Tanto sottili, tanto assassine
Che cosa respiriamo?
Si chiamano micropolveri (Pm10, Pm2,5, Pm1) o nanopolveri (Pm0,1). Hanno dimensioni talmente piccole da risultare di difficile comprensione. Ma ci sono e fanno danni pesanti: sulla salute individuale, su quella collettiva e sul futuro. Nonostante ciò, l’uomo ne produce sempre di più.
Parlare di polvere può sembrare banale: tutti noi sappiamo cos’è. La polvere si annida dappertutto e per rimuoverla occorre una scopa, uno straccio e tanta fatica.
Si può usare anche un aspirapolvere, che la rimuove e la fa finire in un sacchetto di carta con caratteristiche tali da funzionare come un filtro. In questa puntata di Nostra Madre Terra, noi non parleremo di quella polvere, ma di una polvere molto più fine, che riesce a superare anche il filtro dell’aspirapolvere. Qualcuno, cambiando il sacchetto dell’aspirapolvere, avrà notato una polverina molto fine, simile al borotalco, che si annida all’interno dell’apparecchio e che, purtroppo, non viene trattenuta dai filtri e ritorna nell’ambiente.
Da alcuni anni si stanno studiando le interazioni tra queste polveri inorganiche finissime e l’organismo.
Le polveri: dimensioni e provenienza
Le polveri sottili si dividono in nanopolveri e micropolveri.
Le nanopolveri hanno un diametro tra 10-9 e 10-7 metri, cioè tra un miliardesimo di metro e un decimo di milionesimo di metro. Le micropolveri sono più grandi: tra 10-6 e 10-5 metri, che vuol dire che sono comprese tra un milionesimo ed un centomillesimo di metro.
L’unità di misura più comunemente utilizzata per queste misure è il µm (micron), che è il millesimo di millimetro, cioè 10-6 metri.
Tutti noi abbiamo sentito parlare delle PM10, che sono quelle polveri che vengono misurate per valutare il livello di inquinamento nelle città. La sigla PM10 identifica le particelle che hanno un diametro di 10 µm, ovvero 10 millesimi di millimetro.
La legge attualmente in vigore individua due valori limite di PM10:
– il primo è un valore limite di 50 µg/m³ come valore medio misurato nell’arco di 24 ore da non superare più di 35 volte/anno;
– il secondo come valore limite di 40 µg/m³ come media annuale.
Queste particelle si possono trovare in natura e possono coprire grandissime distanze.
Sono prodotte dai vulcani, dagli incendi, dai fulmini e dall’erosione delle rocce (da parte del vento e dell’acqua).
La sabbia del deserto è un esempio evidente: l’abbiamo vista cadere, a volte insieme alla pioggia, e sporcare le automobili e i vetri delle finestre. Si tratta di sabbia che, per effetto dei venti, ha percorso migliaia di chilometri.
Le micropolveri: le difese del corpo umano
Le polveri fini inorganiche prodotte dalla natura non hanno grossi effetti sulla nostra salute, perché sono in quantità molto ridotte e si trovano solo in rare occasioni, ad esempio durante le eruzioni vulcaniche.
Il nostro organismo è molto ben difeso dalle polveri di dimensioni maggiori. Mentre respiriamo, le polveri più grossolane si fermano nel naso e quelle di dimensioni inferiori si fermano nella trachea e nei bronchi, raggiungendo le parti più profonde del polmone in modo inversamente proporzionale alle loro dimensioni.
Le micropolveri PM10 si fermano nel naso e nella gola, le PM2,5 raggiungono i bronchi più piccoli e le PM1 arrivano fino agli alveoli polmonari. All’interno dei bronchi esiste un meccanismo mirabile per ripulirli: si tratta di un sottile strato di muco a cui la polvere si fissa. Questo muco non sta fermo, ma, per effetto del movimento delle microscopiche ciglia delle cellule che rivestono i bronchi, il muco viene sospinto verso le vie aeree superiori fino al retrobocca, dove viene espulso con la tosse o deglutito, insieme con la polvere.
Queste polveri, evidentemente, possono causare irritazione delle vie aeree e qualche fastidioso «mal di gola».
Le nanopolveri: niente riesce a fermarle
Molto diverso è il discorso che riguarda le nanopolveri (inferiori a PM0,1), che dopo essere state inalate, si possono trovare nel sangue già dopo circa un minuto e di seguito possono raggiungere tutti gli organi (fegato, reni, ecc.).
