Ancora lettere sui rifiuti
Dopo i gravi fatti accaduti in questi giorni a Napoli per le grandi quantità di rifiuti che si stanno accumulando per le strade, i giornali e le televisioni stanno presentando come unica soluzione quella dei termovalorizzatori, che, sempre secondo tutti gli organi di informazione, possono distruggere i rifiuti, trasformandoli in energia pulita, senza rischi per la popolazione, in virtù dei modei sistemi di abbattimento delle sostanze inquinanti presenti nei fumi.
Alcuni giornalisti hanno riferito, ad esempio, che l’aria di Brescia non risente della presenza del termovalorizzatore ed è «così pulita, che più pulita non si può» (La Stampa, 8 gennaio 2008), e che presso l’inceneritore di Granarolo (Bologna) pascolano mucche che producono latte di alta qualità (Porta a Porta, Rai1, 8 gennaio 2008).
Altre fonti hanno riferito che la quantità di diossina prodotta dagli inceneritori è paragonabile a quella di una strada un po’ trafficata e che i grandi produttori di diossina sono le acciaierie e fonderie, che non vengono contestate.
Tempo fa ho letto su Missioni Consolata un articolo di «Nostra madre terra», che parlava chiaramente dell’imbroglio dei termovalorizzatori, e vorrei sapere se l’evoluzione della tecnica ha effettivamente ottenuto una riduzione del rischio degli impianti di trattamento dei rifiuti o se siamo di fronte a una informazione distorta e manipolata ad arte dalle lobby inceneritoriste.
Sarei curioso di sapere cosa dicono i medici, che sarebbero i più qualificati per dare risposte su problemi che riguardano la nostra salute e il fatto che nessuno di loro sia stato interpellato o abbia parlato pubblicamente mi ha insospettito. C’è forse qualche forma di censura da parte dei media?
In attesa di un gradito riscontro, porgo cordiali saluti.
Torino
I n queste settimane di emergenza rifiuti in Campania, quasi tutti i mezzi di informazione hanno presentato i termovalorizzatori come la soluzione ideale del problema. È possibile che si tratti di disinformazione, correlata a interessi legati alla realizzazione di tali impianti, o che si tratti di un’informazione superficiale, che non controlla le fonti e che trascura, ad esempio, i pareri dei medici, che sono le persone più qualificate per giudicare una situazione che riguarda la salute pubblica.
In ogni caso siamo di fronte a una informazione che non tiene in nessun conto i principi fondamentali della fisica, della chimica e della medicina.
La situazione di Napoli non si potrebbe definire di emergenza, perché è almeno un decennio che il problema dei rifiuti è presente. In Campania c’era un piano, che prevedeva di realizzare un mega-appalto, che avrebbe risolto il problema, dando a una grande azienda del Nord la gestione dei rifiuti, chiudendo tutte le discariche e realizzando sei impianti di Cdr, il cosiddetto «combustibile da rifiuti». Nell’attesa della realizzazione del termovalorizzatore di Acerra, un impianto di selezione dei rifiuti ha prodotto dei pacchi (le «ecoballe»), che dovevano essere costituiti dalla parte combustibile dei rifiuti.
Alcuni osservatori attenti, hanno notato che questi pacchi contenevano anche rifiuti che non avevano le caratteristiche previste e hanno informato l’autorità giudiziaria, che ha iniziato un’indagine, ha fermato i lavori e ha messo sotto sequestro parte degli impianti. Tra coloro che hanno presentato le denunce alla Procura della Repubblica, c’è anche il ministro dell’ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, del quale molti avevano chiesto le dimissioni.
Intervistato da «Ambiente Italia» di Rai3, il senatore Tommaso Sodano, presidente della Commissione ambiente del senato, ha parlato dell’inchiesta sui rifiuti in Campania, partita nel 2002 anche dopo le sue denunce, che ha raccolto 100 mila pagine di documenti.
Mentre si attendono le decisioni della magistratura, è partita una specie di offensiva mediatica, che sembra aver lo scopo di convincere la gente che l’unica soluzione possibile per risolvere il problema sia quella di costruire altri termovalorizzatori.
In questo contesto ben si inseriscono le osservazioni della gentile signora che ci scrive. L’immagine evocata a «Porta a Porta» delle mucche che pascolano tranquillamente nei pressi dell’inceneritore di Granarolo dell’Emilia è sembrata, non solo a me, più preoccupante che rassicurante, in virtù di quanto sta accadendo a Brescia, all’ombra del «miglior termovalorizzatore del mondo», che è stato realizzato in un’area già fortemente inquinata a causa della presenza di un’industria chimica.
La Stampa ha scritto che a Brescia «tengono l’aria così pulita che più pulita non si può» (sic!) e infatti molti sono convinti che il termovalorizzatore non sia inquinante. In realtà tutti coloro che hanno studiato gli effetti sulla salute degli impianti di incenerimento dei rifiuti hanno rilevato un aumento dell’incidenza di tumori, malattie cardiovascolari e malformazioni nei bambini.
T ra le centinaia di composti tossici emessi dai camini degli inceneritori merita particolare attenzione la diossina, la cui presenza viene in genere negata da coloro che vogliono realizzare questi impianti.
Per farsi un’idea della grande quantità di diossina (e non solo) emessa da un impianto di incenerimento di quella taglia, basta leggere il recente libro di Mario Tozzi «Gaia. Un solo pianeta», dove il noto scienziato, dati alla mano, riferisce che anche quando i monitoraggi indicano valori entro i limiti di legge o addirittura zero, il rischio resta grave e reale per le persone che vivono nei dintorni dell’impianto.
