Reportage da uno «stato canaglia»

Viaggio nella repubblica islamica (1a puntata)

Come si vive in Iran? Le donne sono oppresse? Teheran prepara armi nucleari per bombardare Israele e l’Europa? Tutto questo corrisponde a verità oppure attorno alla Repubblica islamica c’è soprattutto molta (interessata) propaganda? Angela Lano ha incontrato autorità
e gente comune. Questo è il suo reportage (fuori dai luoghi comuni).

Teheran, giugno 2007. Atterriamo in un enorme aeroporto, pulito e ordinato. Quasi un biglietto da visita della Repubblica islamica dell’Iran.
Fuori, il traffico è caotico: una miriade di auto, nuovissime e vecchie, lussuose e sgangherate, viaggiano a singhiozzo nella metropoli da 12 milioni di abitanti.
Ci colpisce subito un elemento del paesaggio: le donne sono avvolte nei chador neri, i lunghi mantelli che dal capo scendono fino ai piedi, avvolgendo tutto il corpo. È un dettaglio che impressiona, perché, all’apparenza, fornisce un aspetto «omologante» della presenza femminile nel paese.
Impareremo, nei giorni successivi, che è meglio non giudicare una civiltà dai metri o centimetri di stoffa che indossa o non indossa la popolazione: il 35% dei parlamentari iraniani è donna. Uno dei quattro vice-presidenti (c’è anche un sunnita) è donna. Il 60% degli studenti universitari (la percentuale più alta del mondo) è donna. Molte sono le signore in carriera: top manager, docenti, medici, ingegneri, giornaliste, ecc. E questo, nonostante il chador. I paragoni con l’Italia di vallettopoli e di velinopoli – dove la carriera la si fa solo se si è «sufficientemente scoperte» – sono immediati.
Qua e là, a dir il vero, incontreremo anche tante donne con un semplice foulard colorato che copre la testa e in abbigliamento elegantissimo o moderno.
La città ci appare frenetica, immensa nei suoi innumerevoli quartieri e giganteschi caseggiati. Nell’ora di auto, dall’aeroporto al residence nella collina elegante di Teheran dove alloggiamo, scorrono di fronte a noi paesaggi urbani molto diversi: da quelli più popolari alle aree ricche della borghesia medio-alta iraniana. I contrasti tra zone nuove e belle e quelle povere è ancora molto forte, acuito dal continuo flusso di persone che dalle province desertiche o montane si stabiliscono nella megalopoli persiana. Notevole è anche la presenza di immigrati giunti dall’Afghanistan, dal Pakistan e dall’Iraq.
Nelle strade, dovunque, giganteggiano le fotografie del defunto imam Khomeini, di cui, in questi giorni, si celebra il 18° anniversario della morte (3 giugno 1989).

La retorica di «Ahmy»:
è vero pericolo?

Entriamo nel compound della presidenza iraniana: è un quartiere vero e proprio, con molti edifici, chiuso da cancellate, guardiole, checkpoint. Lasciamo borse, zaini, macchine fotografiche e quant’altro, in un posto di polizia. Veniamo perquisiti: le donne entrano da un ingresso, gli uomini da un altro. Da una nostra tasca esce una bottiglia d’acqua: siamo invitati a bee un sorso, per provare che non contenga liquidi pericolosi (anche nei nostri aeroporti è vietato portarsi dietro bottigliette con liquidi). Le penne vengono smontate e rimontate, per verificare che non siano  piccoli ordigni.
Alla fine, riusciamo a salire al terzo piano e ad accedere a una sala congressi enorme e bella. È affollata di giornalisti, membri di associazioni, delegazioni inteazionali, politici.
Il presidente Mahmoud Ahmedinejad entra di lì a poco, tutti balzano in piedi e lo accolgono con l’inno nazionale. È in tenuta casual, informale. Saluta con sorrisi. Ha un’aria popolare, molto poco chic.
«La rivoluzione iraniana è stata una salvezza per il popolo iraniano – arringa subito il pubblico, apparentemente già ben disposto -, ma anche per il resto dell’umanità: un esempio di giustizia e liberazione. La Repubblica islamica dell’Iran appartiene a tutte le nazioni libere, non è solo del popolo iraniano. Noi lottiamo per la dignità e la liberazione dei paesi oppressi, contro il sionismo, contro il razzismo, il marxismo, l’apartheid e l’amministrazione criminale statunitense».
La sua è una retorica che mescola populismo, messianismo politico-religioso, guevarismo zapatista e altro ancora, a tratti ridondante, a tratti coinvolgente. Molti la amano, altri la odiano o la sopportano con fatica.
 «L’imam Khomeini – aggiunge Ahmedinejad – è stato un perfetto successore del profeta Muhammad: credeva che la fede in Dio fosse sufficiente per cambiare il mondo. Il suo messaggio è universale, senza confini e barriere linguistiche, culturali, religiose. Riteneva che tutte le forze dovessero unirsi per sconfiggere gli oppressi del mondo – dal nord al sudamerica, dalla Palestina ai popoli africani. Rispettava la dignità di tutti: riteneva che gli esseri umani non debbano essere umiliati, oppressi  dai poteri coloniali.
Credeva nel potere dei popoli: quando una nazione è risoluta, nessun potere può sconfiggerla. E così che accade all’Iran».
Ahmedinejad fa poi un riferimento alla Palestina, questione molto sentita in Iran: «Il regime sionista non vale nulla: anche se sostenuto dai potenti della terra, non potrà vincere se i palestinesi hanno fiducia in Dio. Il conto alla rovescia del regime sionista è iniziato. Ormai in tanti sono stufi di questa situazione di oppressione mondiale: in molti stanno cercando giustizia e purezza. Loro, i potenti, possono ferire, uccidere, ma il popolo lotta e va avanti come in Libano, in Palestina e in altri paesi. Dobbiamo credere in Dio e marciare avanti: la distruzione dei “tradizionali” poteri è molto vicina».
I delegati di Siria, Palestina, Libano, India, Pakistan, di alcuni stati africani, del Venezuela lo acclamano dedicando a lui, a Khomeini e all’Iran interventi entusiastici, da «liberatori degli oppressi». L’inviato indiano sottolinea che «la rivoluzione iraniana è stata pacifica e senza spargimento di sangue».
La Siria si definisce «orgogliosa di essere considerata alleata della Repubblica islamica d’Iran», mentre il rappresentante pakistano enfatizza «la necessità dell’unione dei “fratelli musulmani” sotto la bandiera dell’Iran per “lottare contro le occupazioni straniere”. Il governo iraniano deve guidare questa rivoluzione per gli sciiti e i sunniti insieme».
Caloroso l’abbraccio tra l’inviato del presidente venezuelano Hugo Chavez e Ahmedinejad: «La vittoria della rivoluzione islamica è un esempio per tutti i popoli oppressi. Il Venezuela crede che il popolo d’Iran avrà successo nella sua lotta contro l’oppressione statunitense».
Insomma, retorica arabo-islamica-terzomondista a parte, sembra che «Ahmy» faccia paura prevalentemente all’Occidente ricco e neo-colonialista.
Khomeini:
cominciò tutto con lui