Alcuni studiosi hanno dimostrato che queste particelle nel sangue aumentano la produzione di fibrina, in altre parole favoriscono la coagulazione del sangue all’interno delle arterie e delle vene formando i cosiddetti trombi, che possono essere causa di infarti, di embolie e di ictus.
Queste particelle, che a tutti gli effetti sono corpi estranei, possono essere causa di granulomi all’interno dei tessuti: i granulomi sono una reazione dell’organismo alla presenza di germi o sostanze in grado di fare danni; per effetto dell’infiammazione si forma un tessuto di difesa che, nel tempo, può anche causare il cancro.
È chiaro che soltanto la sabbia del deserto e le eruzioni vulcaniche non sarebbero un grosso problema per la nostra salute, ma, purtroppo l’uomo è diventato un grande produttore di nanopolveri, che si sviluppano soprattutto per effetto delle attività manifatturiere.
Polveri, ma «a norma di legge»
Sono grandi produttori di polveri le fonderie, le acciaierie, le centrali elettriche, gli aerei, le cave e le miniere a cielo aperto, i cementifici, i cantieri e le attività di saldatura dei metalli.
Anche i veicoli sono produttori di nanopolveri, non solo per le emissioni dei motori, ma anche per l’usura dei freni, delle gomme e, naturalmente, dell’asfalto.
Una nota a parte la meritano i grossi veicoli con motore Diesel, ad esempio i SUV, che vediamo sempre più spesso in città (su questa moda devastante e diseducativa si legga alle pagine 66-67). Questi veicoli sono dotati di un filtro che dovrebbe ridurre le emissioni delle PM10, le micropolveri controllate per legge nelle città. In realtà, questi filtri fermano effettivamente le PM10, che, si noti, vengono espulse dopo essere state degradate a dimensioni molto più ridotte e, attenzione, più micidiali, ma «a norma di legge», nel senso che la legge tiene conto solo delle polveri PM10, che si fermano nelle prime vie aeree e vengono espulse con qualche colpo di tosse. Abbiamo visto che assai peggiori sono gli effetti delle polveri con granulometria più fine, delle quali la legge non prevede un controllo.
Purtroppo troviamo nanoparticelle anche negli alimenti (ad esempio, nelle farine, per effetto della macinatura industriale) e nei farmaci, dove vengono aggiunti talco o silicati come eccipienti delle pastiglie.
Altre nanoparticelle si possono trovare negli edifici, per effetto del degrado dell’intonaco dovuto al tempo, ma anche per il rilascio di fibre di amianto da parte di tubi di eternit, di pannelli interni e di linoleum, che, fino ad epoca relativamente recente, sono stati realizzati con questo pericolosissimo minerale (si legga MC, maggio 2007).
Per curiosità, ricordiamo anche certi dentifrici e alcune gomme da masticare, che dovrebbero ripulire i denti per effetto dell’aggiunta di abrasivi, i quali non sono altro che polvere di vetro.
I pericoli (taciuti) dell’incenerimento
Una nota a parte la meritano gli inceneritori di rifiuti ed, ancor più, i cosiddetti «termovalorizzatori» (si legga MC, marzo e giugno 2007), che più sono modei e più emettono nanopolveri. Sembra un paradosso, ma, per evitare, per quanto possibile, l’emissione di diossine, si tende ad aumentare la temperatura del foo, fino a mille gradi e più. Le alte temperature sono responsabili dell’emissione di grandi quantità di nanoparticelle, la cui composizione è la più disparata, potendosi trovare anche metalli pericolosi come il piombo, il mercurio, il cadmio, il cromo, ecc.
Tutte le volte che un manufatto di composizione eterogenea, come lo sono i rifiuti, viene incenerito ad alta temperatura, vengono emessi nell’aria i vari elementi che lo costituivano sotto forma di atomi non legati fra loro; questi ultimi possono di seguito riaggregarsi in modo disordinato sotto forma di leghe, che non troverete mai in un trattato di metallurgia, perché sono il frutto della combinazione casuale degli atomi.
Il fatto che agglomerati «strani» si possano trovare nell’aria e all’interno dell’organismo di persone, che abitano nei paraggi di un inceneritore consente di affermare, con sicurezza quasi assoluta, che tali nanoparticelle provengono dall’inceneritore, perché soltanto le alte temperature possono sintetizzare leghe casuali, che non sono biocompatibili né biodegradabili e non figurano tra gli inquinanti ricercati di norma nelle emissioni dell’inceneritore.
