Incontri
Incontro con l’opposizione
«Il governo Ortega? Pura propaganda»
Nell’assemblea nazionale (unicamerale) a Managua abbiamo incontrato i capogruppo dei partiti dell’opposizione (52 deputati su un totale di 90). Abbiamo chiesto loro di spiegarci come vedono questo primo anno di governo sandinista. Il deputato Victor Hugo Tinoco dell’Mrs ci spiega che a suo parere ci sono due tendenze che caratterizzano il nuovo governo sandinista: «Da una parte, un’enfasi su alcuni aspetti sociali, che sono soltanto palliativi per la miseria, come ad esempio l’accesso all’educazione e alla salute. Dall’altra, vedo un processo di centralizzazione del potere attorno al presidente Ortega a discapito del potere dei cittadini in generale e delle istituzioni dello stato e dello stesso parlamento. Le contraddizioni di questo governo sono sul piano politico, tra autoritarismo e democrazia. Il governo sta seguendo la stessa logica del governo anteriore. Io credo che avrebbe perfettamente la possibilità di fare una riforma importante al bilancio nazionale 2008-2009, ma non lo fanno perché significherebbe rompere con la logica di intesa con il Fondo monetario internazionale».
Il bilancio nazionale 2008-2009 è un altro dei punti «criticabili», secondo l’opposizione. In questo – dicono – si percepisce la stessa logica dei 5 anni di governo Bolanõs: per il servizio del debito sono stati assegnati 298 milioni di dollari e per il programma «hambre cero» soltanto 15 milioni. D’altra parte, per affrontare l’emergenza nella zona atlantica ereditata dall’uragano Felix (settembre 2007), sono stati stanziati soltanto 6 milioni di dollari. Secondo stime delle Nazioni Unite, per far fronte alla sequenza di disastri dell’uragano e delle piogge delle settimane seguenti, ci vorrebbero intorno ai 400 milioni di dollari.
Incontriamo poi il capogruppo del Plc, Maximino Rodriguez. Parlandoci del primo anno di governo, Rodriguez spiega: «Il governo sandinista non ingrana e ha soltanto riempito di manifesti il territorio nazionale, come fa un qualsiasi tiranno con la sua fotografia e con un messaggio che dice: “Arriba los pobres del mundo” (in alto i poveri del mondo), ma i poveri non vivono di questi manifesti. Bisogna fare opere concrete per combattere la povertà».
Proseguendo la visita all’assemblea nazionale, incontriamo la deputata Maria Eugenia Sequeira, capogruppo della Aln. Lei assicura che con l’attuale governo ci sono stati soltanto cambi negativi. «In questo primo anno – dice -, si è sentito l’indebolimento del processo democratico, che abbiamo portato avanti negli ultimi 16 anni. Pur riconoscendo che il governo dell’Fsln ha una tendenza sociale, d’altra parte questo governo sta isolando il paese, favorendo soltanto le relazioni con il Venezuela. L’intenzione è quella di applicare un sistema politico di tipo chavista e mantenere il Nicaragua con un’alta dipendenza economica, sociale e politica da Caracas».
Incontro con il ministro dell’Agricoltura, Ariel Bucardo
«La sicurezza alimentare è la nostra priorità»
Signor ministro, qual è la struttura agraria del Nicaragua?
«Il Nicaragua è un paese di piccoli produttori. Noi contiamo quasi 200.000 produttori, ma appena 1.300 di loro sono grandi, cioè hanno più di 500 manzanas (una manzana equivale a 0,70 ettari, ndr). L’immensa maggioranza sono produttori con proprietà terriere che hanno tra 20 e 50 manzanas. Questo ci garantisce che, a dispetto di una tendenza verso la concentrazione delle terre, per il momento la distribuzione di questa è equilibrata in Nicaragua. D’altra parte, però, abbiamo un problema strutturale: un produttore di 500 manzanas in Nicaragua è meno ricco di un produttore delle stesse dimensioni del Salvador o del Costa Rica, questo succede per un problema di sviluppo tecnologico. In Nicaragua, con le tecnologie disponibili, un produttore di 500 manzanas produce le stesse quantità di un produttore di 100 manzanas in Salvador».
Quali sono stati i cambiamenti con il nuovo governo di Daniel Ortega in materia di sicurezza alimentare?
