40 anni dall’uccisione di padre Giovanni Calleri
«Questa è la storia di un martirio. Di un uomo che voleva portare la pace, ma ha trovato la morte».
Padre Silvano Sabatini questa storia la conosce bene, sia per averla in parte vissuta, sia per aver condotto un’approfondita inchiesta alla ricerca di giustizia. Ma molti sono ancora i misteri che circondano questo massacro.
Continua Sabatini: «Non si può capire la realtà di Roraima di oggi se non si conosce questa storia».
Il primo novembre prossimo ricorre un triste anniversario: il massacro di padre Giovanni Calleri, missionario della Consolata e di 8 suoi compagni della missione di pacificazione in terra Waimiri-Atroari.
Nel 1968 il governo brasiliano stava costruendo la strada BR174, per collegare Manaus con Boa Vista e, più a Nord, con il Venezuela. Si stava tagliando una fetta di foresta amazzonica che attraversava da Sud a Nord lo stato di Roraima. Ma i lavori erano stati perturbati dai frequenti attacchi degli indios Waimiri-Atroari, che si opponevano alla strada, in quanto questa passava sul loro territorio.
Nel 1967 il rapporto Figueredo aveva reso pubblici massacri e vessazioni ai danni delle popolazioni indigene dell’Amazzonia ad opera di militari e poteri locali brasiliani interessati a invadere le loro terre ricche di legnami e minerali di ogni tipo. L’inchiesta fu bloccata ma in parte trapelò, causando uno scandalo internazionale.
Il governo dovette fare un’operazione di facciata, creando la Funai (Fondazione nazionale dell’indio) in sostituzione dell’Spi (Servizio di protezione dell’indio). La Funai era costituita da personaggi più o meno credibili. Di fatto, però tutto continuava come prima.
Missione di pace
Fu proprio la Funai che chiese a padre Giovanni Calleri di guidare una missione per pacificare gli indios Waimiri-Atroari, che in caso contrario, sarebbero stati massacrati, per far spazio alla BR174 (cosa che poi avvenne). Calleri, nato a Carrù nel 1934 era arrivato in Brasile a fine ’64 e aveva subito mostrato una grande capacità di relazione con gli indios diventandone buon conoscitore. Lavorando a Catrimani, aveva inventato un sistema iconografico per avere la collaborazione degli yanomami: il «Mamo», ancora utilizzato fìno al 1980, ed era riuscito a pacificare malocas (gruppi o comunità) avversari.
Il progetto di Calleri, appoggiato dall’Istituto nella persona di padre Domenico Fiorina, superiore generale, era chiaro. Convincere gli indios a spostarsi in una zona a 200 km dal sito scelto per la strada, e qui creare un «parco protetto» per preservare il loro gruppo e la cultura. Per far questo, la missione di padre Calleri avrebbe convinto altri indios come intermediari, andando nella zona del rio Alalaù. Questi, trasferitisi nella zona del parco, avrebbero attirato anche il gruppo del rio Abonarì (quelli più vicini al tracciato della strada), che avrebbero così abbandonato le ostilità.
Ma i missionari non sapevano qualcosa di molto importante, che avrebbe influito su questa storia. Nel febbraio del 1968, in quell’area si era recata una missione di prospezione mineraria, guidata dal colonnello William Thomson, con l’appoggio della missione protestante Meva, basata a Kanaxen, in Guyana. La Meva era rappresentata dal suo pastore statunitense Claude Leawitt. Questi, rimase poi quattro mesi nell’area.
Si seppe più tardi che quella zona celava importanti giacimenti di minerali, più o meno preziosi: niobio, tantalite, zirconio, terre rare, cassiterite e uranio. In quella zona alcuni anni dopo si impiantò la compagnia mineraria brasiliana Paranapanema per estrarre (ufficialmente) cassiterite. L’area è ancora oggi super protetta ed è impossibile penetrarvi.
Cambio di programma
Il progetto di Calleri era geniale, ma si scontrava con gli interessi di alcuni potenti locali e stranieri.
Giunto a Manaus il 25 settembre, cinque giorni dopo il padre viene costretto a un cambio di programma: la missione si recherà direttamente presso gli indios del rio Abonarì, per convincerli a cessare le ostilità. «Per accettare una modifica così drastica e rischiosa il padre fu minacciato» racconta Sabatini, che ebbe un lungo colloquio con il missionario subito dopo. Il colonnello Carijò, capo della Der-am (Dipartimento delle strade dell’Amazzonia) promette a Calleri l’appoggio di un elicottero e viveri e materiale. La Funai dell’Amazzonia è la mandante della spedizione.
Gli altri componenti della missione, sette uomini e due donne, gli furono imposti. Tra loro Alvaro Paulo da Silva, personaggio ambiguo, pagato dalla Der-am.
La spedizione parte da Manaus in aereo il 14 ottobre e raggiunge la base al km 220 del rio Abonarì. Da qui dovrà spostarsi nell’interno. Ci sono i primi conflitti tra il padre e Alvaro Paulo. Questi vuole che la missione si sposti via terra, il padre invece sceglie il fiume.
«In quel momento nella stessa area è nascosto un gruppo di bianchi, brasiliani, organizzati da Alvaro Paulo» riportano le testimonianze raccolte da Sabatini presso gli stessi indios «e vi arriva anche Claude Leawitt, accompagnato da quattro indios Wai-Wai». Anche loro sono lì per far fallire la missione.
Il progetto dei bianchi
«Il disegno era di fare massacrare la spedizione dagli indios. I bianchi avrebbero dovuto verificare che tutto ciò avvenisse».
Ma non andò così. Il genio di Calleri fece in modo da farsi accogliere dai Waimiri-Atroari della maloca del capo Maroaga come visitatore e non aggressore. Alvaro Paulo (allontanato dal gruppo da Calleri che aveva constatato il tradimento) e Claude Leawitt dovettero minacciare «pesantemente» gli indios per farsi accompagnare all’accampamento della spedizione, nel cuore della notte. «Ma furono loro, i bianchi, a compiere il massacro, con armi da fuoco. Poi obbligarono gli indios a trafiggere i corpi di frecce» ricorda padre Sabatini. Era il primo novembre del 1968. Di quel gruppo furono recuperate solo le ossa, 30 giorni più tardi, dai paracadutisti del Parasar, corpo speciale brasiliano.
Tutti i giornali parlarono del massacro di una missione di pace, perpetrato dai bellicosi indios Waimiri-Atroari, che non volevano la BR174 sulla loro terra. Questa è la versione ufficiale, ancora oggi dopo 40 anni. Qualcuno voleva liberarsi di questo popolo, e per far questo occorreva dimostrare che erano feroci indios impossibili da pacificare. Da qui il disegno di una spedizione votata al massacro.
«Calleri non voleva convertire gli indios nell’immediato. Voleva salvarli. Fu martire della carità, della difesa dell’uomo e dei suoi diritti, della sua identità e cultura» continua padre Sabatini. I Waimiri-Atroari da 3.000 che erano nel 1968 furono sterminati e ridotti a circa 300. Oggi sono un migliaio.
Di Marco Bello
Marco Bello