Parlando di nanopolveri prodotte dalle alte temperature, non bisogna dimenticare gli effetti dell’uranio impoverito, usato nelle munizioni delle armi modee e associato con gravi malattie non solo dei soldati, ma anche delle persone che vivono in aree di guerra o vicino ai poligoni militari.
L’uranio impoverito è un’arma formidabile, perché riesce a perforare anche le corazze più robuste per via della grande forza di penetrazione e del fatto che esplode a 3.000 gradi «polverizzando» i bersagli. È verosimile che le gravi malattie riscontrate siano determinate non solo dalle radiazioni dell’uranio, ma anche dalle nanopolveri, che entrano nell’organismo e determinano reazioni non del tutto prevedibili e, in ogni caso, sicuramente non benefiche.
L’uranio impoverito emette una modesta quantità di radiazioni alfa, che sono le più pericolose per l’organismo. Gli esperti dicono che basterebbe un foglio di carta per fermare queste radiazioni e che si potrebbe dormire tranquilli con un proiettile di uranio impoverito nel cassetto del comodino. Il fatto grave, però, è che dopo l’esplosione anche l’uranio si trova disperso nell’aria sotto forma di nanopolveri e può raggiungere il sangue e gli organi interni, dove le radiazioni possono fare danni non trovando nessuna barriera.
Tutta la questione che riguarda l’uranio impoverito è ancora oggetto di studio e le uniche tragiche certezze sono i tumori dei soldati e le malformazioni dei loro figli.
Tutto il discorso sulle nanopolveri dovrebbe indurre ad una attenta riflessione sulle attività dell’uomo, che sta devastando l’ambiente non solo con mezzi di distruzione, ma anche con lo sviluppo di tecnologie che tendono a produrre sempre di più e sempre più velocemente.
I costi della velocità
La velocità è la causa principale dell’inquinamento, sia per la necessità di maggiore energia, che per la notevole produzione di polveri.
E non si parla solo dei veicoli a motore. Una delle attività più antiche (e nobili) dell’uomo è la lavorazione del legno per la realizzazione di suppellettili e altri oggetti di uso comune, a volte di notevole pregio.
Il legno è il prodotto naturale per eccellenza; si potrebbe pensare che il falegname sia un lavoratore che non corre rischi a causa della sua attività. Invece stiamo osservando un numero crescente di tumori delle fosse nasali e dei seni paranasali, dovuti all’inalazione delle polveri di legno, che si sviluppano con l’uso di strumenti modei (e veloci) usati nella lavorazione. In questo caso, il progresso ha determinato un aumento della polvere sviluppata, che essendo sempre più fine ha potuto penetrare all’interno del corpo. I tumori dei falegnami sono molto invasivi e richiedono interventi chirurgici demolitivi e terapie radianti, che spesso interessano anche gli occhi, lasciando esiti molto gravi.
I lavoratori utilizzano molti strumenti, che oltre ad aiutarli nell’attività possono anche essere causa di infortuni, di malattie professionali e di inquinamento dell’ambiente non solo lavorativo.
A titolo di esempio, vogliamo descrivere due macchine che possiamo osservare nelle nostre città e che potrebbero dimostrare quanto possa essere pericoloso il cosiddetto «sviluppo tecnologico».
La prima è una sega circolare che taglia l’asfalto prima di iniziare a scavare nei cantieri. A parte il rumore assordante, lo sviluppo di polvere è impressionante e si tratta di polveri sicuramente pericolose: l’asfalto è fatto di catrame mescolato con pietrisco che, nella migliore delle ipotesi, è composto da silicati, ma potrebbe contenere anche amianto. La macchina dispone a volte di un piccolo getto d’acqua per abbattere le polveri, però l’acqua asciuga presto, la polvere resta nell’ambiente e viene sollevata dal traffico veicolare.
La seconda meriterebbe un premio per la follia: si tratta di un soffiatore portatile, che evita di usare la scopa per rimuovere le foglie cadute dagli alberi. L’addetto, provvisto di cuffie (per il rumore) e di mascherina, utilizza una specie di grande asciugacapelli con motore a scoppio, per spostare le foglie, sollevando nubi di polvere, facendo rumore e inquinando con le emissioni del motore, che, in genere, è un motore a due tempi, che brucia una miscela di benzina e olio ed è, di gran lunga, il motore più inquinante tra quelli a combustione intea.