«È ancora troppo presto per parlare di cambi nella sicurezza alimentare. Abbiamo ricevuto l’eredità di un decennio e mezzo di neoliberismo: per fare dei cambi nella struttura del sistema alimentare nazionale c’è bisogno di più tempo. Quel che possiamo assicurare è che esistono politiche del nuovo governo che ci portano ad aspettare per il futuro una migliore possibilità di alimentazione della gente, soprattutto della famiglia contadina nicaraguense che è quella più povera. Negli ultimi 16 anni, si sono spesi in materia di lotta alla povertà quantità di risorse economiche, da una parte dal bilancio statale, dall’altra dalla cooperazione internazionale. L’impatto di queste misure è stato però negativo: ogni giorno i poveri sono diventati più poveri e i ricchi più ricchi. Questo vuol dire che tutte le risorse spese per questo obiettivo in qualche maniera sono tornate alle élites che avevano gestito la loro distribuzione. Oggi invece stiamo lavorando nella produzione di alimenti da parte delle stesse persone che poi li consumeranno, soprattutto nel settore rurale. Stiamo lavorando sul progetto “hambre cero” (fame zero), con l’obiettivo che la gente smetta di chiedere cibo, perché ci sono stati molti programmi contro la povertà che regalavano cibo. Questo ha fatto diventare gran parte delle famiglie contadine dipendenti e di conseguenza sempre più povere. In quest’ambito, stiamo consegnando beni d’investimento perché producano. La priorità del governo è la produzione alimentare, in primo luogo per i nicaraguensi, e soltanto successivamente per le esportazioni. Abbiamo cambiato radicalmente la concezione che avevano i governi anteriori, concezione che consisteva nel concentrare tutti gli sforzi produttivi per l’esportazione. Noi abbiamo scelto la via che ci porta a garantire la sicurezza alimentare nazionale».
Parlando di politica estera, in che fase dell’applicazione si trova il Trattato di libero commercio Usa-Centro America (Dr-Cafta)?
«Questo trattato commerciale ha ormai un anno di vigenza. Noi crediamo che avrà un impatto negativo nel futuro del paese e in particolare nel suo settore agricolo. Perché è un trattato che nasce in totale svantaggio con gli Stati Uniti. Il Nicaragua è un paese con tecnologie molto arretrate in confronto al paese nordamericano. Noi non abbiamo irrigazione né macchinari né strade; in compenso, abbiamo cronici black-out di energia elettrica. Inoltre, abbiamo una classe contadina quasi analfabeta. Dall’altro versante, gli Usa non solo posseggono tecnologie avanzate ma sussidiano i propri produttori. Ci piacerebbe un trattato commerciale in cui potessimo competere almeno in eguaglianza di condizioni. Ma non è questo il caso».
In questa situazione, che ruolo hanno gli accordi di associazione con l’Unione europea (Epas)?
«Questo tema è circondato da molte incognite. Noi aspiriamo ad avere buoni rapporti commerciali con l’Europa, ma non sono convinto che il mio paese sia in grado di avere i requisiti per entrare sul mercato europeo, perché l’Europa è uno dei maggiori protezionisti mondiali delle proprie produzioni agricole. Ci piacerebbe che questi trattati, se non ci accordano delle preferenze a livello commerciale, almeno ci consentano di partecipare in condizioni di eguaglianza, ovvero che si eliminino i sussidi ai prodotti europei, la protezione alle proprie produzioni e gli ostacoli non tariffari (ad esempio, il tipo di confezionamento, di imballaggio e altre esigenze a cui i piccoli produttori del Sud non sono in grado di adeguarsi, ndr). È un tema complesso. Ho avuto l’opportunità di incontrare funzionari dei governi europei e sembrerebbe che loro vogliano un’associazione tra Europa e Centroamerica che in futuro metta in condizione i paesi poveri di entrare nei mercati europei. E da qui deve partire la nostra grande sfida: i nostri produttori, cornoperative ed associazioni, smettano di essere soltanto fornitori di materie prime ai grandi consorzi inteazionali; essi debbono crescere ed attrezzarsi per trasformare la loro produzione in prodotti finiti, da poter commercializzare direttamente all’estero».
Abbiamo visto i rapporti con gli Stati Uniti e quelli con l’Unione europea. Ci rimane l’«Alteativa bolivariana per le Americhe» (Alba). Che ne pensa lei?
«È un’iniziativa nuova per noi. Speriamo che sia più di un accordo commerciale, che sia una politica orientata verso il commercio giusto, ma anche verso l’investimento giusto. Vogliamo sviluppare un’alleanza strategica in cui è la solidarietà a muovere gli interessi di queste nazioni povere e non la competizione, l’opportunismo economico, come succede con i trattati commerciali classici. L’intenzione è di creare alleanze in cui possiamo vederci come una sola nazione con un trattamento egualitario, è una dinamica che stiamo già vedendo concretizzarsi sulla tematica del petrolio venezuelano, che sta arrivando al Nicaragua e la metà del pagamento di questo rimane nel paese per 25 anni, perché si investa nell’agricoltura, nell’allevamento e nell’industria, che sono i nostri punti deboli. Io vedo l’Alba non unicamente dal punto di vista politico-ideologico, ma come un’opportunità di relazioni più eque dal punto di vista commerciale, finanziario e della produzione, che aiutino i nostri popoli a progredire con un po’ più di eguaglianza».
José Carlos Bonino