Ricerca in campo minato
Un’accurata ricerca sulla presenza islamica in Piemonte
Eventi recenti hanno suscitato vari interrogativi sulla presenza delle comunità islamiche in Italia: quanti sono, cosa fanno, come sono organizzate… Per rispondere a tali domande, almeno per quanto riguarda il Piemonte, il «Centro Federico Peirone» ha condotto una ricerca esemplare e stimolante, capace di fugare paure e razzismo.
Durante la trasmissione televisiva «Annozero» (febbraio 2007), una moschea di Torino era stata denunciata come «covo di propaganda anti-occidentale» e il suo imam marocchino è stato espulso (gennaio 2008), perché ritenuto «una minaccia per lo stato». La stessa sorte era toccata al suo predecessore nel settembre 2005.
Denunce del genere vengono spesso riportate dai quotidiani nazionali con titoli sensazionali, che parlano di scoperte di «scuola di terrorismo» collegata ad Al Qaeda, «covi di propaganda dell’odio», «schegge impazzite dell’islam» con sede in Italia… Ma mentre gli agenti di polizia, protagonisti di tali scoperte, ricevono encomi e complimenti, alcuni studiosi di islam, che con le loro ricerche spesso offrono «piste valide» alle stesse forze dell’ordine, sono accusati presso i tribunali di «vilipendio della religione islamica, come è capitato ai professori Allievi e Guolo, denunciati dal discusso Adel Smith (vedi riquadro).
In un paese dove cresce la nevrosi «da paura» e «razzismo» nei confronti del mondo arabo, sono proprio gli studi degli onesti ricercatori spesso anche apprezzati analisti di importanti quotidiani su questo «campo minato», che insegnano a «disceere», a non fare di «tutte le erbe un fascio», a distinguere tra «islam moderato», a cui appartiene la maggioranza dei musulmani residenti nel nostro paese, da quello marginale ma micidiale del «terrorismo fai-da-te».
In questo filone s’inserisce l’importante ed esemplare ricerca «Musulmani in Piemonte», promossa dal Centro Studi Federico Peirone, in collaborazione con docenti dell’Università di Torino, a cui ha offerto autorevoli contributi anche il «denunciato» prof. Renzo Guolo.
metodo e ambiti
«La ricerca si è confrontata con i seguenti quattro campi di analisi: le appartenenze all’islam, la costruzione dell’islam, i profili identitari dei musulmani, pratiche e ideologia degli imam», scrive nell’introduzione Luigi Berzano, docente di sociologia all’Università di Torino, evidenziando subito come sia complesso studiare un settore del «fenomeno immigrazione» che ormai caratterizza l’Italia.
Pensata nel 2002, la ricerca si è sviluppata «sul campo» dall’ottobre 2003 al novembre 2004, con approfondite interviste su un campione ben bilanciato di 1.352 immigrati musulmani (917 uomini e 435 donne) residenti nelle nove province del Piemonte e provenienti da Marocco, Albania, Senegal, Tunisia, Egitto, Somalia. Altri 50 sono stati intervistati fra i 124 immigrati musulmani detenuti in carcere.
Nell’analisi dei dati statistici gli albanesi sono stati quasi sempre scorporati dalle altre nazionalità, per la loro accentuata laicità. Inoltre, dopo essere riusciti con fatica a compilare un elenco di 43 moschee (in molti casi «sale di preghiera») in Piemonte, se ne sono identificate 20 (7 in Torino) per «le visite e interviste approfondita ai dirigenti».
Nel 2005 si è conclusa la stesura dei testi e presentato il libro «Musulmani in Piemonte» (ed. Guerini e Associati-Milano) a cura di Augusto Tino Negri (direttore Centro Studi Federico Peirone) e Silvia Scaranari Introvigne (professoressa di filosofia e collaboratrice del Centro Peirone). Questa ricerca è stata possibile grazie al contributo dell’Associazione Torino-Europa, Fondazione San Paolo, Assessorato alle Politiche sociali Regione Piemonte.
