Le morti sul lavoro in Italia: numeri da guerra civile
Le chiamano «morti bianche», ma di quel colore hanno poco o nulla. È una vera e propria strage
(1.300 morti all’anno, 900.000 infortunati), che avviene quotidianamente nell’indifferenza dei più. E poi, sempre correlate agli ambienti di lavoro, ci sono le morti silenziose, quelle che non finiscono sui media. Ma che uccidono altrettanto o di più.
Sembra un bollettino di guerra: tutti i giorni qualcuno muore sul lavoro. I giornali parlano soprattutto dei decessi dovuti ad eventi traumatici. Scoppi, incendi, frane, allagamenti, crolli, scontri, investimenti e, in genere, tutti gli eventi che causano decessi improvvisi, fanno notizia e vengono riportati dai grandi mezzi di informazione.
Purtroppo le morti bianche, che finiscono sulle prime pagine dei giornali, sono soltanto la parte più conosciuta degli eventi luttuosi correlati con gli ambienti di lavoro, ma c’è una parte, meno conosciuta e anche meno considerata, che viene spesso definita la strage silenziosa.
Negli ambienti di lavoro vengono utilizzate molte sostanze che sono dei veri e propri veleni. Gli acidi, ad esempio, sono irritanti e causano effetti immediati sulla cute e sulle mucose; il lavoratore sente subito l’effetto di queste sostanze e cerca di evitare il contatto con esse, limitando in parte i loro effetti nocivi. Altre sostanze, come l’amianto e il piombo, hanno un’apparenza che non fa sospettare un pericolo, ma possono avvelenare ed uccidere a distanza di tempo. Un cenno a parte lo meritano le radiazioni ionizzanti: non si vedono, non si sentono, ma possono causare, a seconda dei tempi e delle dosi, ustioni gravissime e tumori.
I lavoratori, quasi sempre, non vengono informati dei rischi che corrono, anzi spesso vengono indotti a credere che non ci siano rischi. Pertanto, possono cercare di difendersi soltanto dalle sostanze irritanti, ma non da quelle i cui rischi vengono taciuti e nascosti.
La sicurezza costa, ma con la globalizzazione…
Col passare del tempo, con la diffusione delle informazioni e con l’applicazione delle leggi di tutela dei lavoratori, gli ambienti di lavoro sono migliorati e la possibilità di ammalarsi a causa delle sostanze utilizzate è progressivamente diminuita.
Purtroppo, di pari passo, a causa degli investimenti per la sicurezza e le spese per i risarcimenti per i malati professionali, il costo del lavoro è aumentato con la conseguenza che gli industriali hanno cominciato a chiudere gli stabilimenti nelle aree progredite per aprirli nei paesi del cosiddetto terzo mondo, dove si lavora per una miseria e non c’è nessuna tutela dei lavoratori né dell’ambiente.
Si chiama globalizzazione, dà un risparmio immediato nella produzione, ma aumenta la disoccupazione nei paesi industrializzati.
La disoccupazione, in questi paesi, è causa di una grave crisi economica e sociale, che porta alla difficoltà per molte persone di realizzare i propri progetti familiari, di avere dei figli oppure di dare loro un’istruzione adeguata.
Si assiste quindi ad un progressivo impoverimento culturale e generale della nazione e spesso ad un aumento della criminalità, nonché alla diffusione delle tossicodipendenze, che per molti rappresenta la fuga da una realtà difficile da accettare. L’impoverimento culturale rende inoltre la nazione meno competitiva rispetto ad altri paesi e quindi progressivamente più soggetta alla necessità di importare prodotti esteri.
È evidente e comprensibile che il lavoratore occupato, che guadagna bene, produce e compra, determinando un miglioramento dell’economia generale della sua nazione.
Le fonderie, prodotti e scorie tossiche
Il discorso delle malattie professionali è molto vasto, richiederebbe un trattato e non si può riassumere in queste poche pagine, pertanto in questo numero parleremo soltanto dell’industria siderurgica della produzione dell’acciaio rinviando ad altri numeri futuri le altre lavorazioni.
Le fonderie si dividono in due grandi gruppi: quelle di prima fusione e quelle di seconda fusione.
La prima fusione è quella degli altifoi dove si fanno reagire il carbone e il minerale ferroso, ricavando il ferro, che viene, per l’appunto, fuso per la prima volta.
Le fonderie di seconda fusione partono dai rottami ferrosi e sono le più diffuse.
A causa del grande calore necessario per la fusione, tutte le attrezzature che vengono utilizzate contengono materiali refrattari e resistenti al calore, che sono la silice libera (che causa le silicosi) e l’amianto o asbesto (che causa l’asbestosi).
