Cinquantamila reietti della società?
Introduzione
In Italia e nel mondo la situazione carceraria vive una perenne emergenza, lasciando trasparire un’immagine opaca della nostra società e suscitando reazioni sovente contraddittorie, dettate più dall’impulso emotivo che da un’analisi attenta e ponderata del problema. Nel nostro Paese vi sono circa 50.000 detenuti, ma erano 63.000 (per 43.000 posti regolamentari) prima dell’ultimo indulto del luglio 2006, soglia che sarà comunque nuovamente presto raggiunta e superata procedendo al ritmo di 1.000 nuovi detenuti al mese.
Parlare di carcere significa tuttavia riflettere anche sul significato del reato, della pena, della colpa, significa inevitabilmente parlare di società.
Le prigioni sono nate e cresciute parallelamente con la storia dell’umanità. Strutture carcerarie con un significato simile a quello odierno si menzionano già nella Bibbia, nonché nella Grecia e nella Roma antica. Il termine prigione deriva infatti dal latino «prehensio», mentre la parola carcere deriverebbe da «carcer», recinto, inteso come luogo ove si restringe, si rinchiude e si punisce. Viene così sottolineata la sua funzione primaria che consiste nell’allontanare dalla vita attiva e separare dalla comunità quei soggetti ritenuti un pericolo per la società stessa.
I sistemi penitenziari hanno attraversato i secoli, variando da Stato a Stato in base alla concezione della pena vigente nelle diverse legislazioni. Tuttavia, nonostante molteplici trasformazioni e continui adeguamenti, il mondo carcerario vive ancora oggi una condizione fatta di luci e di ombre, di problemi irrisolti e forse irrisolvibili.
Un miglioramento complessivo delle condizioni di vita, della tutela dei diritti e del rispetto della dignità umana, almeno in una parte dell’Occidente, è stato indubbiamente attuato, ma nella sostanza il nucleo della vita detentiva è rimasto immodificato.
Il sovraffollamento in strutture talvolta fatiscenti, le condizioni sanitarie precarie, l’aumento dei minori (oltre 400 nel 2006), la presenza sempre più cospicua degli stranieri (circa il 30% dei detenuti), sono soltanto alcuni dei problemi che ciclicamente trovano spazio nelle cronache. L’alto numero di suicidi, oltre mille dal 2000 al 2007, è la testimonianza tangibile e forse più eclatante di un profondo ed inespresso disagio esistenziale. A ciò si aggiungono inevitabilmente i problemi del recupero e del reinserimento nella società civile.
Al fine di trattare una tematica così complessa, in questo dossier diamo voce a coloro che vivono quotidianamente la realtà carceraria.
Enrico Larghero