La settimana del nostro viaggio cade durante le grandi celebrazioni per la morte di Ruhollah Khomeini (1). Gli organizzatori del nostro soggiorno iraniano ci portano al Mausoleo dell’imam, a qualche chilometro a sud della città.
Una folla immensa, oceanica riempie la moschea – un’enorme costruzione di ferro e cemento, semiaperta. Anche qui, il servizio di controllo è massiccio. Le donne sembrano un oceano nero che ondeggia seguendo il ritmo della preghiera.
Le parole dell’ayatollah Khamenei, dal palco, rimbalzano da un lato all’altro delle colonne in cemento armato e legno, mentre da un maxischermo troneggia la sua figura. I suoi sono proclami religiosi e nazionalisti. Sollecita l’unità della popolazione contro il comune “nemico”. Forte è il richiamo identitario. I cittadini-fedeli gli rispondono di tanto in tanto con un’invocazione di lode a Dio, al profeta Muhammad e ad Ali (cugino e genero).
Una giovane donna del servizio d’ordine si avvicina per chiederci se siamo comode e se va tutto bene. Se girasse per le nostre piazze, la scambieremmo per una suora: chador nero sovrapposto a copricapo bianco che le incoicia il viso, bellissimo e dall’espressione molto decisa. Anche le mani sono nascoste da guanti neri.
Al centro della moschea-open space c’è un parallelepipedo verde, di vetro, con all’interno la tomba di Khomeini, oggetto di pellegrinaggio e di venerazione.
Nel pomeriggio, visitiamo la cittadella dell’Imam: un quartiere popolare e collinare, che ospita la casa dei suoi ultimi anni di vita, collegata alla moschea con un ponticello. Poi entriamo nell’ospedale per le malattie cardiache (dove Khomeini venne ricoverato e dove spirò) e un museo.
Gli amici iraniani tengono a farci notare che il loro leader, nonostante l’importanza politica che rivestiva e il ruolo, decise di vivere in due modeste stanze, in mezzo al popolo. Nel suo salotto-ingresso riceveva capi di Stato e delegazioni straniere. Casa e moschea sono ben lontane dal lusso spettacolare che contraddistingue i palazzi degli shah Pahlavi, insediati sull’antico trono di Persia da Gran Bretagna prima e Stati Uniti dopo.
Il museo fotografico, che ripercorre la vita di Khomeini, e l’annessa libreria, dove regalano testi sull’islam, trattati religiosi e di politica internazionale da lui scritti, costituiscono un centro di propaganda per la popolazione, soprattutto giovanile, e per eventuali turisti.
Lasciamo il quartiere e dopo poco ci troviamo ad attraversare la via più lunga e elegante di Teheran, costeggiata da alberi, palazzi lussuosi con banche, negozi, residenze, ristoranti alla moda, giorniellerie, boutique.
Una delle tante e interessanti contraddizioni di questa metropoli mediorientale.