Il libro, rigoroso e ricco di dati attendibili, è accurato nel presentare la metodologia della ricerca (appendice) e nell’approfondire alcuni aspetti della «presenza islamica in Piemonte» e «in patria»: viene così proposto un «quadro di confronto» per «analizzare tendenze e dinamiche dell’islam in Piemonte con quelle nazionali ed europee», è raccontato dettagliatamente «la visita alle moschee e le interviste agli imam», si descrivono le peculiarità degli «ethnic business» a Torino, vengono tratteggiati eventuali scenari futuri dell’islam in Piemonte e in Italia.
PRATICA RELIGIOSA
Secondo i dati Caritas, nel 2004 gli immigrati in Italia erano 2.194.000 (senza contare i circa 300 mila clandestini), il 33% dei quali sono musulmani (circa 825 mila), residenti il 30% a nord-ovest, 28,4% a nord-est, 21,5% al centro, 14% nelle isole. Il campione degli intervistati è stato estrapolato dai circa 50 mila musulmani presenti in Piemonte nel 2001 (attualmente sono circa 60 mila).
Il questionario, rigoroso ed essenziale, è stato suddiviso in tre parti in modo da identificare: le caratteristiche socio-economiche dell’intervistato (genere, provenienza, professione); importanza dell’aspetto religioso nella vita del soggetto; indagare quanto l’appartenenza islamica influenzi la coesistenza con la società d’accoglienza.
Inoltre, il questionario ha posto particolare attenzione sulle 5 pratiche (i pilastri dell’islam) che «la sunna e il diritto islamico considerano obbligatorie: fare la professione di fede islamica, preghiera rituale (salat), elemosina rituale (zakat), digiuno del ramadan, pellegrinaggio alla Mecca una volta nella vita.
Circa dieci intervistatori, provenienti dai paesi degli intervistati, sono stati addestrati bene per ottenere risposte attendibili.
Dalle risposte ottenute dagli intervistati risulta che la religione islamica è considerata importante dal 60%, con punte altissime per somali e senegalesi (90%); la frequenza delle moschee per la preghiera del venerdì è del 31%, mentre il 53% prega 5 volte al giorno; il digiuno di ramadan è praticato dal 96%, il pellegrinaggio alla Mecca è stato compiuto dal 10%, mentre l’86% vorrebbe compierlo. L’elemosina, versata nel mese di ramadan, è rispettata dal 65% degli intervistati, in prevalenza arabi (Marocco 71%, Tunisia 68%, Egitto 65%).
Per quanto riguarda l’occupazione, il 45% dei musulmani intervistati svolge un lavoro dipendente, il 10% un lavoro autonomo con partita Iva, l’8% un lavoro autonomo senza partita Iva (sommerso), il 19% è disoccupato, il 6% è formato da studenti (da 18 anni in su), l’11% si occupa della cura domestica. Tra i lavoratori dipendenti, la maggioranza proviene dall’Africa subsahariana, mentre nel campo del commercio e piccola imprenditoria prevalgono gli arabi.
Islam politico e islam moderato
Alla domanda se «una buona società dev’essere governata dalla shari’a», il 43% degli intervistati ha risposto «sì», il 53,5% «solo per certe cose» e il 3,5% ha risposto con un netto «no».
«La shari’a è la legge positiva di origine religiosa – spiega il prof. Guolo -. Le sue fonti sono le stesse della teologia: il Corano, la sunna, il consenso della comunità (ijma), l’ijtihàd, ragionamento individuale di tipo analogico, che permette un margine di interpretazione e adattamento. La shari’a regola questioni assai diverse, dalla modalità della preghiera allo statuto della famiglia».
E analizzando le risposte, prosegue: «Tra i più favorevoli al modello sciaratico si riscontrano coloro che provengono dall’Egitto (57%) e dalla Somalia (50%), paesi investiti negli ultimi decenni dall’onda lunga del “risveglio islamico”. Ed è proprio tra i seguaci dell’orientamento islamista che si trovano molti di coloro che si dichiarano a favore delle pene coraniche (61%), richieste in maggioranza da egiziani (67%), marocchini (63%), somali (62%) e tunisini (61%)».
