Per un po’ di dopamina
La società e le droghe
«Non esiste alcunché in natura che non sia tossico, ma è solo la dose che rende una sostanza tossica o no», sosteneva Paracelso. Oggi sul problema delle droghe si discute molto, tanto che non esiste una posizione univoca neppure sul trattamento dei tossicodipendenti.
Droghe lecite e illecite, droghe leggere e pesanti, droghe high e down, che effetti possono avere sulla salute umana? Quali conseguenze sulla società? Il loro uso può essere considerato solo un fatto privato o no? È più corretto un atteggiamento proibizionista o antiproibizionista? E ancora, nel trattamento delle tossicodipendenze, è meglio il metodo della riduzione del danno, cioè un approccio di tipo medico, o l’approccio psicologico? Per tentare di rispondere a queste domande, può essere senz’altro utile avere un’idea di come agiscono le varie sostanze, una volta che hanno fatto il loro ingresso nel nostro organismo.
I DANNI
DI ALCOL E TABACCO
La distinzione che si fa tra droghe lecite ed illecite, essendo le prime l’alcol ed il tabacco, può essere abbastanza fuorviante: si può essere portati a pensare che quelle lecite siano meno nocive alla salute umana, rispetto alle altre e che, in generale siano meno dannose per la società. Nulla di più errato. Prendiamo per esempio l’alcol. Tutte le bevande alcoliche, dalla più leggera birra ai superalcolici, contengono quantità diverse di alcol etilico, che per il nostro organismo risulta essere tossico, andando ad agire direttamente sul sistema nervoso centrale, con conseguenze che vanno dall’euforia iniziale alla depressione malinconica, passando attraverso le difficoltà di articolazione della parola e di deambulazione. Per non parlare del superlavoro che il fegato si trova a compiere, nel tentativo di depurare l’organismo da questa sostanza, che può causare un’epatite tossica, con evoluzione in cirrosi epatica, letale. Che dire poi delle stragi del sabato sera, in cui giovani ubriachi alla guida spesso uccidono se stessi e qualcun altro in tragici incidenti stradali? Oppure prendiamo in considerazione il tabacco: nel fumo di sigaretta, in particolare delle bionde, c’è un’elevata concentrazione di ammine aromatiche e di idrocarburi aromatici policiclici, sostanze sicuramente cancerogene, che sono la causa del carcinoma del polmone, ma anche di quello della vescica. Quindi la salute di chi fuma è seriamente a rischio, ma anche quella di chi non fuma, però si trova vicino a dei fumatori. Infatti il fumo passivo può essere dannoso come quello attivo, al punto che negli Stati Uniti è stata vinta la prima causa per fumo passivo, intentata dai parenti di una non fumatrice, deceduta per carcinoma polmonare.
DIPENDENZA FISICA,
DIPENDENZA PSICOLOGICA
Per quanto riguarda invece la distinzione tra droghe leggere e pesanti, va subito detto che ci troviamo di fronte ad un non senso tossicologico e cioè che esistano droghe leggere. In tossicologia non esiste alcunché di leggero. Già agli inizi del ‘500, Paracelso sosteneva: «Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit ut venenum non sit», cioè «Non esiste alcunché in natura che non sia tossico, ma è solo la dose che rende una sostanza tossica o no». Questo ci fa capire che la distinzione tra droghe leggere e pesanti è artificiosa e che si può fare un uso pesante di droghe leggere. Fino a qualche tempo fa, sono state considerate pesanti le droghe capaci di dare dipendenza fisica (ad esempio l’eroina), per cui, se il soggetto dipendente smette di assumere la sostanza d’abuso, ha una crisi di astinenza, perché non è possibile interrompere bruscamente l’assunzione della droga, quando l’organismo è abituato ad essa. Droghe leggere sono invece quelle, che non danno dipendenza fisica e, fino ad una decina di anni fa, la cocaina e la cannabis erano considerate di questo tipo. Oggi ci si è resi conto che queste droghe danno un altro tipo di dipendenza, cioè quella psicologica, particolarmente importante nel caso della cocaina, che porta rapidamente al craving o consumo compulsivo. In pratica tutte le sostanze d’abuso danno il cosiddetto rinforzo negativo (lo stato di malessere durante l’astinenza), ma anche il rinforzo positivo (il ricordo del benessere legato all’assunzione della sostanza), cioè ciò, che tiene l’individuo legato alla sostanza stessa.
DOPAMINA,
LA MOLECOLA DEL PIACERE
La sensazione di benessere è data dalla liberazione della dopamina da parte dei neuroni stimolati dalle droghe. La dopamina, una molecola che permette ai neuroni di comunicare tra loro, viene rilasciata soprattutto in un’area cerebrale, detta nucleus accumbens, facente parte del sistema limbico del cervello ed in particolare dell’amigdala, che controlla le emozioni, positive e negative. I vari tipi di droga agiscono in modo leggermente diverso, perché i narcotici analgesici, tra cui l’eroina, agiscono su dei recettori specifici, cioè i recettori per gli oppiacei, aumentando la quantità di dopamina liberata. La cocaina, invece, aumenta la quantità di dopamina in circolazione, perché ne impedisce il riassorbimento a livello delle sinapsi. Dobbiamo comunque tenere presente che un neurotrasmettitore, in questo caso la dopamina, si comporta come un interruttore, che non solo agisce sui neuroni limitrofi, ma dà origine ad una serie di modificazioni, che si ripercuotono su tutto il sistema nervoso ed anche su altri organi. Ad esempio, i recettori che possono essere stimolati dal tetraidrocannabinolo, il principio attivo della cannabis, oltre che nel cervello si trovano anche negli occhi e nell’intestino, mentre quelli per la nicotina del tabacco si trovano in molti tessuti, compresa la pelle.