La silicosi e l’asbestosi sono due malattie simili, provocate rispettivamente dall’accumulo di silice o di amianto nei polmoni, con la conseguente progressiva riduzione della capacità respiratoria.
La silicosi e l’asbestosi sono le malattie professionali che si riscontrano più frequentemente tra gli operai, che hanno lavorato nelle fonderie.
La fusione dell’acciaio richiede anche l’utilizzo di altri metalli (cromo e nichel soprattutto), che servono per ottenere materiali di qualità superiore (acciai inossidabili).
L’acciaio, dopo essere stato ridotto in fogli sottili, definiti lamiere, subisce ancora trattamenti chimici di superficie per aumentare la sua resistenza alla corrosione.
Le lamiere, infine vengono arrotolate e spedite in altre fabbriche dove verranno tagliate, stampate e veiciate per fare manufatti di tutti i tipi, dalle automobili, agli elettrodomestici.
Queste lavorazioni determinano un grande inquinamento sia degli ambienti di lavoro, che di quelli estei.
Evidente è la formazione di polveri di silice e di amianto, ma non bisogna trascurare la produzione di diossine, di policlorobifenili, di polveri sottili e di metalli pesanti che vengono dispersi sia nell’aria, che nelle acque di scolo.
Per quanto riguarda la produzione di diossine, va detto che le acciaierie sono le più grandi produttrici di queste pericolosissime sostanze, che, purtroppo, tendono ad accumularsi nel terreno e nei tessuti delle persone che vivono nei paraggi o che si nutrono con i prodotti coltivati nei pressi di queste industrie.
Noto è il riscontro di diossine nel latte dei bovini allevati in aree dove sono presenti acciaierie.
Un altro rischio di notevole importanza riguarda la presenza di cromo e di nichel, due metalli, che sono stati riconosciuti come cancerogeni certi dalla comunità scientifica internazionale.
Abbiamo spiegato prima che questi metalli sono stati utilizzati per la formazione di leghe speciali e per i trattamenti di superficie dell’acciaio ed è pertanto normale trovarli negli scarichi industriali e nelle aree occupate dalle acciaierie.
Lo scandalo «Dora cromata»
Una vasta area di Torino è stata per quasi un secolo occupata dalle cosiddette Ferriere, che producevano acciai speciali.
La fonderia e la fabbrica, in cui si svolgevano le operazioni di cromatura, si trovavano nell’area della Spina 3, che attualmente viene definita Vitali, dal nome della preesistente acciaieria, ora demolita, dove sono in corso lavori per la realizzazione di un quartiere residenziale.
Le analisi effettuate prima dell’inizio dell’apertura dei cantieri hanno riscontrato la presenza di una quantità impressionante di cromo esavalente nella falda sottostante l’area, a pochi metri dalla superficie.
Tutti i dettagli dei sondaggi si possono leggere nei 3 box a parte, dove vengono illustrati dati, che provengono dai documenti ufficiali del comune e della ditta che esegue i lavori.
Anche senza leggere i risultati degli studi effettuati, è evidente che l’area è inquinata da qualcosa di provenienza industriale. Qualche mese fa, un cittadino, che passava su un ponte della Dora a Torino, ha notato che da alcuni scarichi fognari usciva un liquido verde brillante e ha fatto delle fotografie, che sono state pubblicate da un giornale locale.
L’ipotesi più verosimile è che si trattasse di cromo esavalente sottoposto a trattamento chimico per trasformarlo in cromo trivalente, meno pericoloso, che assume un colore verdastro.
Ancora in questi giorni è possibile notare un liquido, dal caratteristico colore giallo del cromo esavalente, uscire da un cunicolo e versarsi direttamente nella Dora, nel punto dove si trovavano gli scarichi dell’acciaieria.
È da tempo che i cittadini, che abitano la zona inquinata, segnalano la loro preoccupazione. Anni fa, uscì un articolo su un giornale di Torino in cui si riportava la denuncia del comitato di quel quartiere: la popolazione locale lanciava l’allarme, diffidando politici, amministratori torinesi e imprese a costruire aree residenziali su terreni altamente contaminati dalla preesistente acciaieria. Si parlava proprio della contaminazione della Dora con liquidi pericolosi defluiti dalla fabbrica, della mancata bonifica dei terreni, dei tumori che avevano colpito gli operai in pensione e altro ancora.
Dopo l’uscita dell’articolo gli amministratori locali assicurarono che era tutto sotto controllo e che non c’era problema di sorta, che erano state predisposte vasche di filtrazione, che l’area era stata bonificata. Venne, forse, aperta un’inchiesta, ma i lavori andarono avanti perché le Olimpiadi erano imminenti e bisognava realizzare il villaggio per i giornalisti. Uno sguardo ai progetti, alle mappe e ai documenti ufficiali ha consentito di chiarire tutto.