Napoli e dintorni: disinformazione e colpe
Mentre scriviamo (gennaio 2008), tutti i media (anche inteazionali) parlano dell’emergenza rifiuti a Napoli… Fare informazione corretta è vitale per stimolare le amministrazioni ma anche i cittadini a fare molto di più contro l’inquinamento. Nella storia del pianeta noi siamo la prima generazione che respira un’aria diversa da quella della generazione precedente.
È fondamentale che l’informazione raggiunga anche i singoli individui e che venga trasmessa da genitori e insegnanti ai giovani, al fine di stimolare comportamenti finalizzati al risparmio energetico (coibentazione delle abitazioni, sostituzione delle vecchie lampadine con quelle fluorescenti, utilizzo ragionato degli elettrodomestici, utilizzo di fonti energetiche rinnovabili).
L’utilizzo dei mezzi di trasporto motorizzati dovrebbe essere limitato alle situazioni di stretta necessità; in molti posti si può andare a piedi o in bicicletta risparmiando soldi e preoccupazioni legate al traffico, alle code e ai parcheggi.
In Italia, la raccolta differenziata dei rifiuti è altamente insoddisfacente (si va dal 30 all’8 per cento!), forse perché richiede una grande collaborazione da parte di noi tutti. È possibile raggiungere percentuali molto elevate di materiale riutilizzabile separando in contenitori diversi i rifiuti organici, il vetro, la carta, la plastica, i metalli. Con un minimo di volontà ed attenzione è possibile raggiungere percentuali di raccolta differenziata che superano il 70%.
Se pensiamo che un inceneritore di rifiuti produce circa 350 chilogrammi di ceneri per ogni tonnellata di rifiuti prodotta, possiamo renderci conto che la raccolta differenziata può sostituire vantaggiosamente l’incenerimento con incomparabili vantaggi per la nostra salute.
Un inceneritore di media taglia, capace di trattare un migliaio di tonnellate di rifiuti al giorno, emette quotidianamente oltre 5 milioni di metri cubi di fumi.
Una moda devastante e diseducativa
L’invasione dei «SUV»
Dicembre 2007, «Dossier motori» de La Stampa: pagina 4 pubblicità SUV Honda; pagina 6 descrizione di un nuovo SUV Hummer; pagina 7 pubblicità SUV Citroën; pagina 21 pubblicità SUV Nissan; pagina 23 pubblicità SUV Suzuki; pagina 27 pubblicità SUV Jeep; pagina 33 pubblicità SUV Land Rover; pagina 47 descrizione del nuovo SUV Iveco.
Se un inserto di 52 pagine ne dedica così tante ai SUV, significa che siamo dinanzi ad un fenomeno rilevante, come d’altra parte dimostrano i dati delle vendite, da anni in continuo aumento. I SUV – letteralmente Sport Utility Vehicles – sono automobili pesanti, spesso con finiture di pregio, con una linea e, a volte, anche con un nome ed una immagine commerciale, che trasmettono l’idea di un atteggiamento minaccioso ed arrogante nei confronti delle altre vetture (ma – volendo dar credito alle asillanti pubblicità – rispettoso dell’ambiente e della natura!). Alcuni hanno paraurti alti, sporgenti e rinforzati, definiti bull bars (barre anti-bufali), che possono essere causa di gravi danni in caso di incidenti con altre vetture, ciclisti, pedoni.
Si direbbe che il guidatore di questi veicoli voglia presentarsi come un dominatore della strada, muscoloso, potente e, allo stesso tempo, elegante. Ha scritto il prof. Giampaolo Fabris: «Il SUV è un fuoristrada di lusso che consente all’automobilista di sentirsi padrone dell’asfalto. Di fare veramente tutto quello che vuole. Si può guidare comodamente in città, parcheggiare sui marciapiedi e, almeno con la fantasia, attraversare il deserto. Chi guida si sente protetto da una vettura considerata sicura, avvolto in un grande scudo protettivo. (…) L’impressione è di un maggior dominio sulla strada e nei confronti con gli altri automobilisti. Che si guardano letteralmente dall’alto in basso».
In realtà, un SUV è un veicolo che fa fatica a fare manovre banali, che si muove impacciato nelle vie strette, che non rispetta le precedenze e che, per parcheggiare, spesso sale sui marciapiedi.