Stupisce che nessuno degli intervistati abbia chiesto chiarimenti sull’applicazione della shari’a, se essa riguardi il paese di provenienza o anche l’Italia. Sarebbe interessante appurare che cosa intendono coloro che hanno risposto «solo per certe cose»: e cioè, per regolare questioni intee alla comunità islamica o con incidenza sulla società civile del paese che li ospita.
I ricercatori hanno tratteggiato le seguenti identità socio-politiche, per cercare di individuare il gruppo di appartenenza degli intervistati:
1- islam-politico: ritiene che una buona società debba essere governata con la shari’a; vuole le pene coraniche e la Banca islamica;
2- islam-moderato: ritiene che una buona società debba essere governata con la shari’a solo per certe cose, vuole il velo per chi lo desidera, sceglierebbe una scuola statale con insegnamento dell’islam;
3- islam-laico: ritiene che una buona società non debba essere governata con la shari’a, non vuole né pene coraniche né banche islamiche.
Interessante è l’analisi dei dati su questi parametri: solo il 13,61% dei musulmani albanesi intervistati (4,5% del campione totale) appartiene all’identità socio-politica dell’islam laico. Tutti gli altri intervistati sono suddivisi tra islam-moderato e islam-politico, e un modesto gruppo residuale (2,8%). Il 67,16% (64,64% senza albanesi) appartiene all’islam-moderato (72% albanesi, 64% marocchini, 76% senegalesi, 65% tunisini, 57% egiziani, 51% somali); mentre il 24,44% degli intervistati (32,56% senza albanesi) appartiene all’islam-politico (33% marocchini, 8% albanesi, 21% senegalesi, 33% tunisini, 44% egiziani, 42% somali).
Commenta il prof. Guolo: «Il processo di individualizzazione, che segna la progressiva autonomia del singolo e l’autopercezione di sé come soggetto, segna sempre più l’essere musulmano in occidente… Quello che emerge dalla ricerca è dunque un islam sfaccettato più che monolitico».
moschee e loro dirigenti
«Ogni moschea è indipendente dalle altre – chiarisce Tino Negri -. I suoi dirigenti esprimono l’ideologia politico-religiosa del gruppo che frequenta la moschea, o per lo meno del gruppo fondatore, e colui che solitamente è definito imam ne incarna i fini e gli obiettivi sulla scena sociale. Non esiste una struttura “ecclesiale” nell’islam, né una gerarchia di governo dell’istituzione. Sono sbagliate dunque le equazioni imam-prete (o vescovo) e moschea-chiesa».
Negli anni ‘90 i centri islamici si sono moltiplicati in Torino e provincia, intessendo tra di loro «reti associative allo scopo di negoziare con maggior forza le proprie richieste nei confronti dell’ambiente circostante, dell’autorità locale e dello stato».
Sono stati identificati tre tipi di «centri di culto», in base alla capienza degli edifici: grandi (ospitano 200 persone), medi (da 100 a 200), piccoli. «I locali sono, a volte in buono stato, altre volte, fatiscenti, ma sempre sistemati con cura, con tappeti, suppellettili e simboli essenziali… Quasi tutte le moschee, eccetto quelle molto piccole, assicurano la scuola coranica e di lingua araba per i ragazzi, che si svolge nei giorni di vacanza scolastica, il sabato pomeriggio e la domenica».
A Torino sono stati identificati due poli del «culto islamico piemontese» a San Salvario e a Porta Palazzo, sviluppati soprattutto dopo il 1995, che spaziano dall’islam radicale a quello moderato, oppure «etnico, comunitario, solidale e devozionale» dei senegalesi.
Dal 2003 al 2004 i ricercatori, in periodi diversi, hanno monitorato la frequenza alle 20 moschee scelte e intervistato i «dirigenti» (2 hanno rifiutato l’intervista). Si preferisce usare l’appellativo «dirigente» invece di imam. «Sommersi dalle critiche per i comportamenti e la sovraesposizione mediatiche di noti leader islamici, le comunità hanno estromesso dal loro lessico il termine imam. Oggi i leader delle moschee preferiscono presentarsi come “dirigenti” dell’associazione che amministra la moschea».
