Ai pellegrini non s’ha da dire
Incontro con don Nandino Capovilla (Pax Christi)
L’occupazione non esiste. I problemi nemmeno.
La disinformazione sul conflitto non risparmia i pellegrini che si recano in Terra Santa. Quanto al turismo, non deve lasciare neanche le briciole ai palestinesi. A tutto ciò si è ribellato un prete che ha detto «basta» e che ha iniziato ad organizzare pellegrinaggi «alternativi». Questa è la storia della sua sfida.
La Palestina è sotto assedio da sessant’anni, ma dopo gli accordi (fallimentari) di Oslo, nel 2003, la situazione è precipitata, anziché migliorare.
I pellegrini che affollano i luoghi santi della cristianità non s’accorgono della tragedia in cui il popolo palestinese è costretto a vivere a causa di una delle occupazioni più spietate della storia: quella israeliana.
La gestione dei «pellegrinaggi in Terra Santa», una volta fonte di sussistenza per tanti palestinesi a Betlemme, Gerusalemme e in altre città, da alcuni anni è esclusivo appannaggio di aziende israeliane, emanazione del ministero del turismo.
Ne abbiamo parlato con don Nandino Capovilla, parroco a Murano e referente di Pax Christi per i «pellegrinaggi di giustizia».
Don Nandino, da un paio di anni Pax Christi organizza i «Pellegrinaggi di giustizia». Di che si tratta?
«Sono pellegrinaggi “alternativi” a quelli tradizionali organizzati dalle grandi agenzie israeliane, i cui manuali raccontano che si tratta di viaggi “spirituali” e non “politici”».
In pratica, il «buon pellegrino» non deve accorgersi che la Cisgiordania è assediata e spezzettata dal muro di separazione e che i cristiani, come i musulmani, vivono in condizioni drammatiche?
«Esatto. Chi si reca in Palestina non deve vedere cosa accade ai palestinesi, non deve porsi domande, non deve studiare quella che gli organizzatori definiscono eufemisticamente “complessa situazione politica”. A Betlemme non si può sostare neanche una notte, perché in questo modo si utilizzerebbero le risorse palestinesi, e il governo israeliano non lo vuole. Le strutture palestinesi vengono bypassate. Al pellegrino viene nascosta la mastodontica situazione di occupazione. Il muro, che ormai è molto ben visibile, viene giustificato con la necessità della “sicurezza”. Viene raccontato che è stato costruito anche per proteggere i turisti, i pellegrini, dagli attentati terroristici dei palestinesi».
Come sono promossi i pellegrinaggi tradizionali?
«Emissari del ministero del turismo israeliano si recano nelle varie diocesi italiane e offrono “pacchetti di pellegrinaggi” in Terra Santa, comprensivi di alberghi e pullman israeliani. Nel “kit del pellegrino” è inclusa una cartina geografica dove la Palestina non esiste. La Cisgiordania e Gaza non esistono. Ci sono solo la Galilea e la Samaria e i nomi riportati sono quelli biblici. La maggior parte del tempo viene trascorso nei territori israeliani».
E i vostri pellegrinaggi in cosa si distinguono?
«Noi facciamo il contrario: i nostri pellegrini incontrano i palestinesi, cristiani e musulmani. Ogni sera vengono organizzati incontri con testimoni, associazioni, realtà palestinesi.
Come per i pellegrinaggi “tradizionali”, anche noi iniziamo il percorso da Nazareth, ma poi ci spostiamo nei villaggi del ’48 distrutti da Israele. Queste visite creano subito un forte impatto, fanno riflettere. Poi proseguiamo per Qalqiliya, Aboud, Taibe…».
Com’è iniziato questo vostro progetto «alternativo» e indubbiamente coraggioso?