L’area, impregnata di cromo esavalente, non è stata bonificata e attualmente il metallo cancerogeno sta inquinando la falda idrica e la Dora.
Thyssen, Thyssen
Abbiamo cercato altre informazioni con i mezzi a nostra disposizione e abbiamo scoperto che, poche centinaia di metri a monte anche l’acciaieria Thyssen Krupp ha versato nella Dora e nelle fognature, tonnellate di cromo e di nichel, due metalli cancerogeni di prima classe.
I dati precisi degli scarichi pericolosi sono reperibili in rete sui siti dell’Ines (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) e dell’Eper (European Pollutant Emission Register), che sono registri integrati nati nell’ambito della direttiva 96/61/CE, meglio nota come direttiva Ippc (Integrated Pollution Prevention and Control). Questi registri consultabili da tutti sono il risultato di un approccio integrato alla gestione ambientale, che coinvolge i governi, le industrie e il pubblico e dà la possibilità a chiunque di esercitare il proprio diritto di accesso alle informazioni ambientali.
Recentemente l’Arpa ha confermato l’esattezza dei dati, ma ha spiegato che non è tanto importante la quantità di materiale versato, ma piuttosto la concentrazione di questi materiali scaricati nella Dora, con l’autorizzazione della Provincia di Torino.
Un tecnico dell’Arpa ha spiegato che 500 chilogrammi di cromo sciolti nella quantità totale di acqua versata nella Dora in un anno (più di sei milioni di metri cubi) restano diluiti al punto da rientrare nei limiti di concentrazione previsti dalla legge per gli scarichi industriali.
Va chiarito che il rispetto dei limiti di legge (non solo in questo caso) non mette al riparo la popolazione dai rischi per la sua salute, perché mezza tonnellata di materiali altamente e certamente cancerogeni, anche se diluita parecchio, resta sempre mezza tonnellata e sarebbe giusto chiedersi dove è andata a finire, visto che in alcuni punti del Piemonte la concentrazione di cromo esavalente nella falda supera i limiti consentiti.
La legge, a tutela di chi?
La legge prevede dei limiti per la concentrazione di cromo nelle acque, ma ci sono due normative. Il limite sanitario di concentrazione ammissibile nell’acqua potabile è di 50 µg/litro come cromo totale, mentre la norma di tutela ambientale pone invece il limite di 5 µg/litro di cromo esavalente. Il superamento del limite previsto per le acque di falda impone la ricerca delle cause e l’eventuale bonifica. In questi casi il sindaco, come massima autorità sanitaria, può disporre la chiusura dei pozzi.
La legge, in questo caso, non tutela la salute dei cittadini, perché gli esperti confermano che il cromo presente nell’acqua potabile è quasi tutto esavalente, per via della sua solubilità, pertanto è possibile bere acqua «a norma di legge» con quantità notevoli e pericolose di cromo esavalente.
Torino / Lo scandalo «Dora cromata» (1)
ACQUA AL «CROMO ESAVALENTE»
Bonificare costa, fa ritardare i programmi delle imprese costruttrici e, in buona sostanza, ritarda l’arrivo dei profitti. Tutte «buone» ragioni per minimizzare il problema o far lavorare l’oblio. Tanto i danni sulla salute si vedranno tardi e comunque vallo a dimostrare…
Nel corso delle indagini ambientali, condotte nel 2002 presso la sede dell’ex acciaieria Vitali a Torino (1), è stata riscontrata una situazione di contaminazione dovuta alla presenza di cromo esavalente in concentrazioni eccedenti il limite di 5 µg/litro fissato dal DM 471/99 per le acque sotterranee. Con un massimo pari a 455 µg/litro in corrispondenza del pozzo di monitoraggio P4.
La sorgente principale del cromo esavalente è stata individuata nelle vasche di neutralizzazione e di filtrazione, nonché nell’area di terreno dove era presente la lavorazione di cromatura. In virtù dell’elevato valore di cromo esavalente riscontrato, è stata decisa l’installazione di un sistema di pompaggio e di trattamento con solfato ferroso dell’acqua di falda, definito Pump & Treat, che, come prevedibile, ha dato risultati modesti.
Gli ultimi monitoraggi indicano che i valori di concentrazione del cromo esavalente, dal 2003 al 2005, sono rimasti superiori ai valori stabiliti dal DM 471/99 e dal DLgs 152/06 e pressoché costanti sia nell’area dello stabilimento, che immediatamente a valle di esso. Un documento del 7 settembre 2006 conferma che la principale contaminazione nella falda è costituita dal cromo esavalente in concentrazioni, rilevate in occasione delle più recenti campagne di monitoraggio della falda, fra 10 e 50 µg/litro, con un picco di 282 µg/litro, presso il già citato pozzo P4.