Interessante è rilevare la disparità nel grado d’istruzione dei «dirigenti» intervistati. «Dei 20 centri visitati, solo 2 vantano un vero imam, o alim (dotto islamico), che ha compiuto studi pluriennali in una università islamica (Fés, Casablanca, Mecca); in altri 5 centri, troviamo 5 imam che hanno frequentato la scuola liceale per imam (3 anni) a Casablanca o che hanno seguito le lezioni di un alim impartite nella moschea; negli altri 13 centri, le guide della preghiera sono scelte tra coloro che meglio conoscono il Corano e la sunna, senza aver fatto studi specifici».
La sfaccettatura dell’islam in Piemonte si deduce anche dai fini e obiettivi delle «sale di culto». «Delle 20 moschee visitate, 4 s’ispirano alla corrente islamica wahhabita, puritana, lealista nei confronti dei principi sauditi dell’Arabia, favorevole allo stato islamico e all’applicazione della shari’a “dal basso”; 6 moschee s’ispirano alla corrente dei Fratelli musulmani che ha optato per l’islamizzazione “dal basso”, di cui 3 simpatizzanti e 2 aderenti all’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia); 1 moschea s’ispira alla corrente più radicale e separatista dei Fratelli musulmani, che auspica l’islamizzazione “dall’alto”; 2 moschee sono salafite. In conclusione, il 55% delle moschee piemontesi appartiene all’area politica».
Commenti, esiti possibili
C’è una forte discrepanza tra la frequenza alla moschea dichiarata dagli intervistati e quella dichiarata dai «dirigenti» e rilevata dai ricercatori. «Mentre il 26% dei fedeli afferma di recarsi tutti i venerdì in moschea, secondo gli imam l’affluenza sarebbe del 5% e del 4% secondo le nostre rilevazioni. Durante il mese di ramadan, la frequenza dichiarata è del 37%, quella stimata dagli imam del 12%, mentre quella che emerge dai nostri rilievi del 7%».
Tra i dirigenti dei luoghi di culto, «generalmente sono condannati gli attentati alle Twin Towers di New York, quello in Spagna e quelli in Turchia. Le moschee aderenti o simpatizzanti dell’Ucoii menzionano la condanna pubblica degli attentati dell’11 settembre 2001 e dell’11 marzo 2004 pronunciata dall’Ucoii».
Inoltre, questi dirigenti «approvano la frequenza degli oratori parrocchiali da parte dei ragazzi, purché non ci sia né proselitismo né promiscuità». I ricercatori, infatti, affermano: «Non riscontriamo in nessuna delle guide delle moschee, quella reciprocità nel rispetto dell’altro e delle sue credenze né quella passione di ricerca intellettuale che sono irrinunciabili in un dialogo autentico». E constatano che «i dirigenti-imam delle moschee, in Piemonte (come in Italia e in Europa), affrontano il rapporto della comunità islamica con la modeità con gli strumenti della tradizione classica medioevale, assunta e ritrasmessa letteralmente, senza mediazioni; in secondo luogo i mediatori dell’incontro-scontro con la modeità sono soprattutto quegli autori contemporanei che provengono dall’area dell’islam-politico».
Malgrado la frequenza alle moschee non sia così alta bisogna rilevare che «le comunità musulmane in Occidente, compresa quella piemontese, mantengono uno stretto rapporto con la umma mondiale e le realtà nazionali e associative di appartenenza… Vivere a Torino e guardare al-Jazira o frequentare l’islam on line è esperienza diffusa».
A detta dei ricercatori, i processi visibili tra i musulmani in Piemonte sono: «Privatizzazione della sfera religiosa, reislamizzazione identitaria, secolarizzazione. A seconda del prevalere di questa o quella tendenza si definirà non solo il futuro di parte rilevante dell’islam in Italia, ma anche il quadro di convivenza tra società italiana e musulmana».
Silvana Bottignole