Cari missionari
Quando si dice… malaria
Cari missionari,
leggo sempre con passione la vostra rivista, da quando mi sono abbonata alcuni anni fa, dopo un viaggio in Kenya con padre De Col.
Ho letto sul numero di giugno «I diversi volti della malaria», scritto dalla dott. Chiara Montaldo. La sua esperienza mi ha vivamente toccata. Con mio marito è dal ‘93 che «circoliamo» per l’Africa, i primi anni con tour operator, ma poi adottai il «fai da te». Non avevo il desiderio di essere solo un turista mordi e vai; così, dopo il Tanzania e il Kenya, scelsi definitivamente il sud della Costa d’Avorio, un po’ perché dimenticata da molti, un po’ per il fatto che c’è acqua.
Alloggiando in una casa africana, vivendo con la gente locale, va da sé che incominciai a dare qualche cosa di quello che sapevo fare: corsi di lavori femminili, scuola d’italiano per scolari e adulti, primo pronto soccorso. Col passare degli anni cercai di aiutare a migliorare il tenore di vita dei bambini bancal, di chi aveva delle malformazioni operabili. Ammalati inviati al centro di don Orione di Bonoua e da noi spesati anche con l’aiuto di amici e benefattori Italiani.
Fino all’anno scorso, la malaria mi sembrava una malattia tanto fantomatica dei libri di Salgari, del ciclista Coppi, forse anche perché il soggiorno di due mesi si articola nei mesi per così dire più secchi: febbraio-aprile. Mi capitava di incontrare e sentire adulti o bambini: «Mamma, non sto bene». «Cos’hai?». «La febbre». «Hai bisogno?». I più fortunati: «All’ospedale mi hanno fatto una puntura». E via che si facevano lavaggi con decotti di erbe; erbe che schiacciavano, bevevano, mettevano nelle narici e nelle perette anali. Sentivo poi: «Sai, il tale è morto». «Cosa aveva?». «La febbre». Per me finiva lì.
Finiva lì perché non capivo, non conoscevo bene, finché un giorno, di ritorno dalla capitale con addosso la sensazione di aleggiare a mezz’aria e mani caldissime, scoprii di avere la febbre a 39. Cosa vuoi che sia? Sarà il caldo, la stanchezza. Presi un paracetamolo e dopo mezz’ora la temperatura toò normale. Ma il giorno dopo, quando svenni per la pressione a 50/70, mi portarono al centro don Orione dove con la «goccia spessa» diagnosticarono la malaria.
Compresse per la malaria, di ferro per l’anemia, per la febbre, vitamine. Fu una settimana di brividi, sudore, fortissimi mal di testa, vomito e dissenteria, ma passò. Avevo i soldi e ho pagato i farmaci. Ho pagato, ma ho iniziato a vedere con occhi diversi, osservavo la parte bianca degli occhi, dai bambini agli adulti, e tutti l’avevano gialla o anche più scura da confondersi quasi con l’iride. Vedevo dopo «la febbre», la debolezza portata dall’anemia; dove potevo foivo pastiglie di ferro e vitamine. Molte persone avevano la pressione tanto bassa. Purtroppo quello è un paese dove viene consumata pochissima carne rossa, niente latte o formaggio; la poca verdura (cipolle, aglio, melanzane, peperoncino) viene resa purea per le salse con cui viene servito il foutou.
Quest’anno, mio marito e io siamo ritornati. È toccato a lui pagare il ticket della malaria e con le piastrine basse, in una clinica privata si sottopose a flebo per 5 giorni. Aveva i soldi e ha pagato.
Due giorni dopo il ritorno in Italia eccomi sul lavoro con un gran freddo, pensavo allo sbalzo di clima, ma la febbre a 40 (io che non ho mai la febbre) non lasciò dubbi, me l’ero portata in Italia: ma avevo portato anche i farmaci acquistati per precauzione in Africa. Dopo cinque giorni era tutto passato.
La constatazione che il Lariam non serve più è stato un colpo, più della malaria stessa. Se la conosci la curi e speri sempre in bene. Ciò che mi tortura è che noi bianchi possiamo permetterci i farmaci, tra gli africani solo i più ricchi. Si ammalano di malaria più volte nell’arco dell’anno, essendo un paese ad alto tasso di umidità, con lagune sparse un po’ ovunque. Dunque, malnutriti, debilitati, senza soldi…
Ho scrupolo di quanto nel mondo si spreca in sanità, di quanto cibo si butta in pattumiera, di quando si dice «non so cosa mangiare» davanti a scaffali pieni del supermarket, mentre c’è chi dice «non so cosa mangiare» perché non ha soldi per acquistare del cibo. Prevenzione: zanzariere, spray, zampironi, sono tutti troppo costosi.
