Inculturazione della liturgia in Asia
Padre Giorgio e suor Lucia hanno partecipato al «Convegno per la promozione della liturgia in Asia», tenuto in Sri Lanka, nel settembre 2008: è stata per loro un’esperienza arricchente; ma hanno pure portato il contributo di chiesa giovane e dinamica.
Parlare di cielo in Mongolia è qualcosa di più che un semplice discorrere del tempo. L’immensità del cielo che sovrasta gli spazi vuoti delle pianure dell’Asia centrale è un’allusione istintiva a ciò che ci trascende, agli spiriti, direbbe uno sciamano, a Dio, diciamo noi. Per noi della Mongolia ha assunto perciò un significato particolare partecipare al convegno organizzato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, intitolato: «Liturgia come un affacciarsi del Cielo sulla terra».
L’espressione è di Benedetto xvi, quando nell’esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis al n. 35 parla di «bellezza e liturgia», specificando che non si tratta di «mero estetismo», ma di una «modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore» (35).
La liturgia come partecipazione al mistero della rivelazione dell’amore di Dio e motore del dinamismo dell’evangelizzazione fa parte del nostro Dna di missionari della Consolata e siamo contenti di poter servire una chiesa nascente, come quella mongola, anche in questo campo.
In qualità di cornordinatore (padre Giorgio) e membro attivo (suor Lucia) della Commissione liturgica della Prefettura apostolica di Ulaanbaatar, siamo stati infatti inviati dal vescovo e iniziatore della missione a rappresentare la Mongolia al convegno che si è recentemente svolto in Sri Lanka. L’iniziativa portava il sottotitolo di «Convegno per la promozione della sacra liturgia in Asia» ed è stato un bellissimo momento di formazione e conoscenza reciproca, per delegati di 20 paesi asiatici, che si sono dati appuntamento alla periferia di Colombo nei giorni dal 16 al 21 settembre scorso per riflettere, insieme ai vertici della Congregazione per il culto divino, sulla situazione attuale della liturgia nel panorama asiatico.
L’idea di un convegno asiatico sulla liturgia s’inserisce in un generale orientamento della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti di animare a livello continentale le chiese locali su temi liturgici. Il primo di questi incontri si era tenuto in Ghana nel 2006, cui era seguita una consultazione dei vescovi asiatici sull’opportunità di un simile incontro nel contesto orientale; la positiva reazione alla proposta per l’Asia aveva convinto gli organizzatori a passare alla fase conclusiva con la settimana di Colombo.
La scelta dello Sri Lanka come paese ospitante si è rivelata vincente, non solo per la perfetta organizzazione e il grande spirito di accoglienza della popolazione, ma anche per un significato simbolico: qui infatti si compone in miniatura quel mosaico di culture e religioni che caratterizza tutta l’Asia e qui la chiesa è chiamata a testimoniare l’amore e la riconciliazione, in un contesto di grande sofferenza, per il protrarsi delle tensioni etniche tra tamil e cingalesi.
I lavori prevedevano sempre un momento formativo al mattino, con due relazioni accademiche da parte di esperti; quindi i lavori di gruppo, sulla base di domande e approfondimenti legati al tema affrontato. Ad accompagnare questo ritmo di riflessione e confronto le relazioni delle commissioni liturgiche nazionali, il tutto in un clima di preghiera, alimentato dalla liturgia delle ore, celebrata insieme e incentrato sull’eucaristia, presieduta a tuo dai numerosi vescovi e arcivescovi che hanno testimoniato il cammino delle rispettive chiese locali.
I temi analizzati vanno dall’inculturazione alla formazione liturgica, con ampio spazio a questioni come le traduzioni, il ruolo delle commissioni diocesane e nazionali e la collaborazione con la Congregazione.
Per noi della Mongolia è stato molto arricchente ascoltare gli esperti e partecipare alle discussioni nei gruppi, avendo accanto personaggi del calibro del cardinale Zen di Hong Kong, o provenienti da situazioni limite come padre Son Un della Cambogia, che ha raccontato la sua odissea di rifugiato ai tempi dei khmer rossi.
A noi che stiamo lavorando alla compilazione dei libri liturgici per la Mongolia, è stato soprattutto utile conoscere da vicino la dinamica che intercorre tra chiesa locale e Congregazione per il culto divino, nei suoi aspetti ecclesiologici e anche in quelli più pratici.
