Cosa mangiamo? (1a puntata)
È triste dirlo, ma circa la metà della frutta e un quarto della verdura in commercio sono contaminati. I pesticidi contenuti nei prodotti che consumiamo producono danni, anche molto gravi, alla nostra salute. Che fare? In primis, essere informati. E poi agire di conseguenza. Nella speranza che il futuro ci porti un’agricoltura più biologica e meno dominata dalle regole del mercato.
Stiamo facendo la spesa nel reparto ortofrutta di un grande ipermercato di Torino e, come tutti, facciamo il confronto tra i diversi prezzi. All’improvviso, la nostra attenzione viene attirata dai cartelli di certe varietà di frutta, tra cui due diversi tipi di banane, pompelmi, arance di Valencia, fichi, limoni. Nei cartelli in questione, oltre il prezzo, alla provenienza, al nome della varietà del frutto e al numero per la pesata leggiamo la frase: «Trattato con…», seguita da sigle come TBZ, E232, E904, oppure da nomi come tiabendazolo, imazalil, ortofenilfenolo. Molto interessante… o inquietante, dipende dal punto di vista. Già perché queste sigle e questi nomi appartengono ad alcuni fra gli antiparassitari (in questo caso, fungicidi) comunemente usati in agricoltura. Diamo un’occhiata ai cartelli delle altre varietà di frutta e verdure, ma non troviamo altre indicazioni di questo tipo, tranne quelle ordinarie. In particolare non ci sono indicazioni sull’uso di antiparassitari per alcun prodotto di provenienza italiana, se non per i limoni. La domanda che ci sorge spontanea è: «Ma questi prodotti non sono trattati, o il trattamento non è dichiarato?».
Le analisi sui prodotti:
una conferma nero su bianco
Per provare a darci una risposta, abbiamo esaminato l’ultimo rapporto di Legambiente – Pesticidi nel piatto 2007 – relativo alle analisi condotte nelle varie regioni italiane su campioni di frutta e di verdura, da parte dei laboratori di Istituti zooprofilattici, di Arpa, di Direzioni generali Sanità, di presidi di prevenzione delle Asl. Questo rapporto si riferisce ai dati raccolti nel 2006 dalle analisi condotte su 10.493 campioni ortofrutticoli e sui loro derivati quali olio, vino, ecc. È anzitutto opportuno dire che i controlli sono stati eseguiti dalle varie regioni in modo disomogeneo, per quanto riguarda il numero delle analisi svolte, con regioni che ne hanno effettuato un elevato numero, come il Lazio (1256) o la Campania (706), altre con un numero di analisi intermedio come il Piemonte (450), altre ancora con poche analisi effettuate come la Valle d’Aosta (60) o addirittura nessuna, come il Molise. Ciò che risulta subito evidente dai risultati di queste analisi, nonché dal loro confronto con i dati dell’anno precedente, è che nelle regioni con un più elevato numero di controlli è più alto il numero dei campioni irregolari o regolari, ma multiresiduo, rispetto alle altre regioni, ma questo risultato è solo dovuto alla maggiore accuratezza dei controlli e non ad un maggiore uso di pesticidi. In queste analisi sono stati considerati irregolari i campioni con superamento dei limiti di legge per la concentrazione del residuo chimico o con presenza di pesticidi non autorizzati, mentre i campioni regolari multiresiduo sono quelli regolari per le concentrazioni o il tipo di pesticidi, ma con presenza di più residui contemporaneamente.
Dall’analisi dei dati 2007 osserviamo in primo luogo che, rispetto a quelli del 2006, c’è un lieve miglioramento per quanto riguarda il numero totale di analisi compiute e per il ritrovamento di campioni irregolari di verdura e di frutta, nonché di regolari multiresiduo, mentre nelle voci «derivati» e «varie» è aumentato leggermente il numero di campioni regolari con un solo residuo e di quelli multiresiduo. Sostanzialmente da questo insieme di dati emerge che la frutta presenta più residui di pesticidi della verdura; infatti solo la metà dei campioni di frutta è esente da fitofarmaci, mentre l’1,7% è risultata irregolare. Inoltre, se consideriamo in particolare qualche tipo di frutta di larghissimo consumo, come le mele, ci accorgiamo che solo il 39% è esente da pesticidi, il 30% ha più di un residuo e il 3,6% è irregolare. Del resto, anche in assenza di indicazioni sui pesticidi nel cartello, quante volte ci è capitato di vedere sulle mele (specialmente quelle rosse) una patina biancastra, polverosa e leggermente untuosa al tatto? Molto spesso, a conti fatti, tra i campioni regolari di frutta, ma multiresiduo ci sono casi sorprendenti, ad esempio: un campione di pere con 7 residui e di uno di fragole con 8, entrambi trovati in Sicilia. Per le verdure le cose vanno un poco meglio, perché la percentuale di campioni senza residui sale all’84,2%. È da notare che tra i derivati della frutta che risultano contaminati da residui di fitofarmaci, in percentuale del 20%, oltre ad olio e vino troviamo marmellate, miele, succhi di frutta ed omogeneizzati, cioè prodotti largamente consumati dai bambini.
