Un «necrologio» appassionato
Il 29 giugno scorso, con la benedizione del vescovo ausiliare di Westminster e vari discorsi di circostanza ha chiuso i battenti il Missionary Institute di Londra. Iniziativa unica nel suo genere, per quasi quarant’anni il MIL ha continuato a ripetere profeticamente ciò che oggi appare sempre più evidente e necessario: la missione bisogna imparare a farla e a viverla insieme.
Scrivendo queste poche righe di «commemorazione» per il Missionary Institute London (MIL), mi rendo conto di ubbidire essenzialmente a un’esigenza personale: considerare ancora viva e importante un’esperienza di formazione che ha occupato quattro irripetibili anni della mia vita come missionario della Consolata. Penso anche – anzi, ne sono quasi sicuro – di interpretare il sentimento dei tanti confratelli, ora sparsi a servire il Regno di Dio nei quattro angoli della terra, che al MIL hanno studiato o insegnato, alimentando uno scambio di sapere che per 40 anni ha contribuito a tenere in piedi un’istituzione unica nel suo genere, esempio di collaborazione e condivisione fra forze missionarie e laboratorio di evangelizzazione per futuri agenti della missione. Un tempo breve e intenso, giunto al suo termine il 29 giugno scorso quando una toccante cerimonia di commiato ne ha decretato il precoce pensionamento.
Oggi il MIL non c’è più. I suoi locali hanno chiuso e saranno presto riconvertiti in qualcosa di differente. «Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo», scriveva l’autore del libro dell’Ecclesiaste, frase che ben si adatta allo spirito missionario, fatto di dinamismo e continue ripartenze. Sono spariti i contorni della campagna inglese che ne facevano da coice, ma resta attuale l’ideale che aveva portato alla fondazione di questa «università della missione», un ideale che continua a vivere in altre istituzioni che da questa esperienza hanno tratto ispirazione e che in altre parti del mondo ne continuano a trasmettere il messaggio.
Ci si conosceva tutti al MIL; innanzi tutto perché si era in pochi: circa 150 studenti provenienti di volta in volta da una trentina di paesi diversi. Ma anche perché, al di là dell’impegno accademico, molte erano le occasioni di aggregazione fra studenti, insegnanti e staff. Fra queste ultime spiccavano i 30 minuti di intervallo, curiosamente previsti dopo la prima ora di lezione, in cui si aveva modo di socializzare, parlare del più e del meno o terminare, allargando la platea dei partecipanti, la discussione di classe che la fine dell’ora aveva lasciato in sospeso. Mezzora in cui si creava un ambiente propizio allo scambio, all’integrazione e al dialogo. L’atmosfera del MIL, che tutti ricordano e apprezzarono, era il frutto di una scelta ben precisa: dar vita a un esperimento di collaborazione e comunione fra forze missionarie come strumento imprescindibile della missione evangelizzatrice della chiesa. Il MIL, infatti, è stato frutto dello sforzo congiunto di sette istituti missionari (Missionari d’Africa, di Mill Hill, della Consolata, Comboniani, dello Spirito Santo, della Società per le Missioni Africane e del Verbo Divino) che, per rispondere all’esigenza di offrire ai propri studenti una formazione in linea con il loro carisma, si sono riuniti in consorzio dando vita a un ateneo orientato interamente alla missione.
LE RADICI
Vari motivi di differente natura hanno concorso, verso la metà degli anni ’60, alla fondazione della nuova istituzione accademica. La prima ragione era di ordine essenzialmente pratico. In quel periodo, infatti, esistevano a poca distanza l’uno dall’altro due grossi seminari appartenenti ad altrettante congregazioni missionarie: la Società di San Giuseppe per le missioni estere (Mill Hill Missionaries) e i Missionari d’Africa, altrimenti conosciuti come Padri Bianchi. I primi, di fondazione locale, avevano la loro Casa madre e seminario nell’imponente struttura del St. Joseph College, dominante la zona di Mill Hill, nella parte settentrionale di Londra. I secondi, avevano invece acquistato, nel 1958, i locali e il terreno dell’ ex-orfanotrofio di St. Edwards, nella confinante area di Totteridge, con l’intenzione di trasformarlo in un seminario e centro di studi per i loro studenti.
È stata la collaborazione iniziale di queste due istituzioni, fatta di scambi di locali e di personale docente, che ha fatto scaturire l’idea di fondare una scuola di teologia dove la missione potesse permeare tutte le aree della formazione accademica. Un’esigenza, questa, avvertita anche da altri istituti missionari che, poco alla volta, si unirono con entusiasmo all’iniziativa.