Il sito dell’acciaieria, fin dall’inizio del ‘900 sede di attività di tipo industriale siderurgico, ha una superficie di 250.000 metri quadri, che dovrebbe essere destinata ad uso pubblico e residenziale.
Tale area è risultata contaminata da scorie di acciaieria con superamento dei limiti consentiti da parte dei principali metalli pesanti (nichel, cromo e cromo esavalente). L’inquinamento è stato riscontrato anche all’esterno del sito, dove sono stati trovati degli strati di riporto contenenti scorie di acciaieria. Il volume delle scorie è stato stimato in circa mezzo milione di metri cubi. Sono stati riscontrati anche altri contaminanti in quantità superiore ai limiti. Visto l’elevato volume di scorie di acciaieria presente e considerato che il costo di conferimento in discarica è stato stimato pari a circa 80 milioni di euro (nel 2003), l’intervento di rimozione di tutta la massa dei rifiuti è stato valutato non compatibile con il valore dell’area.
È stato deciso di rimandare ad un approfondimento con la Smat la decisione di autorizzare lo scarico delle acque provenienti dal trattamento nella rete fognaria o nelle acque superficiali. Le determinazioni più recenti consistono nella preclusione alla realizzazione di pozzi ad uso idropotabile, nell’area costituita dalla prevedibile estensione della situazione di contaminazione da cromo esavalente dopo un tempo di 50 anni.
La Provincia di Torino ha richiesto alcune integrazioni, perché ritiene che dopo lo spegnimento dell’impianto Pump & Treat, con un possibile nuovo aumento dei valori di cromo esavalente, bisognerebbe installare un pozzo di monitoraggio nel punto limite presunto di contaminazione. La Provincia ha anche richiesto un monitoraggio di carattere permanente e la registrazione sugli strumenti urbanistici dei vincoli derivanti dal permanere di acque sotterranee contaminate, al fine di garantire nel tempo la tutela della salute pubblica ed una adeguata protezione dell’ambiente.
Il cittadino potrebbe porsi alcune domande: non era il caso di informare la popolazione, che sembra all’oscuro di tutto?; non conveniva bonificare l’area subito, invece di programmare interventi di monitoraggio per 50 anni? l’acqua e la salute delle persone non sono beni preziosi? non valgono di più del costo stimato per la bonifica? perché in nessun punto dei documenti acquisiti viene precisato che il cromo esavalente è un cancerogeno di prima classe al pari del benzene, dell’amianto, delle ammine aromatiche e delle radiazioni ionizzanti?
(1) E precisamente nel quadrilatero compreso tra via Borgaro, via Verolengo, via Orvieto e corso Mortara.
Torino / Lo scandalo «Dora cromata» (2)
Il cromo e i suoi composti
È un elemento chimico, appartenente al IV periodo ed alla prima serie di transizione del sistema periodico degli elementi. Non è molto diffuso in natura (circa 100 ppm sulla crosta terrestre), dove non è mai libero, ma combinato in diversi minerali, tra cui la più importante è la cromite. Il cromo si presenta come un metallo bianco argenteo, le cui proprietà meccaniche dipendono dal grado di purezza. A temperatura ambiente, il cromo resiste abbastanza bene a molti agenti chimici, tra cui l’ossigeno, ma viene attaccato facilmente dagli acidi non ossidanti diluiti, come l’acido cloridrico, solforico e fluoridrico.
I principali composti del cromo corrispondono a stati di ossidazione di questo elemento, che vanno da -2 a +6, con una netta prevalenza per gli stati +2 (bivalente), +3 (trivalente) e +6 (esavalente). Per valenza si intende la capacità dell’elemento di formare legami covalenti (molto stabili e ad elevatissimo contenuto energetico) con altri elementi. Nel caso del cromo +2 abbiamo ad esempio l’ossido cromoso CrO, dove entrambi gli elementi cromo ed ossigeno sono bivalenti; il cromo +3 dà con l’ossigeno l’ossido cromico Cr2O3, mentre il cromo +6 dà il triossido di cromo CrO3. Diversi composti del cromo, tra cui l’ossido cromico (verde cromo) ed il cromato di piombo (giallo cromo) PbCrO4 hanno un largo impiego come pigmenti per veici e nella lavorazione del vetro e della ceramica, mentre altri sali, tra cui l’allume di cromo, il solfato basico di cromo, il cromato ed il dicromato di sodio, vengono impiegati per la concia delle pelli, nell’industria tessile e delle tinte, nonché per la preparazione di diversi prodotti chimici.
La maggior parte dei composti del cromo, in particolare di quello esavalente, presentano un elevato grado di tossicità per tutti gli organismi viventi, poiché si comportano come energici ossidanti delle sostanze organiche, caratterizzanti la materia vivente.
Roberto Topino e Rosanna Novara