Da spaccapietre a imprenditore tessile
La comunità cinese di Barge (Cn)
Le tradizioni familiari e i legami clanici sono ancora forti nelle comunità cinesi; ma qualcosa sta cambiando tra i giovani, che rompono con il passato, avviandosi sulla strada dell’integrazione con l’ambiente in cui lavorano.
«Le prime famiglie cinesi in valle sono arrivate verso la fine degli anni ’90. Richiamate da un mercato del lavoro carente di operai che lavorassero nelle cave di pietra dei piccoli comuni di Barge e Bagnolo, in provincia di Cuneo». Ricorda bene quel periodo Pietro Schwarz, responsabile di progetto del Consorzio Monviso solidale, associazione costituita dai 52 comuni dell’area cuneese compresa tra Fossano, Saluzzo e le Comunità Montane Valle Varaita e Valle Po, Bronda e Infeotto, per la gestione dei servizi socio-assistenziali.
«Abbiamo subito aperto due sportelli a servizio degli immigrati a Barge e Bagnolo – continua Pietro Schwarz -, i luoghi in cui si è concentrata la comunità cinese. Che oggi conta più di 800 persone». Su 12.700 abitanti (rispettivamente 7.000 a Barge e 5.700 a Bagnolo), secondo i dati ufficiali, vivono ben 801 cinesi – rispettivamente 495 a Barge e 306 a Bagnolo. Ma gli impiegati comunali non nascondono che in realtà ce ne sono molti di più. E presso gli sportelli, un giorno a settimana gli operatori del Consorzio accolgono gli immigrati, aiutandoli nelle operazioni più disparate: dal disbrigo di una pratica burocratica alla lettura e comprensione di una contravvenzione; dalla presa in carico di problemi nati sul posto di lavoro, spesso a causa della scarsa conoscenza della lingua italiana, all’ascolto dei possibili problemi interni alla stessa comunità cinese.
«Il nostro lavoro, che possiamo definire “di comunità” – continua l’operatore – è nato all’indomani di alcune segnalazioni del Tribunale dei minori di Milano. Perché sebbene a Barge e Bagnolo non si siano mai verificati problemi con la giustizia minorile, è sempre meglio prevenire i problemi lavorando per l’integrazione tra italiani e cinesi».
Il Consorzio non si limita agli sportelli, ma promuove laboratori didattici nelle scuole elementari e medie. «Nel complesso scolastico di Barge i ragazzini cinesi sono ormai il 17,82% – spiega Pietro Schwarz -, mentre in quello di Bagnolo il 19,44%. Numeri rilevanti da cui partire per promuovere fin da subito un corretto percorso di integrazione». Perché se, come spiegano gli operatori del Consorzio, con adulti e anziani l’integrazione praticamente non esiste, e i rapporti con gli italiani si limitano alla coabitazione all’interno del paese, è sui giovani e giovanissimi, fino ai 16/17 anni, che si gioca la vera partita.
«Con i giovani, se si propongono delle attività, si può legare tranquillamente – continua il responsabile di progetto -. E in un luogo come Barge e Bagnolo, dove c’è pochissimo fermento culturale, è molto semplice agganciare i ragazzi». E grazie al paziente lavoro della scuola, delle associazioni come il Consorzio Monviso solidale e alla buona accoglienza da parte della popolazione locale, anche all’interno della conservatrice comunità cinese, dove i clan familiari hanno ancora la loro influenza, oggi qualcosa sta cambiando: «Gli esempi di rottura con il passato sono ancora pochi – conclude Pietro Schwarz -, ma cominciano a nascere. E non mi riferisco agli otto magazzini di lavorazione della pietra gestiti da imprenditori cinesi, che comunque lavorano sempre per conto terzi. Ma ad esempio alla nuova gestione del ristorante cinese in valle o al laboratorio tessile aperto recentemente a Bricherasio. Tutte attività nate per volere di giovani imprenditori cinesi desiderosi di migliorare la loro condizione di vita, sganciandosi dalla tradizione familiare della lavorazione della pietra».