«Nel 2002, durante i giorni dell’assedio dell’esercito israeliano alla Basilica della Natività. Non riuscivo più a sopportare quella situazione, quelle notizie. Ho iniziato a recarmi in Palestina con AssoPace e con il presidio del Medical Relief di Nablus. Nel 2004 sono tornato con alcune persone di Pax Christi. Quell’anno abbiamo prodotto il video Né muri né silenzi. A quel punto, Pax Christi mi ha affidato l’incarico di strutturare programmi di viaggi e di tenere le relazioni con la Palestina.
Ero stufo di vedere tutti quegli autobus che scaricavano turisti o pellegrini davanti alle basiliche cristiane palestinesi, persone che non avrebbero mai conosciuto la vera realtà della popolazione, cristiana e musulmana. Così, ho iniziato a proporre periodici pellegrinaggi “di giustizia”.
Ciò che ci porta in Palestina è il desiderio di vedere e capire quanto sta accadendo in questa terra, la Terra Santa, méta di migliaia di pellegrini da tutto il mondo con il solo desiderio di visitare i luoghi sacri della cristianità.
Li vediamo giungere a gruppi numerosissimi e su autobus con targa israeliana, passare velocemente i controlli ai check point e altrettanto velocemente procedere verso quella che sembra la loro unica méta.
Allora, ci viene spontaneo domandarci come sia possibile andare in Palestina senza prendere consapevolezza di quello che sta accadendo. Per questo motivo per noi è importante sforzarci di osservare e denunciare un’ingiustizia così evidente».
I media spesso denunciano le persecuzioni dei cristiani ad opera dei musulmani in Terra Santa. Qual è la sua opinione?
«Musulmani e cristiani condividono la stessa tragedia e sono uniti nella sofferenza e nella lotta contro l’occupazione, sono entrambi vittime di un’aggressione tra le più scandalose di tutta la storia umana.
I rapporti tra di loro sono buoni. I cristiani affrontano le difficoltà tipiche delle minoranze: rappresentano il 2% della popolazione palestinese. Quanto alle persecuzioni, sono gli stessi cristiani, preti, suore, vescovi, che ci chiedono di smentire queste voci che aiutano molto Israele, come tutta la disinformazione sul conflitto israelo-palestinese.
Queste notizie, smentite dai diretti interessati, sono funzionali allo scontro di civiltà tra islam e cristianesimo, e certamente all’occupazione israeliana che cerca di spaccare l’unità tra cristiani e musulmani in Palestina. I media enfatizzano molto piccoli episodi, seppur tragici, come, ad esempio, l’assassinio del cristiano evangelico a Gaza, lo scorso ottobre. Tutto va ad alimentare la propaganda e distoglie l’attenzione dalle operazioni dell’esercito israeliano».
Gerusalemme Est sta perdendo le proprie caratteristiche arabe, cristiane e musulmane: gli scavi sotto la «Spianata delle moschee» stanno procedendo indisturbati, nel silenzio o nel disinteresse internazionale. I palestinesi musulmani non possono pregare nella splendida Moschea di al-Aqsa (terzo luogo santo per l’islam, dopo quelli di Mecca e Medina) e «patrimonio architettonico dell’umanità», e i cristiani fanno fatica a entrare nella basilica del Santo sepolcro. Che futuro prevede?
«È probabile che gli israeliani si impossesseranno di tutta la città, ma benché potente, lo stato di Israele non potrà eliminare tutti i palestinesi, cristiani e musulmani, dalla faccia di Gerusalemme.
L’anno scorso abbiamo organizzato una sorta di protesta contro il tentativo di cancellare l’identità palestinese da parte di Israele: abbiamo sepolto di cartoline un nostro amico, un anziano leader del movimento nonviolento gerusalemita. Nell’intestazione abbiamo scritto “Palestina” e non “Israele”. Gliene abbiamo spedite da tutta l’Italia, tantissime. Ebbene, i postini hanno cancellato la parola “Palestine” e l’hanno sostituita con “Israel”».
Angela Lano