Preparare un testo per la liturgia è un lavoro di équipe molto esigente: innanzitutto la traduzione dalla editio typica (che è in latino) nella lingua corrente, con conseguente problema di competenza linguistica; poi la discussione della traduzione in sede locale e successivamente l’invio della bozza con le dovute spiegazioni e possibili adattamenti alla Congregazione, che prende in esame il testo (la cosiddetta recognitio) e lo restituisce con le eventuali precisazioni o correzioni per la pubblicazione finale.
Ad alcuni questo processo sembra un po’ forzato; ci si chiede: esistono davvero le condizioni reali per una valutazione competente di testi in tante lingue diverse? Durante il convegno è stato ampiamente mostrato che, oltre all’effettiva disposizione presso la Congregazione di esperti di alto livello, il significato di questa recognitio è piuttosto ecclesiologico: la liturgia celebrata anche nel più remoto villaggio esprime la fede della chiesa universale, e dunque è giusto che il relativo libro liturgico venga emanato dall’autorità suprema; in tal modo, pregando con quel testo la comunità locale saprà di essere in comunione piena con tutta la chiesa, che si identifica con quelle parole e quei gesti per vivere il mistero di Cristo.
La nostra presentazione della realtà mongola ha molto colpito i presenti, per l’originalità del contesto e la vivacità della fede vissuta. In una realtà così nuova è fondamentale partire col piede giusto, creando le condizioni necessarie per il lavoro sulle traduzioni dei testi liturgici. Un esempio molto apprezzato sono i lezionari che siamo riusciti a preparare in questi anni e il dizionario inglese-mongolo sulla terminologia cristiana, preparato dal missionario francese padre Pierre Palussiere.
Rappresentanti di chiese ormai fondate e stabili come quella dell’India hanno confessato di non avere ancora preparato un simile strumento di base, mentre noi che viviamo agli inizi della chiesa in Mongolia siamo già riusciti ad averlo!
Il card. Arinze, prefetto della Congregazione, al termine del rapporto, ci ha avvicinati per complimentarsi e augurare che la comunità credente da 5cento passi a 5mila e fino a 5milioni, persino più di quanti siano tutti gli abitanti della Mongolia!
Il convegno ha offerto la possibilità di riflettere sulla distintiva individualità della liturgia della chiesa, sedimentata in due millenni di storia, nel suo incontrarsi con le culture via via interessate nel processo di evangelizzazione; culture che godono di una natura organica che va conosciuta e rispettata e che non sopporterebbero facili appropriazioni indebite. Arte e musica sacra, così come gesti e posture sono l’espressione più evidente della fede incarnata e si sviluppano armoniosamente solo in un contesto di collaborazione reciproca tra pastori e fedeli, con l’aiuto di esperti e leaders, ma sempre in attento ascolto del sensus fidei del popolo di Dio.
L’Asia a questo riguardo conosce già molti successi che innalzano il cuore dei fedeli e li fanno sentire più partecipi dei misteri celebrati in sintonia con la propria sensibilità culturale; ma esistono anche esperienze meno felici che, pur nascendo spesso da genuino desiderio di inculturazione, finiscono talvolta col confondere, se non ferire la fede dei credenti.
I risultati di questo profondo scambio, ascolto reciproco e preghiera vissuti al Convegno sono condensati nel cosiddetto «Colombo statement», ossia la «Dichiarazione di Colombo», dove si legge tra l’altro un auspicio «che i valori asiatici di contemplazione, misticismo e silenzio possano trovare più forte espressione nella liturgia cristiana» (n. 6). Il documento ricorda inoltre che «il senso del sacro sta al cuore dei valori culturali, ai quali tutti i popoli asiatici sono molto attaccati. Ci si aspetta che un’aura di santità circondi ogni elemento legato al culto» (n. 2).
Noi della Mongolia vorremmo che questo si verifichi a ogni eucaristia, così da sperimentare quella attrazione esercitata dalla liturgia, come confessano le persone che incontriamo e che spesso poi seguono l’ispirazione di continuare il cammino intraprendendo il catecumenato.
Proprio come avviene nella nostra cappella di Arvaiheer, dove ogni domenica celebriamo con persone per le quali tutto ciò che è cristiano è assolutamente nuovo; nella speranza che attraverso i divini misteri si aprano i cuori, perché si realizzi anche nel «Paese dell’eterno cielo blu» il miracolo del «Cielo che si affaccia sulla terra».
Giorgio Marengo e Lucia Bartolomasi