Reportage / Breve viaggio nei quartieri di Istanbul (2a): Ayazma e Tarlabashi
Dopo Sulukule (cfr. MC, maggio), dove gli abitanti sono (o erano rom), adesso sgombrare tocca a Ayazma e Tarlabashi, quartieri di Istanbul in cui vivono molti profughi. Anche in questo caso le autorità turche parlano di una riqualificazione urbanistica che porterà benefici per tutti. Ma anche in questo caso sono gli affari che muovono tutto. Con in più una motivazione politica: gli abitanti sono in maggioranza curdi…
Istanbul. «Era notte fonda quando è arrivata la polizia. Svegliati di soprassalto, siamo stati costretti a uscire dalle case. Io non volevo uscire così. Era dicembre ed era freddo: mi sono rifiutata. Sono stata picchiata e a mio padre hanno rotto un braccio». Handan è curda e dimostra più dei suoi 15 anni. È cresciuta in fretta ed ha l’aspetto di una donna. Le ciabatte che indossa sbucano dal lungo vestito colorato. Mentre cammina tra le macerie, la sua voce è rotta dall’emozione. Racconta, sistemandosi il velo e indicando le pietre e i calcinacci che ci circondano. «Siamo usciti tutti e, dopo qualche ora, le nostre case non c’erano più».
Siamo ad Ayazma, gecekondu curda nella periferia di Istanbul, vicino allo stadio Atatürk dove si giocò la finale di Champions League nel 2005. Gecekondu significa «sorto in una notte», ed è un’espressione che indica le baraccopoli (1). Continuiamo a camminare facendo gimcana tra i cumuli di macerie. Quando incontriamo una baracca o una tornilette improvvisata (una «turca» in mezzo al nulla e senza acqua corrente, per cui ogni volta che la si usa c’è un andirivieni con i secchi), Handan mi spiega che «prima non era così, non eravamo costretti a uscire per andare in bagno, ma soprattutto non dovevamo arrivare fin qui per prendere l’acqua». Mi indica un contatore fissato su un tubo che viene fuori dal terreno e mi fa capire a gesti che per quell’acqua pagano una bolletta troppo cara.
«Portami in Italia»
Entriamo in una delle baracche, dove troviamo il padre di Handan e un amico. Ci sediamo su un tappeto che copre tutto il terreno, in un ambiente ordinato e pulito nonostante gli spazi ridotti. I due uomini mi mostrano un documento ufficiale firmato dal sindaco della municipalità di Küçükçekmece, Aziz Yeniay, in cui si dichiara che le demolizioni saranno l’occasione per gli abitanti di Ayazma per cambiare vita. La municipalità di Istanbul, quella di Küçükçekmece e Toki, l’«Amministrazione centrale alloggi», provvederanno a fornire soluzioni abitative tagliate sulle esigenze di ogni nucleo familiare, sia esso proprietario di immobile o affittuario. Nuove modee case con tutte le comodità sono la soluzione proposta agli abitanti di Ayazma, che, sempre secondo il documento, non si saranno dispersi ma rimarranno uniti in una nuova comunità. Segue una sfilza di documenti da presentare al comune per avere diritto ad una nuova abitazione. Molti residenti non hanno quelle carte, perché la maggior parte degli immobili è ancora abusiva. E 18 famiglie hanno deciso di rimanere ad Ayazma per denunciare l’operazione delle autorità, che fingono di non sapere che la maggior parte degli abitanti della gecekondu è costituita da profughi, scappati senza nulla dal sud-est della Turchia. Mentre lascio il campo Handan mi prende da parte, sorride, e mi rivolge una preghiera: «Portami in Italia…».
Anche Ahmad è curdo, ha una piccola attività dove vende pezzi di ricambio per lavandini e oggetti di ferramenta, vive nello storico quartiere di Tarlabashi, a 2 fermate di tram da Taksim, il cuore commerciale di Istanbul. «Sono arrivato nel 1994. Abitavo in un villaggio del sud est della Turchia vicino Diyarbakir, ma la tensione e la presenza costante dei militari erano stressanti, molti dei nostri villaggi sono stati distrutti. Inoltre in quella zona non c’è lavoro, quindi mi sono trasferito qui, a Tarlabashi». La vita della comunità curda di questo quartiere ruota intorno a una via centrale con piccole attività commerciali, bar, una piazza e una moschea. In questo modo si è ricreato il tessuto sociale dei villaggi d’origine interessati dalle forti migrazioni intee degli anni ’90 (2) .
