino -. Ma la vera immigrazione importante parte solo 4 anni fa, quando diventa evidente l’effetto della transizione demografica del nostro paese: il passaggio da natalità alta a bassa e da mortalità bassa ad alta».
A quel punto il sistema economico nazionale, non trovando più manodopera nel paese, ha avuto bisogno di importae dall’estero. «Questo aumento di immigrati – continua Francesco Ciafaloni – non è quindi dovuto al degrado del mondo, ma al fatto che il sistema produttivo italiano richiede forza lavoro. Mentre fino a 25 anni fa si parlava di immigrazione spinta, cioè persone arrivate in fuga da guerre e carestie, oggi si può parlare di immigrazione attratta dal lavoro».
Un fenomeno che presenta delle positività per il nostro paese, ma che allo stesso tempo necessita di essere governato e accompagnato da politiche ad hoc. «Si impone la necessità di una politica positiva – scrivono gli specialisti Guerino Di Tora, Vittorio Nozza e Piergiorgio Saviola nell’introduzione al XVIII Rapporto Dossier statistico 2008 immigrazione di Caritas/Migrantes – a favore della maggioranza degli immigrati, investendo in idee e risorse. […] L’ambito delle politiche di integrazione è il banco di prova della capacità della classe dirigente di un paese chiamato ad affrontare il tema delle migrazioni. La reiterazione di provvedimenti sicuritari o emergenziali non mostra la forza nell’affrontare il tema, ma la sua debolezza nell’impostare politiche lungimiranti e illuminate capaci di costruire percorsi di cittadinanza, che siano nello stesso tempo inclusivi e anche esigenti nei confronti delle persone immigrate».
Chi sono questi immigrati
«Sono badanti, muratori, agricoltori – spiega Francesco Ciafaloni -. Ma anche operai e infermieri. Perché se le cose che si possono trasportare, in periodo di globalizzazione e con i trasporti a basso costo, si fanno dove costa poco per portarle dove costano tanto, rimangono alcune cose che bisogna necessariamente fare qui. E infatti le cose che si fanno gli immigrati sono le cose che non si possono trasportare: case, strade, buchi per terra e servizi alla persona. O le infrastrutture per le Olimpiadi di Torino 2006, che, se non ci fosse stata la comunità rumena, non si sarebbe riusciti a fare».
Ma per andare oltre alla professione, se a livello statistico non mancano i dati sui «nuovi italiani» provenienti da paesi esteri, pochi sono gli studi in profondità, la raccolta delle cosiddette «storie di vita» delle famiglie immigrate, per capire chi sono, cosa pensano e quali prospettive hanno i nuovi abitanti della penisola.
Si tratta di una realtà in espansione e soggetta a molti cambiamenti. Dove ad esempio alcune famiglie, a causa dei bassi prezzi degli immobili e dell’alta qualità della vita, decidono di lasciare la città per trasferirsi in provincia. Andando a ripopolare quel «Mondo dei vinti», per citare Nuto Revelli, quelle zone «di confine» abitate da contadini e montanari. Nuovi abitanti impiegati in servizi alla persona, nella ristorazione, nell’edilizia ecc. Intere famiglie trasferite in piccoli comuni per costruirsi una nuova vita. Una nuova identità frutto della mediazione tra la loro cultura d’origine e quella del luogo eletto a nuova dimora.
Grazie a questo fenomeno in questi luoghi si vengono a creare reti lunghe tra piccoli comuni e regioni estese, fino alla creazione di consistenti comunità straniere, provenienti da paesi dell’Africa, dal Sud America, dai paesi dell’Est Europa o da paesi orientali.
«In genere gli immigrati arrivano nei grandi centri urbani – continua Ciafaloni – per poi spostarsi lentamente verso le periferie e creare delle catene migratorie minori. Nei piccoli comuni delle zone marginali, come nei comuni montani ad esempio, si possono creare nicchie che si sostituiscono allo svuotamento. Perché se c’è una nicchia ecologica, in cui si può vivere, lavorare e magari riattarsi una casa a poco prezzo, allora gli immigrati arrivano. Cosa capita poi in provincia con i nuovi arrivi è una cosa che bisogna andare a scoprire sul posto. Perché per cercare di indovinare il futuro bisogna tenere un occhio al mondo e andare a parlare con quelli che ci stanno».
E proprio al fine di conoscere meglio queste nuove realtà artefici, insieme alle comunità originarie, della trasformazione del tessuto socio-economico delle zone di provincia italiane, insieme al collega fotografo Davide Casali, abbiamo avviato un lavoro di raccolta testimonianze nel corso del 2008. Attraverso una serie di interviste in profondità, condotte con lo strumento sociologico dell’«intervista discorsiva guidata», si è raccolta la testimonianza di oltre 12 comunità straniere numericamente rilevanti residenti in altrettante zone di provincia italiane (alcune delle quali presentate di seguito). 

Di Maurizio Dematteis

Maurizio Dematteis