In un paese dove si vive fuori e dove a causa dell’umidità si suda molto, aggiungendo che anche il Lariam non dà più sicurezza, mi chiedo cosa posso fare non solo per noi, ma soprattutto per i miei amici avoriani. Quando ritorno in Italia, vi ritorno con il cuore grosso, pesante, angosciato e quasi vergognosa di vivere in un posto così «facile».
Grazie per avermi letta. Con sentita simpatia.
Elena Tagini Malgaroli
Veruno (NO)
Abbiamo letto volentieri la sua testimonianza e altrettanto volentieri la pubblichiamo. La sua esperienza ci aiuta tutti ad aprire la mente e il cuore su una delle malattie dimenticate, ma che, purtroppo, fa più vittime dell’Aids tra le popolazioni africane. Tale testimonianza è, poi, un invito a pensare un po’ meno a noi stessi e a sentire concretamente più solidarietà verso i milioni di persone a cui è negata la speranza.
Abbassare i toni…
Spett. Redazione,
la lettera su «Le “porcate” e… la “porcata”» e l’articolo di riferimento (M.C. giugno 2008, p. 7) danno l’indicazione esatta di quanto la politica divida! E divide in modo tale da essere incompatibile con il proclamarci cristiani!
Certamente delle forze oscure hanno introdotto anche in Italia il bipolarismo: in questo contesto non c’è spazio per i cattolici, fagocitati a sinistra ed emarginati a destra, non riescono a far valere le proprie ragioni, e nel frattempo queste forze spingono perché le leggi che stanno loro a cuore, passino e lentamente distruggano il connettivo cristiano del nostro popolo. E noi facciamo a lite perché pensiamo che, con il nostro intervento all’interno del sistema, possiamo limitare i danni. Aborto e divorzio insegnano! Eppure gli alunni non apprendono!
Ci sono svariati motivi che dovrebbero spingerci a moderare i toni: il sereno confronto permette di approfondire le problematiche e di raggiungere conclusioni condivisibili; i toni accusatori non fanno altro che far erigere delle barricate insuperabili e lasciano il tempo che trovano; qualcuno utilizza il «divide et impera» e noi, ingenuamente ci siamo caduti; comunque in questo mondo nulla è eterno, nulla è per sempre, nonostante certe dichiarazioni roboanti di numerosi uomini politici, e quindi possiamo guardare al futuro con molta speranza e nonostante…
Mario Rondina
Fano (PU)
È vero, la politica divide, soprattutto perché non è più «politica», cioè servizio alla polis, al bene comune dei cittadini, ma servizio dell’imperatore di tuo. Troppi nostri rappresentanti, che si dichiarano cattolici, non sono coerenti con la loro fede cristiana, con l’insegnamento sociale della chiesa e con la propria coscienza.
Mal di denti…
Cari missionari
è certo consolante vedere che ci sono non pochi dentisti italiani che vanno in Kenya (M.C. n.2-08 p.72, M.C. n.5-08 p.7) e in altri paesi del sud del mondo a lottare contro le infezioni orali (causa di molte altre infezioni e patologie) di tante persone che vivono nella miseria nera: un bellissimo modo di interpretare l’imperativo evangelico della cura all’ammalato…
Nello stesso tempo però mi domando: è troppo chiedere che in questa direzione, qualcosina venga fatto… anche nella nostra Italia dove, nella stragrande maggioranza dei casi, riuscire a farsi curare dei denti equivale a consegnare a uno studio privato interi stipendi o intere pensioni? È troppo chiedere per quale motivo la cura e l’otturazione di un dente cariato costa in media 8 euro in Ungheria, 18 in Polonia, 46 in Francia e 135 in Italia? È troppo chiedere che il numero degli odontorniatri in forza al Servizio sanitario nazionale venga elevato e si avvicini almeno a quello dei… cappellani che, attualmente, sono quasi il triplo? Cordialmente.
Valentino Baldassaretti
Urbino (PU)