Aspetti culturali e religiosi degli alimenti
Dalla Bibbia ai Veda orientali, dal Corano ai precetti buddisti, da sempre la preparazione del cibo, il suo significato, i suoi rituali sono l’espressione di un’unica e intima tensione dell’animo umano a tessere relazioni con gli altri. E con l’Altro.
«F in dall’antichità gli uomini ringraziavano le divinità con sacrifici e attraverso offerte di cibo. Fin dalle epoche più remote la condivisione del pasto era cifra della volontà di mettersi in relazione con l’Altro, con il Divino, ma anche con l’uomo suo simile: era un convivio d’amicizia ed unità variamente intesa». Si apre così l’interessante libro di Paola Bizzarri e Davide Pelanda, «La fede nel piatto», edizioni Paoline.
Il testo è diviso in due capitoli principali: il primo rappresenta un viaggio attraverso le prescrizioni religiose delle principali religioni di Occidente e Oriente (ebraismo, cristianesimo, islam, hinduismo, buddismo e jainismo), e le usanze gastronomiche nate da ciascuna tradizione. Il secondo esplora, sia dal punto di vista politico-economico, sia storico sia, ancora, prettamente alimentare, i «saperi e sapori» del «cibo povero» e «dei poveri».
Entrambi ci mettono in relazione con mondi e culture diverse, passate e presenti.
Il cibo: tra divieti
e concessioni divine
«Il Signore disse a Mosè e a Aronne: “Riferite agli Israeliti: Questi sono gli animali che potrete mangiare tra tutte le bestie che sono sulla terra. Potrete mangiare d’ogni quadrupede che ha l’unghia bipartita, divisa da una fessura, e che rumina. Ma fra i ruminanti e gli animali che hanno l’unghia divisa, non mangerete i seguenti: il cammello, perché rumina, ma non ha l’unghia divisa, lo considererete immondo; la lepre, perché rumina, ma non ha l’unghia divisa, la considererete immonda; il porco, perché ha l’unghia bipartita da una fessura, ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri; li considererete immondi».
L’elenco di divieti e di concessioni alimentari, contenuto sia nel Levitico (cap. 11) sia nel Deuteronomio (cap. 14), è lunghissimo e dettagliato, così come sono numerose le sure e i versetti del Corano in cui si definisce ciò che è halal (lecito) o ciò che haram (proibito). «Vi sono vietati gli animali morti, il sangue, la carne di porco e ciò su cui sia stato invocato altro nome che quelli di Allah, l’animale soffocato, quello ucciso a bastonate, quello morto per una caduta, incornato o quello che sia stato sbranato da una belva feroce, a meno che non l’abbiate sgozzato (prima della morte) e quello che sia stato immolato su altari (idolatrici)…» (sura V,3).
Prescrizioni kasher e halal affondano le radici in retaggi sociali, religiosi e culturali semitici comuni a ebraismo e islam: il libro di Pelanda e Bizzarri ha il merito di permettere al lettore di addentrarsi in entrambe le tradizioni e di ritrovarvi le profonde affinità e continuità che i sanguinosi conflitti politici mediorientali degli ultimi sessant’anni hanno sepolto.
Cibo e salute
Tuttavia, il rispetto di certe norme alimentari non ha a che fare solo con la fede, ma anche con certo salutismo e rispetto per l’ambiente. Lo spiegano bene l’ebrea Manuela Sadun e il musulmano Elvio Isa Arancio.
«Il nutrimento è “adatto” perché lo scegliamo, perché ci amiamo, perché amiamo la nostra vita. (…) La salute, intesa nel senso più ampio possibile, implica il giusto rapporto con il cibo» racconta la Sadun a pag. 18 del libro.
«Mangiare è un mezzo, non un fine – ci spiega Arancio, sufi e ambientalista -, cerco di avere un atteggiamento etico: la mia scelta va verso il cibo sano, naturale e, per quanto possibile, non industriale. Prediligo frutta, verdura e legumi e ho drasticamente ridotto il consumo di carne, poiché sono consapevole che è una delle cause dell’attuale inquinamento del nostro pianeta. La lecità degli alimenti non è solo legata al rituale, ma anche a questioni sanitarie e etiche. Se mangiare carne tutti i giorni contribuisce alla deforestazione della terra, allora è qualcosa di illecito. C’è una cosa che, come musulmano, mi mette a disagio: il proliferare delle macellerie islamiche, dove si vende carne in grandi quantità. Che bisogno c’è di mangiarne così tanta? Anche questa sarà una forma di consumismo? Un modo errato di ostentare benessere?».
Religioni e alimentazione
dell’Estremo Oriente
Anche il buddismo, come è risaputo, è molto attento al cibo: «Mangiare carne spegne il seme della grande compassione» recita il Mahaparinirvana Sutra.
Scrive Davide Pelanda a pag. 41: «L’insegnamento del Buddha punta all’estinzione della sofferenza di tutti gli esseri senzienti: desidera la liberazione degli animali anche dalla violenza umana. (…) La compassione (karuna) sfocia spontaneamente in un atteggiamento di amore universale (metta, letteralmente “amicizia”).
Questo amore è regolato da dei precetti, dei codici di comportamento cui dovrebbero rifarsi tutti i credenti buddisti. I precetti vengono recitati sotto forma di preghiera, come: “Osservo il precetto di non uccidere nessun essere vivente”, oppure “osservo il precetto di non mangiare cibi fuori stagione”. A questi si aggiunge il precetto secondo cui non si deve mai essere causa di dolore per alcun essere vivente».
Il cibo dei poveri
La seconda parte del libro presenta un’altrettanto interessante riflessione sull’alimentazione «povera» del passato e del presente, sul dumping internazionale – merci, cibi, venduti al di sotto del prezzo di mercato, e causa di miseria per milioni di persone – e sulle mense dei poveri di tutto il mondo. Mense dove semi, tuberi e radici, legumi, frutta e verdura sono i principali, e spesso gli unici, ingredienti concessi a una sempre più vasta moltitudine di esseri umani.
Angela Lano