Nel piccolo retro del negozio dove Ahmad ci offre il tè si raccoglie un gruppetto di giovani: è raro che stranieri e turchi si fermino a parlare con i curdi nel cuore di Tarlabashi. La zona è considerata pericolosa, il tasso di criminalità, secondo la municipalità di Istanbul, è uno dei più alti in città.
Terroristi o criminali
«Ayazma è bollata come roccaforte del Pkk (3), mentre a Tarlabashi semplicemente sono tutti criminali. Ecco come le istituzioni turche cercano di creare il consenso tra la popolazione per realizzare i loro progetti di riqualificazione urbana», sostiene Cihan Baysal, attivista turca che sta scrivendo la sua tesi di laurea sui diritti dei residenti di Ayazma per la Istanbul Bilgi University. «Ayazma nasce negli anni ’80, ma cresce nella metà degli anni ‘90 in seguito alle migrazioni intee. Le circa 2.000 case del quartiere divennero molto affollate allora. La gente costruì le case sul terreno statale, fuori dalla legalità, ma nel tempo, con i condoni edilizi, molti sono riusciti a ottenere la proprietà degli immobili».
I quartieri, sebbene molto diversi perché uno ha l’aspetto di un campo profughi mentre l’altro ha un ricco patrimonio architettonico, sorgono entrambi su un terreno che si è apprezzato. Il piano di riqualificazione delle aree urbane storiche e fatiscenti (4) coinvolge entrambi, e uno degli attori principali è il Toki: «Il Toki è un ente pubblico – spiega Cihan – che dovrebbe costruire case popolari per gli strati meno abbienti della popolazione, ma negli ultimi anni, soprattutto dopo l’ascesa al potere dell’Akp (il “Partito per la giustizia e lo sviluppo” di Tayyip Erdogan oggi al potere, ndr) , si è trasformato in un’impresa al servizio degli strati più ricchi della popolazione: costruisce case eleganti e molto costose».
È proprio il Toki l’organismo incaricato di reclutare le società di costruzione che dovranno ricostruire Tarlabashi e Ayazma: da una ricerca dell’associazione turca Human Settlement Association le imprese che vincono i bandi risultano essere direttamente collegate all’Akp di Tayyip Erdogan e portano avanti forti speculazioni edilizie.
«Sulla carta i residenti di Ayazma e Tarlabashi hanno gli stessi diritti della popolazione turca, quelli sanciti dalla Costituzione – continua Cihan -, in quanto sono cittadini della Repubblica turca, ma la realtà è molto diversa. Non hanno neanche i diritti sociali ed economici di un cittadino medio, per esempio dovrebbero avere la cosiddetta “carta verde” per avere diritto all’assistenza sanitaria gratuita, ma molti di loro non riescono ad ottenerla. Spesso fanno lavori umili e pesanti senza contributi e senza tutele, con stipendi da fame». La discriminazione si esprime al meglio quando si giocano le partite della nazionale turca nello Atatürk Stadium, sulla collina di fronte ad Ayazma: gli abitanti vengono intimati dalla polizia a non uscire dalle baracche per evitare che il pubblico internazionale veda cosa c’è fuori dallo stadio. Tra non molto questa misura d’ordine pubblico non avrà più nessuna importanza: Ayazma sarà sinonimo di villette a due o tre piani con giardino, dove le classi abbienti potranno muoversi liberamente.
Intanto, a Tarlabashi …
Il quartiere di Tarlabashi è leggermente più agiato di Ayazma e non si trova in periferia, ma nel cuore commerciale di Istanbul.
A Tarlabashi la Bilgi University di Istanbul è presente con un ufficio. Nel quartiere, i problemi relativi a educazione, povertà e discriminazione vengono affrontati con l’aiuto di operatori e assistenti sociali. Ceren lavora con i bambini: «I problemi principali sono la mancanza di scolarizzazione e di strutture per bambini e anziani, e ovviamente la povertà».