Per quale motivo una persona che vive in città e non deve affrontare percorsi in savane o praterie, dovrebbe viaggiare su un veicolo con caratteristiche da fuoristrada di lusso? Per decenza, lasciamo perdere l’amore per la natura, anche se qualcuno (editoriale di Auto&fuoristrada, settembre 2006) tenta di metterla in poesia: «Siamo dei privilegiati: per noi è più facile mettere le ruote fuori dall’asfalto, con la gratificante sensazione di lasciarci alle spalle traffico, rumori, pensieri». Per semplicità, lasciamo perdere pure le ragioni di tipo socio-antropologico, anche perché, stando a quanto scrive un editoriale de La mia auto 4×4 (agosto 2007), «Ma chi sono i nuovi acquirenti di 4×4? Un po’ tutti».
La risposta più frequente (quella che, in teoria, consentirebbe di giustificare eticamente il possesso di un SUV) riguarda la volontà di viaggiare in sicurezza con la famiglia. Questi veicoli sono proprio così sicuri? Il Centro prove di Quattroruote, la fonte settoriale più autorevole d’ Italia, ha fatto dei test e, per quanto riguarda la tenuta di strada e la frenata, è giunto alla conclusione che il miglior SUV non riesce neanche ad eguagliare le prestazioni della peggiore berlina.
Il collaudatore di Quattroruote ha riferito che il comportamento di questi pesanti veicoli, che hanno un baricentro alto e pneumatici con fianchi alti e cedevoli, è spesso imprevedibile e non sempre facilmente controllabile dal conducente, soprattutto su fondo bagnato. Ne deriva che manovre improvvise, come quella di cercare di evitare un ostacolo imprevisto, possono portare anche al ribaltamento del veicolo. I ribaltamenti possono avvenire anche in caso di uscite di strada e di collisioni con ostacoli fissi, ad esempio i marciapiedi. Il ribaltamento è un tipo di incidente particolarmente pericoloso perché si associa spesso a gravi traumi della testa.
Oltre a non essere sicuri per gli occupanti, i SUV sono particolarmente pericolosi per gli altri utenti della strada, che non viaggiano su veicoli più pesanti: ad esempio, secondo Quattroruote, il guidatore di una berlina, che viene urtata lateralmente, ha una probabilità di perdere la vita 30 volte superiore se a urtarlo è un fuoristrada o un SUV. Bergamo, 26 dicembre 2007: «Tre persone, padre, madre e la loro figlia di 10 anni sono morte in un incidente stradale accaduto a Grumello del Monte (Bergamo). La loro auto, una Fiat Punto, è stata investita da un SUV Grand Cherokee guidato da un conducente ubriaco (italiano, ndr). Illeso il conducente del fuoristrada». Napoli, 1 gennaio 2008: «Stavano litigando sulla tangenziale di Napoli per un banale incidente, quando un SUV Bmw X5 è sopraggiunto e ha investito le auto ferme sulla strada. Il bilancio è drammatico: tre morti».
Premesso che ognuno è libero di comprare la vettura che più gli piace (mai vorremmo venire accusati di essere contro il «libero mercato», icona intangibile dei nostri giorni), viene da chiedersi cosa possiamo pensare di un guidatore cittadino o autostradale che ha un veicolo che pesa, consuma (una Porsche Cayenne fa in città 4,4 chilometri con un litro di benzina, secondo i dati ottimistici del costruttore) (1) e inquina il doppio di una normale vettura, confortevole, veloce, che ha meno probabilità di ribaltarsi e che tiene la strada e frena in condizioni di maggiore sicurezza.
Dipenderà dal fatto di guidare un’auto con i paraurti contro i bufali oppure di poter comprare (a 15.900 euro, sottocosto) un SUV cinese all’ipermercato (Corriere della sera, 19 e 24 dicembre 2007). Oppure, come si legge su www.suv.it, dipenderà dai sentimenti: «A cosa serve la Cayenne? A far invidia a chi è invidioso!».
Come scrive il già citato editoriale de La mia auto 4×4, «il mondo si muove sempre più in fretta». È vero. Peccato che si muova verso la follia più distruttiva (ed autodistruttiva).
(1) Una Volkswagen Touareg fa 4,4 chilometri con un litro; una Nissan Patrol 6,9 eccetera. I consumi ufficiali (già molto elevati) sono però ben distanti dalla realtà. Un’inchiesta del dicembre 2007 ha dimostrato che le case automobilistiche dichiarano consumi falsi, inferiori fino al 50% a quelli effettivi. Così facendo anche le norme relative alle categorie d’appartenenza (Euro 3, Euro 4, ecc.) perdono gran parte del loro significato.
Roberto Topino e Rosanna Novara