C’è, però, una seconda ragione più profonda e più prettamente teologica che portò all’inizio di questa nuova apertura accademica che si concretizzò, finalmente, nella fondazione del Missionary Institute. Nel 1965, a conclusione del Concilio Vaticano II venne pubblicato il decreto Ad Gentes, sull’attività missionaria della chiesa. Il documento, guardando alla vastità dell’opera missionaria da compiere, mise l’accento sulle nuove sfide della missione e, in modo speciale, sulla responsabilità della chiesa locale nel lavoro di evangelizzazione. Il documento auspicava che detto lavoro venisse portato avanti da persone adeguatamente formate e capaci di investire risorse nello studio teologico, filosofico e culturale delle chiese da evangelizzare. Il documento, inoltre, invitava tutti gli agenti della missione ad utilizzare al meglio le risorse umane e materiali disponibili, promuovendo sforzi congiunti che dovevano portare alla costituzione di opere e strumenti comuni al servizio dell’evangelizzazione. In modo particolare, si evidenziavano alcuni ambiti di azione, quali quello accademico, pastorale-catechetico e di comunicazione sociale.
Ai primi tentativi avviati dalle due sopraccitate congregazioni, che porterà nel settembre del 1967 a dar vita a un unico programma accademico, seguirà la partecipazione degli altri istituti che progressivamente si insedieranno nella zona e offriranno studenti e personale docente alla nuova iniziativa. Nel 1968, con l’approvazione ufficiale della «Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles» e della «Sacra congregazione per l’evangelizzazione dei popoli» nasce ufficialmente il Missionary Institute of London a cui, attraverso la «Sacra congregazione per l’educazione cattolica» verrà dato il potere di conferire diplomi e certificati accademici.
A partire dall’anno accademico 1972-1973, il MIL si affilia e inizia un lungo rapporto di collaborazione con l’Università di Lovanio, in Belgio, una delle più antiche e prestigiose università cattoliche del mondo. È grazie a questo accordo che gli studenti del Missionary Institute possono accedere al programma di «Baccalaureato in Sacra Teologia» e, in seguito, al titolo di «Master in Scienze Religiose».
Nel 1994, infine, il MIL ottiene l’affiliazione alla Middlesex University di Londra, un ateneo di recente costituzione che aveva avuto uno sviluppo rapido e costante nel mondo accademico britannico. Tra le sue iniziative più interessanti poteva vantare un prestigioso istituto di filosofia e di studi religiosi. L’impegno con la Middlesex permise al MIL quel collegamento con il mondo universitario inglese che ancora gli mancava per poter attirare fra le sue fila un numero maggiore di studenti laici. Frutto di quell’accordo fu l’istituzione di corsi triennali per il conseguimento di una laurea breve in missiologia e, soprattutto, un programma di studi superiori (master) in varie aree della missione quali giustizia e pace, etica e società, evangelizzazione e spiritualità missionaria. La partecipazione a questi programmi di specializzazione di studenti con una significativa esperienza missionaria alle spalle ha garantito al MIL un apprezzamento incondizionato del mondo accademico ed ecclesiastico inglese.
UNO STILE DIFFERENTE
Uno dei problemi più sentiti dalla nuova istituzione fu, da subito, quello di garantire un certo equilibrio fra una formazione accademica tradizionale, che rispondesse ai requisiti obbligatori che qualsiasi università pontificia richiede ai candidati al sacerdozio, e il carattere squisitamente missionario che si voleva dare ai corsi del MIL. L’ideale perseguito è sempre stato quello di fare della missione il «minimo comun denominatore» dell’intera formazione accademica. Da un lato si ebbe cura di introdurre nel piano di studi corsi, sia fondamentali che elettivi, di natura spiccatamente missionaria, quali: teologia della missione, antropologia culturale e sociale, etnologia, teologia delle religioni, islamismo, religioni tradizionali africane, economia e sviluppo nel mondo contemporaneo. Dall’altro, e ben più importante, si cercò di dare a tutto l’insegnamento accademico, soprattutto ai corsi fondamentali (teologia sistematica, Sacra Scrittura, liturgia) un taglio particolare che fosse spiccatamente orientato alla missione, cercando di superare la tendenza a «occidentalizzare» troppo lo stile dell’insegnamento. Questo secondo obbiettivo, a onor del vero, non sempre è stato raggiunto in maniera sufficiente. Ci si è dovuti accontentare della sensibilità missionaria e della voglia di condividere l’esperienza maturata sul campo di alcuni insegnanti, nonché del contributo offerto dagli studenti (spesso attraverso le loro domande interessate) che avevano avuto una qualche esperienza di missione come parte del loro cammino formativo. Soltanto verso la fine degli anni ’80 il MIL iniziò a ricevere insegnanti provenienti da paesi del Sud del mondo disposti a dare un insegnamento ad ampio raggio che fosse in grado di tener conto della voce e delle teologie del Terzo Mondo. Il primo in assoluto fu un missionario della Consolata, il mozambicano padre Felipe Couto, successivamente rettore dell’Università cattolica del Mozambico e attualmente rettore dell’Università nazionale di Maputo.
Sempre a quel tempo risale l’iniziativa di invitare docenti di importanti centri accademici del Sud del mondo affinché condividessero i frutti delle loro ricerche con studenti e colleghi del MIL.