Il professor Alper Unlu della Istanbul Technical University ha tenuto conto di queste problematiche e ha capito che qualsiasi piano di riqualificazione urbana deve passare attraverso una loro soluzione. Il progetto di recupero dell’area che ha presentato alla municipalità prevede la costruzione di scuole, centri culturali e sportivi per i residenti, insieme al restauro degli edifici, ma la municipalità di Beyoğlu ha preferito il piano presentato da un commerciante che possiede un hotel nella zona e che è riuscito a mettersi d’accordo con gli enti locali. «Istanbul dovrebbe essere capitale europea della cultura nel 2010, ma, quando si valuteranno i risultati di questi progetti, il comune e gli enti locali dovranno affrontare problemi seri».
Dello stesso parere è Jean-François Perouse, sociologo urbano direttore dell’Osservatorio urbano di Istanbul, facente parte dell’Istituto francese di studi sull’Anatolia: «Gli enti locali hanno come obiettivo primario far lavorare le società di costruzione legate all’Akp, lo sviluppo del turismo e la diversificazione sociale. Presentano questo progetto come un restauro dell’intera città per il 2010, ma aree come Tarlabashi e Ayazma devono essere svuotate per essere riempite di residenti appartenenti alla classe borghese, che ha un reddito più elevato e può migliorare l’immagine della città, secondo le autorità locali. Ayazma verrà ricostruita con casette a pochi piani per nuovi ricchi. È una politica molto miope».
Le autorità centrali e locali promuovono il progetto di riqualificazione urbana facendolo passare per un’iniziativa sociale senza precedenti, un punto di svolta nella vita di migliaia di famiglie. I nuovi quartieri di Bezirganbahce e Basibuyuk, dove la maggior parte dei residenti verrà trasferita, si presentano come sobborghi con palazzoni coloratissimi a 20 e più piani, molto vicini l’uno all’altro. E nelle strade neanche un albero. A metà aprile il sindaco di Istanbul, Kadir Topbaş, ha accompagnato una delegazione di giornalisti della televisione giapponese, a Istanbul per girare un documentario sulla città, nel quartiere di Bezirganbahce: la visita doveva essere un’occasione per mostrare l’operato della sua amministrazione, e quanto i nuovi appartamenti del Toki siano modei e confortevoli. L’accoglienza dei nuovi abitanti è stata una violenta protesta infarcita di improperi che è finita su tutti i giornali, e che in qualche modo il sindaco avrà dovuto spiegare agli attoniti ospiti. La visita successiva, che sarebbe dovuta svolgersi ad Ayazma per illustrare il progetto di riqualificazione dell’area, è stata prontamente annullata.
Lo stipendio medio di una famiglia di Bezirganbahce si aggira intorno alle 600-650 lire turche, mentre le spese di un appartamento, gas, acqua, elettricità e affitto, superano le 750 lire turche. Coloro che non possono pagare sono perseguitati dalle banche: se non si paga l’affitto per più di cinque mesi la banca manda un avviso a domicilio. Se il debito non viene saldato entro i termini prescritti, l’appartamento viene confiscato. «Se una donna rimane vedova questo è l’ineluttabile destino che l’aspetta», spiega Cihan Baysal. «Inoltre, la vita in questi quartieri è molto diversa da quella di comunità all’aperto di Ayazma, dove bastava uscire di casa per incontrare i vicini e far giocare i bambini nei prati. Ora le persone si sentono come prigioniere in piccoli spazi al 18° piano di palazzoni di cemento».
Case nuove e scadenti
Matteo Pasi è un videomaker che, insieme a Marcello Dapporto, ha realizzato il documentario «Ayazma. Ghetto curdo nel cuore di Istanbul». Una parte del suo lavoro riguarda i nuovi edifici dove gli sfollati ottengono un appartamento, dove tra non molto anche Handan e Ahmad saranno costretti a trasferirsi.
«I nuovi edifici nel distretto di Bezirganbahce – racconta Matteo – sembrano accettabili e vivibili, ma abbiamo potuto verificare che sono costruiti con materiali di secondo ordine. Continuamente si riscontrano problemi idraulici e di manutenzione, sia per la singola abitazione che per l’intero condominio. Alcuni condomini anziani buttano la spazzatura dal sesto piano perché l’ascensore non funziona per settimane. Diventeranno quartieri discarica, abbandonati a loro stessi e con persone senza alcuna possibilità economica, il cui problema non potrà più essere la questione culturale e politica curda, ma la sopravvivenza».
Alessandra Cappelletti