Ogni crimine, ogni delitto, ogni omicidio è sempre un episodio sconvolgente, che dovrebbe far inorridire la coscienza di ciascuno. Tuttavia, quando a commettere un delitto sono dei rom, sembra che il crimine diventi particolarmente odioso e l’assassino si trasforma in un mostro da sbattere in prima pagina. I fatti di novembre, accaduti in una degradata periferia di Roma, sono lì a dimostrarlo.
Gli zingari (siano essi rom o sinti) da secoli sono discriminati ed emarginati, la loro semplice apparizione in un qualsiasi comune o borgata delle nostre città, scatena una repulsione immediata per la fama poco onorevole che li accompagna. Nell’immaginario collettivo essi sono visti come ladri o, peggio, rapitori di bambini, ma quello che sconcerta ancora di più è che i rom non sembrano preoccuparsi di questa nomea che si sono procurati con alcuni loro atteggiamenti ripugnanti come il furto o il mandare i bambini ad elemosinare lungo le strade, allontanando un difficile ma non impossibile inserimento nella nostra società. Nel passato molti governanti hanno tentato di porre soluzione al problema degli zingari, attraverso delle leggi che costantemente li mettevano al bando. Hitler, unitamente agli ebrei, attuò la soluzione finale anche nei loro confronti. La sconfitta del nazismo evitò che questo criminale disegno si compisse, ma è amaro scoprire, visitando i vari campi di sterminio, che ci sono lapidi e cippi a ricordo di tutte le vittime dei popoli soggiogati dal nazismo, ma stranamente non c’è nessun ricordo che faccia memoria delle migliaia di vittime del popolo zingaro.
Non è certamente facile il dialogo con chi vive ai margini della società e della legge. Tuttavia, in una società multietnica e multiculturale come quella europea, non si può pensare di erigere mura che separano o ghettizzano, ma deve essere un punto centrale delle istituzioni cercare di costruire ponti che favoriscano la conoscenza ed il dialogo reciproco. La comunità cristiana (al contrario del circostante mondo «celtico-padano» che invoca «soluzioni forti» nei confronti dei rom) ha il dovere di percorrere queste strade.
D iverso il discorso relativo ai rumeni. Il fatto che la Romania sia entrata a far parte dell’Unione europea, li pone nella condizione di potersi muovere senza nessun problema all’interno degli stati membri. In Italia essi sono già la prima comunità straniera e, purtroppo, stando alle statistiche, anche la prima comunità per numero di reati. Il fatto che il presidente rumeno Calin Popescu Tariceanu, dopo i fatti di Roma si sia affrettato a venire in Italia (lo scorso 7 novembre) a discutere con Prodi i problemi legati alle relazioni tra i due paesi, la dice lunga sulla posta in gioco. Se la presenza dei rumeni in Italia ha raggiunto cifre ragguardevoli, garantendo attraverso le rimesse degli emigranti entrate sostanziose al bilancio rumeno, va anche tenuto presente che sono oltre 20.000 le imprese italiane operanti in Romania.
Il cammino dell’integrazione è difficile da percorrere, soprattutto tenendo conto che chi ha vissuto per anni sotto il tallone di Ceausescu ha sviluppato un senso di rifiuto per le leggi e questo ha portato a una forma mentis collettiva che relativizza di molto i principi morali. Tutto ciò non per giustificare chi delinque, ma per comprendere che alla base di tutto c’è il bisogno immenso di costruire non solo la nostra cortese tolleranza, ma un cammino pedagogico di formazione delle coscienze a cui tutti sono chiamati e in modo particolare il mondo istituzionale.
Alla luce di questi fatti, possiamo dire che la presenza del male nel mondo va contrastata vivendo fino in fondo la logica del Vangelo, e forse è il caso di ricordare che esso si basa sull’amore e non sull’odio, sull’accoglienza e non sul rifiuto dell’altro. Chiunque esso sia.
Mario Bandera