«Sono arrivato a Barge dalla Cina cinque anni fa. Oggi ho 19 anni, che per l’Italia sono solo 17 (l’età anagrafica in Cina viene calcolata in maniera differente rispetto al resto del mondo, nda), e da sei mesi lavoro nel laboratorio tessile di mio fratello maggiore Chen Rongqian, di 21 anni italiani, a Bricherasio».
Chen Rongyong, originario del villaggio di Yuhu, nei pressi di Wenzhou, provincia dello Zijang, oggi lavora dalle 12 alle 15 ore al giorno nel laboratorio di famiglia. Si fa chiamare Davide, perché dice: «Mi serve per lavoro: il nome italiano è più semplice da ricordare per i clienti». Oltre a cucire e stirare, infatti, Davide cura i rapporti con i fornitori. «Arrivato in Italia – spiega – ho continuato gli studi di economia aziendale. E anche se non mi sono diplomato, perché ho preferito andare a lavorare prima, mi è servito per imparare la lingua. Oggi tengo i contatti con i clienti che foiscono i capi da cucire. Ditte importanti come Armani o altre simili».
Il padre di Davide è arrivato a Barge con il fratello maggiore Rongqian nel 1998 per lavorare in una cava di pietra. Dopo tre anni è arrivata la mamma, poi la sorella maggiore e infine, nel 2003, Davide. «Sono contento della scelta che ho fatto – spiega il ragazzo -. Un anno fa ho smesso di studiare, ho fatto un po’ di esperienza presso laboratori tessili di Padova e Rovigo e sei mesi fa sono tornato per aprire il primo laboratorio tessile della zona con mio fratello».
Certo, ammette Davide, prima aveva molto più tempo libero, «mentre ora insieme ai miei colleghi (tutti rigorosamente cinesi, nda) lavoro almeno 12 ore al giorno. Io, mia sorella di 25 anni e mio cognato arriviamo anche a lavorae 15. Perché quando c’è tanta merce da cucire passiamo anche le notti in laboratorio. E non esiste sabato e domenica».
Ma la contropartita è il guadagno. Un buon mensile che permette alla famiglia Chen di sperare in un futuro migliore. «Mia mamma ora lavora con noi, tutti i giorni ci prepara il pranzo che consumiamo in laboratorio – spiega Davide -. Prima faceva le stagioni nella raccolta della frutta, si svegliava tutte le mattine alle 5 e lavorava fino alle 20. Ora è più tranquilla e si può svegliare più tardi. Mio padre invece lavora la pietra, si alza tutte le mattine alle sei».
Davide, quando è partito dalla Cina, aveva solo 12 anni. Sono stati i genitori a decidere per lui. «A Yuhu non stavamo male e avevamo buone scuole – ricorda il ragazzo -. Ma si guadagnava poco e la vita diventava ogni giorno più cara. E in definitiva non mi è dispiaciuto lasciare il mio paese. Da quando sono arrivato in Italia mi son sempre trovato bene, ben accolto da tutti».
In Italia, secondo Davide, oltre al tempo libero non manca nulla. E continua: «Oggi posso dire che vorrei rimanere per sempre in Italia. In Cina c’è troppa confusione, mentre in Italia si vive più tranquilli, si fanno le cose con più calma». Con buona pace dei suoi genitori, che vorrebbero un giorno riportare a Yuhu tutta la famiglia.
«I miei genitori vorrebbero che tornassi con loro. Ma io non voglio. Ormai qui in Italia ho i miei amici, vado al bowling o in altri luoghi di svago. In Cina, in questi cinque anni, non ci sono mai tornato. Non mi interessa più. Anche se questo, sono convinto, non fa molto piacere ai miei genitori».
Maurizio Dematteis