Quanto illustrato da Mario Tozzi sembra spiegare i recenti fatti di Brescia, dove tre aziende agricole si sono viste respingere il latte dalla Centrale per eccesso di diossina e dal 7 dicembre (visto che le incolpevoli 150 vacche coinvolte vanno comunque munte ogni giorno) portano il prezioso liquido alla distruzione.
Altre sette aziende agricole dell’area sono sotto stretta osservazione, perché anche nel loro latte è stata trovata diossina.
La vicenda delle diossine nel latte è oltremodo preoccupante, perché si colloca in un contesto in cui, come è noto, i bresciani hanno già una concentrazione elevatissima di queste sostanze nel sangue (più che a Seveso). Il fatto che, dopo il disastro Caffaro, a Brescia circoli del latte con le diossine oltre i 6,5 picogrammi per grammo di grasso (ma sarebbe intollerabile anche se le diossine fossero di poco sotto i 6 pg) è scandaloso, se si tiene conto che mediamente le diossine nel latte italiano risultano al di sotto di 1 pg/gr grasso.
Marino Ruzzenenti del Forum Ambientalista di Brescia, studioso del caso Caffaro e delle ricadute ambientali dell’inceneritore cittadino afferma: «Abbiamo richiesto più volte all’Arpa di svolgere un’indagine sulle ricadute al suolo di diossine e altri inquinanti nell’area circostante l’inceneritore dell’Asm e l’Alfa Acciai, ma, nonostante tanti solleciti e un esposto in procura, l’indagine non è mai stata fatta».
Gli ambientalisti di Brescia, in un documento diffuso in rete, chiedono che Arpa e istituzioni finalmente si liberino da ogni sudditanza nei confronti delle aziende responsabili di queste emissioni nell’ambiente, rimediando anche allo scandalo dell’immotivata soppressione della centralina di via Bettole, l’unica che rilevava la qualità dell’aria nella zona di maggior impatto di questi impianti industriali.
La soppressione di questa centralina, a suo tempo appositamente posizionata dai tecnici della provincia, non è mai stata motivata dalla nuova direzione dell’Arpa di Brescia, autorizzando i cittadini a pensare che ciò sia avvenuto per non «disturbare» appunto l’attività di quegli stessi impianti a fortissimo impatto ambientale.
I comitati ambientalisti di Brescia attendono da parte della Magistratura, finalmente, un’azione incisiva per garantire l’informazione alla popolazione, per la tutela della salute e dell’ambiente e perché vengano perseguiti i colpevoli dei danni di cui trattasi, nonché delle omissioni nei controlli. Un testo, a firma di Marino Ruzzenenti e riportato integralmente sul sito di Beppe Grillo, dice testualmente: «A Brescia vi sono inquietanti analogie con la Campania: nel latte di aziende dei dintorni della città si è recentemente scoperta una presenza di diossine fuori norma; si nota inoltre un’elevatissima incidenza di tumori al fegato.
Ma il Registro tumori dell’Asl, rassicurante, sostiene, senza dati verificabili, che ciò è imputabile all’eccesso di epatiti e di consumi di alcol (Gioale di Brescia, 10 novembre 2007). Va segnalato che l’ing. Renzo Capra, presidente di Asm, fa parte del Comitato scientifico del Registro tumori dell’Asl, di cui è anche finanziatore».
Il fatto segnalato dal Ruzzenenti, se confermato, sarebbe di una gravità senza precedenti.
È sempre più evidente che la scelta di bruciare i rifiuti resta una follia.
L’alternativa esiste ed è la raccolta differenziata, che consente di riciclare e riutilizzare percentuali di rifiuti che possono arrivare anche al 90% e oltre, mentre l’inceneritore produce ceneri nocive, che devono essere smaltite in discariche apposite, pari al 30% del peso originale dei rifiuti, senza contare il grande uso di calce, ammoniaca, carboni attivi utilizzati nei filtri e lo spaventoso consumo d’acqua, pari a circa un litro e mezzo per chilogrammo di rifiuto trattato. Un inceneritore come quello del Gerbido di Torino consumerà quasi 2 milioni di litri d’acqua al giorno!
Per fare la raccolta differenziata basta raccogliere separatamente gli scarti di cibo e le bucce della frutta, il cosiddetto «umido» (30%), la carta (28%), la plastica (16%), il vetro (8%) e siamo già all’82%, restano ancora il legno e gli stracci (4%) e i metalli (4%) che portano la percentuale di riutilizzabile al 90%. Il restante 10% può essere stabilizzato senza problemi e messo in qualsiasi discarica.
Ancora due parole sul paragone tra l’inquinamento dovuto al traffico e quello degli inceneritori. Il traffico cittadino viene considerato «responsabile di centinaia di migliaia di morti all’anno solo in Italia» (Mario Tozzi – La Stampa del 12 gennaio 2008) e a fronte di questi dati si può correttamente affermare che, se il rischio legato agli inceneritori è simile a quello del traffico, siamo di fronte a un grave pericolo per la salute dei cittadini.
Per quanto riguarda le acciaierie e le fonderie ha ragione la signora: questi impianti industriali sono i più grandi produttori di diossina e pensiamo di parlarne a fondo in uno dei futuri numeri di «Nostra madre terra».
Roberto Topino e Rosanna Novara