Grande attenzione venne anche posta sulla dimensione pastorale della missione. Sebbene gli aspetti formativi fossero lasciati ai singoli seminari, uno degli obbiettivi fondamentali del MIL è sempre stato quello di garantire ai propri studenti la possibilità di integrare in maniera costruttiva l’ambito accademico con quello più squisitamente pastorale, con una spiccata preferenza per l’approccio contestuale tipico delle teologie emergenti nel Sud del mondo. Molti corsi erano costruiti come veri e propri seminari in modo da poter raccogliere l’esperienza diretta degli studenti, facendola diventare così parte integrante della materia insegnata. Per esempio, la tesi finale del Diploma in missiologia, conferito attraverso il MIL dalla Middlesex University era volutamente impostata come un lavoro di sintesi basato su un’esperienza pastorale continuativa e significativa di almeno due anni. Guidato da un tutor scelto fra il personale docente e da un responsabile della struttura dove svolgeva il suo servizio pastorale, lo studente veniva invitato a riflettere teologicamente su un contesto ben preciso di cui doveva descrivere dettagliatamente le caratteristiche e sottolineare pregi e difetti del lavoro pastorale che veniva svolto. La seguente lettura biblico-teologica doveva poi guidarlo a suggerire linee d’azione più efficaci e nuove prospettive. In questo modo, lo studente non solo «studiava» teologia ma, cosa ben più importante, imparava a «fare» teologia. Grazie a questo approccio, impostato sul metodo del «vedere-giudicare-agire», molti responsabili di varie istituzioni caritative o pastorali hanno trovato il modo di poter analizzare e rinnovare le loro politiche di intervento sul territorio e sulle persone.
A questo riguardo, Londra ha rappresentato un terreno ricco di opportunità: il suo carattere di metropoli multietnica ha sempre favorito innumerevoli possibilità di lavoro pastorale significativo: tra i migranti, i senza fissa dimora, i carcerati, i malati di Aids. In svariate occasioni è stato possibile collaborare con organizzazioni non governative operanti nei settori della cooperazione e di giustizia e pace. Molte parrocchie si sono avvalse della presenza degli studenti del MIL che, oltre ad offrire il loro contributo nelle varie attività, hanno rappresentato una voce critica e, attraverso le loro ricerche, hanno fornito dati utili per meglio impostare il lavoro di evangelizzazione e assistenza caritativa. Inoltre, grazie alla presenza sul territorio di una maggioranza di persone di fede anglicana e di moltissimi cristiani di altre denominazioni, Londra si è sempre rivelata un palcoscenico unico per quanto riguarda il dialogo ecumenico e interreligioso.
Di tutta questa abbondanza il MIL si è arricchito, creando con la città un proficuo scambio di sapere. Dalla realtà si auspicava prendesse spunto la ricerca; dalla ricerca si attingevano gli strumenti per una missione efficace e consapevole della realtà.
Dal 29 di giugno tutto questo non esiste più. Motivi di varia natura hanno portato gli istituti missionari che più avevano investito nell’iniziativa in termini di studenti e personale docente a ritirarsi progressivamente sino a chiudere con questa esperienza. Dopo l’affiliazione con la Middlesex University erano state manifestate alcune difficoltà incontrate a livello di programmi accademici e di orari poco compatibili con la routine di un seminario. Ma le ragioni principali sono state economiche (Londra è purtroppo una città molto cara per mantenere una comunità di seminaristi) e formative (la maggioranza dei candidati di tutte le congregazioni viene ormai da paesi del Sud del mondo e si ritiene più opportuno investire in strutture accademiche più vicine alla terra d’origine). A queste difficoltà, purtroppo, non ha fatto riscontro la sperata partecipazione dei laici, accorsi in numero inferiore alle attese e insufficiente a coprire i costi di gestione dell’università.
La storia del MIL continua a vivere in altre esperienze. Oggi, per esempio, il Tangaza College di Nairobi (un’iniziativa congiunta di vari istituti missionari) continua a sostenere l’idea fondamentale che la missione attuale o la si fa insieme o non riesce a trovare le forze sufficienti per poter avere un impatto significativo sulla realtà. Al Missionary Institute questo sogno è stato inseguito con tutte le forze. Accademicamente, si è cercato di promuovere un lavoro interdisciplinare di insieme, fatto con la partecipazione e grazie all’esperienza di tutti. A livello di aggregazione si è cercato insistentemente di favorire tutte quelle attività che potessero unire, approfittando della ricchezza umana e culturale di ciascuno: dalle celebrazioni liturgiche ad avvenimenti sportivi, culturali e di festa.
Sarò forse apologetico e certamente di parte, ma mi sembra che, dando uno sguardo alla complessità del mondo attuale e della missione che ad esso si rivolge, la strada imboccata dal MIL è quella da continuare a perseguire.
Ugo Pozzoli