PER DEPRIMERE
O PER ECCITARE
Una distinzione può essere fatta tra le droghe down e quelle high, essendo le prime quelle che deprimono il sistema nervoso centrale, come l’alcol, i barbiturici, gli ipnosedativi, gli oppiacei, tra cui l’eroina; le droghe high sono quelle eccitanti il sistema nervoso e tra queste la caffeina, la nicotina, la cocaina e le amfetamine, tra cui l’ecstasy. È importante tenere presente che l’effetto di una droga su un individuo non dipende solo dalle caratteristiche chimiche della sostanza, ma da quelle della persona, dalla dose, dalla frequenza di assunzione e dall’ambiente sociale, in cui avviene il consumo (può capitare che la prima assunzione risulti sgradevole o faccia stare male; se il soggetto è circondato da amici più esperti, questi spesso sono capaci di consigliare come superare il disagio iniziale).
L’aspetto sociale del consumo delle droghe è particolarmente importante, perché si tratta di stabilire se questo consumo possa o meno rientrare nel concetto di libertà individuale. Secondo questo concetto, ciascuno dovrebbe essere libero di fare ciò che vuole della propria salute, quindi di drogarsi, anche se questo gli fa male. Che dire, però, se le conseguenze dell’abuso di determinate sostanze si ripercuotono gravemente sugli altri, vedi stragi del sabato sera, familiari percossi o addirittura uccisi oppure furti, rapine per procurarsi i soldi per la dose? Certamente, se esaminiamo i risultati ottenuti, in passato, con l’alcol dall’atteggiamento proibizionista, possiamo dire che sono stati assai deludenti. L’antiproibizionismo dovrebbe avere il vantaggio di stroncare il narcotraffico, ma senza una capillare attività educativa a livello soprattutto giovanile, potrebbe portare a risultati anche in questo caso negativi. È indispensabile, infatti, che vengano diffuse il più possibile le conoscenze scientifiche, nel campo delle droghe, al fine di difendere sia i singoli individui dal danno, che inconsapevolmente possono farsi, assumendo determinate sostanze, sia la società in cui essi vivono.
RIDUZIONE DEL DANNO
O RECUPERO PSICOLOGICO?
Per quanto riguarda il trattamento delle tossicodipendenze esistono fondamentalmente due tipi di approccio, cioè quello medico e quello psicologico. Il primo tiene conto del fatto che il tossicodipendente può provocarsi una malattia organica, alla cui base ci sono danni, talora irreversibili, al sistema nervoso centrale. I Sert funzionano secondo questo tipo di approccio, sono diretti da medici e di solito la loro attività si basa sulla cosiddetta riduzione del danno, che prevede la somministrazione di metadone o di buprenorfina, al posto dell’eroina. Ciò riduce il rischio di diffusione di malattie come l’Aids o l’epatite virale, perché tali farmaci vengono assunti oralmente e non per via endovenosa. Inoltre, la somministrazione di queste sostanze in appositi centri ed in modo controllato, evita al tossicodipendente la ricerca della dose quotidiana e dei soldi per ottenerla. Certamente, però, queste sostanze agiscono sul sistema nervoso, in modo analogo all’eroina, e quindi per il tossicodipendente cambia poco, anzi il soggetto viene in pratica considerato irrecuperabile. Viceversa, l’approccio psicologico si occupa solo di questo aspetto, il tossicodipendente è accolto in comunità, che hanno di solito lo scopo di tenerlo lontano dal mondo della droga e di recuperarlo, inserendolo in attività di lavoro, in un contesto socio-educativo. Peraltro alcune strutture prevedono l’integrazione dell’area medica e di quella socio-educativa. Vanno poi ricordate le unità mobili, camper attrezzati con strumenti di pronto soccorso e con personale specializzato a bordo, che si recano di solito nei quartieri degradati, per avvicinare quei tossicodipendenti, che non si rivolgerebbero spontaneamente ad una struttura pubblica o privata di recupero. Gli interventi di queste unità si prefiggono lo scopo di convincere i tossicodipendenti a ridurre il margine di rischio nei loro comportamenti; ad esempio i soggetti avvicinati vengono foiti di siringhe sterili, per evitare la diffusione di Aids ed epatite. Inoltre i tossicodipendenti, che vengono agganciati in questo modo, a seguito di uno o più colloqui, vengono indirizzati alla struttura di recupero stabile, operante nel territorio.
Roberto Topino e Rosanna Novara