Una «fatwa»
contro le atomiche

Siamo in un lussuoso hotel, eredità dei tempi dello shah, seduti in un bel salotto orientale, sfarzosamente arredato con velluti, lampadari dorati, tavolini pregiati e altre raffinatezze. Stiamo aspettando di cenare con le delegazioni straniere presenti in questa settimana di celebrazioni.
Hassan, un ingegnere che ha studiato in Italia, ci «disvela» l’enigma del nucleare iraniano.
«Non ci interessa la bomba atomica. Vogliamo usare il nucleare per scopi civili. Ne abbiamo ben il diritto. I risultati delle nostre ricerche vengono sfruttati nel campo della medicina e in altri settori scientifici. Si curano molte malattie con la medicina nucleare, si eseguono diagnosi, si crea energia elettrica. Inoltre, per alterare le caratteristiche di molti metalli, c’è bisogno di arricchimento nucleare.
Diciamolo: questa non è una lotta per la “sicurezza mondiale”, ma per il predominio economico. Se noi non fossimo in contrasto “ideologico” con gli Stati Uniti, nessuno ci direbbe nulla. I giornali occidentali non continuerebbero a pubblicare quotidiana disinformazione e propaganda sul nostro conto.
Israele, India, Pakistan, a differenza dell’Iran, possiedono bombe nucleari e non hanno mai firmato il Tnp, il “Trattato di non proliferazione nucleare”.
Fino a qualche tempo fa, avevamo messo in moto circa 3 mila centrifughe nucleari. Arriveremo a 60 mila. Avremo la possibilità di costruire bombe, tuttavia, ciò che voi non sapete è che è stata emanata una fatwa, un consulto giuridico islamico, che vieta di produrre atomiche. Khomeini ce lo ha sempre ripetuto».

L’Iran nucleare
ha firmato il Trattato

In un dossier divulgativo, Peaceful Application of Nuclear Science and Technology in Islamic Republic of Iran, che mi consegnerà nei giorni successivi il direttore di una testata giornalistica iraniana, si legge: «A causa del forte impatto della scienza e della tecnologia nucleare sugli indicatori scientifici, economici e sociali, e per lo sviluppo in generale, la Repubblica islamica dell’Iran è determinata ad aprirsi la strada attraverso il tortuoso sentirnero dell’uso pacifico di questa tecnologia».
Nel dossier si legge: «Al momento, la Repubblica islamica dell’Iran ha focalizzato il programma nucleare principalmente su queste basi: 1) reattori nucleari per generare elettricità. (…) Da un lato, lo sviluppo degli standard di vita e il miglioramento degli indicatori dell’economia hanno creato un incremento della domanda di energia nei settori domestici e industriali. Dall’altro, l’economia nazionale è dipendente dalle rimesse del petrolio (…) la Repubblica islamica dell’Iran non può contare, per la propria energia, soltanto sulle foiture dai combustibili fossili (…), e questo per i seguenti motivi: le risorse sono limitate; inquinano; fanno lievitare il prezzo delle produzioni industriali».
Le altre basi sono: 2) reattori nucleari per la ricerca medico-scientifica-diagnostica; 3) combustibile nucleare; 4) sviluppo nucleare nel campo della medicina, dell’industria e dell’agricoltura.
Nella relazione si evidenzia, inoltre, che l’Iran «è tra i primi ad aver firmato lo statuto dell’Aiea (l’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite per l’energia atomica), di cui è membro. Come tale, ne condivide gli obiettivi e i principi. Inoltre, l’Iran è tra i primi Paesi ad aver approvato, nel 1970, il Trattato di Non proliferazione Nucleare (Tnp).
Agli inizi del XXI secolo, a causa della propaganda sbagliata e falsa di alcuni gruppi di opposizione, le attività nucleari, per scopi pacifici, dell’Iran nel campo dell’arricchimento e del ciclo del combustibile nucleare, sono state mostrate come segrete e contrarie agli standard e ai principi inteazionali. Tuttavia, nonostante quanto dichiara la propaganda, esse sono sottoposte alla supervisione dell’Aiea e del Tnp».
L’Iran ha sempre ribadito la propria disponibilità a cornoperare con l’Agenzia e ad aprire ai controlli i propri siti. Mohammed el-Baradei, direttore generale dell’Aiea, a gennaio del 2006 dichiarò: «Nessuna prova che l’Iran prepari l’atomica».
Ciononostante, la propaganda politico-mediatica degli Usa e dei giornali occidentali – tra questi, dei quotidiani nazionali italiani – incalza.
Questa primavera, un’armata americana è stata radunata davanti alle coste iraniane. Il tamburo della prossima folle guerra di rapina sta risuonando minaccioso.
(fine 1.a puntata – continua)

Di Angela Lano


(1) Ayatollah Ruhollah Mosavi Kho­meini: nato nel maggio del 1902 e morto il 3 giugno del 1989. È stato leader politico e religioso dell’Iran dal 1979 al 1989, dopo la rivoluzione che rovesciò il regime dello shah Reza Pahlavi. Suo successore è l’Ayatollah Ali Khamenei.

Angela Lano

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