I principi attivi più frequentemente ritrovati nei vari campioni, anche se non tutte le regioni hanno dichiarato i nomi dei fitofarmaci rinvenuti, sono: captano, carbofuran, chlorpirifos, cyprodinil, diclofluamide, dimetornato, ditiocarbammati, endosulfan, fenitrotion, guazatina, imazalil, malathion, metalaxil, procimidone, propargite, tiobendazolo, tolclofos-metile. Queste sostanze, a seconda del tipo, funzionano come anticrittogamici, insetticidi, fungicidi, molluschicidi, rodenticidi, acaricidi ed erbicidi e rientrano in un lunghissimo elenco di circa 70.000 prodotti chimici diversi presenti attualmente sul mercato, secondo i dati della Fao. Inoltre, sempre secondo questi dati, ogni anno sono immessi sul mercato circa 1.500 nuovi prodotti. Per quanto riguarda la classe chimica di appartenenza troviamo composti cloroderivati, organofosfati, carbammati e piretroidi. Le sostanze appena citate sono quelle attualmente e legalmente in uso, i cui limiti massimi di residui (LMR) nei prodotti alimentari sono regolati con una direttiva europea, che si traduce in decreto ministeriale. La normativa è aggiornata periodicamente, in seguito all’introduzione di nuovi principi attivi oppure alla scoperta di effetti dovuti all’utilizzo dei fitofarmaci o alla esposizione ai medesimi. Con periodicità quinquennale anche i prodotti già in commercio vengono rivalutati ed i dati tossicologici aggioati. Le strutture preposte alla registrazione dei fitofarmaci possono richiedere alle industrie produttrici i dati relativi a studi tossicologici, ecotossicologici e di destino ambientale. In Italia i residui dei pesticidi sui prodotti ortofrutticoli sono raffrontati con dei limiti di legge calcolati sulla pericolosità delle sostanze attive.
Donne e bambini
i soggetti più a rischio
Secondo i risultati delle ricerche condotte in numerose Università sui possibili effetti dei pesticidi sui bambini, tali limiti andrebbero però rivisti, poiché attualmente essi si riferiscono all’organismo umano maschio adulto, mentre è sicuramente necessario un adeguamento all’organismo di donne e di bambini. Ad esempio in alcuni studi su bambini sono stati evidenziati rischi di disfunzioni dell’apparato riproduttore come malformazioni del tratto urogenitale maschile, neoplasie del testicolo in età adolescenziale ed una diminuzione della qualità del seme. Queste patologie sembrano correlate all’esposizione a composti in grado di svolgere un’azione di disturbo di tipo ormonale, che può causare problemi di sviluppo. Composti di questo tipo vengono definiti Endocrine Disrupting Chemicals (EDC) e molti di loro sono pesticidi.
La ricerca condotta dalla professoressa Brenda Eskenazi dell’Università di Berkeley (Califoia) ha dimostrato che i neonati possono essere da 65 a 164 volte più sensibili ad alcuni antiparassitari come il Chlorpirifos o il Diazinon, rispetto agli adulti.
Anche i pediatri del Mount Sinai Hospital di New York hanno riscontrato una maggiore sensibilità dei bambini ai pesticidi, rispetto agli adulti, con conseguenti danni non solo al sistema endocrino, ma anche a quello nervoso ed a quello immunitario. In particolare questi studiosi hanno raccolto prove che l’esposizione del feto agli antiparassitari organofosfati conduce alla nascita di bambini con una minore circonferenza cranica ed un rischio di deficit intellettivo.
Una conferma a questi dati si ha da uno studio condotto da Greenpeace India su 899 bambini delle regioni indiane a maggiore uso di pesticidi, cioè quelle dove sono presenti le piantagioni di cotone. I risultati ottenuti sono stati paragonati con quelli di bambini viventi in regioni non contaminate. I bambini, divisi in due gruppi di 4-5 anni e di 9-13 anni, presentavano tutti analoghe caratteristiche familiari ed ambientali in modo da evitare differenze dovute al trattamento, all’istruzione ed alle condizioni economiche, che avrebbero potuto influenzare il test. Il risultato ha dato un punteggio inferiore del 30% nel gruppo di 4-5 anni e del 21% tra quelli di 9-13 anni, rispettivamente, in un test di memoria nei bambini esposti ai pesticidi, rispetto ai controlli. I pesticidi più usati in queste regioni sono quelli organofoforici (in particolare methil-parathion e monocrotophos, classificati dall’OMS come estremamente dannosi), che agiscono sul sistema nervoso centrale, in quanto bloccano l’attività dell’acetilcolinesterasi, un enzima che inibisce l’attività dell’acetilcolina, uno dei principali neurotrasmettitori del sistema nervoso. Il blocco di questo enzima è di tale gravità che nei lavoratori, in cui si è verificata un’intossicazione acuta da pesticidi organofosfati, si sono avute convulsioni, problemi respiratori (in qualche caso mortali) oppure invalidità permanente, come nel caso della neuropatia ritardata, caratterizzata da paralisi flaccida della muscolatura degli arti inferiori, che insorge improvvisamente a 2-3 settimane di distanza dell’episodio acuto.
Studi svolti con procedimenti analoghi sia in Italia, in provincia di Siena, sia negli Stati Uniti dall’Università di Seattle, in cui sono stati analizzati campioni di urina di bambini esposti ai pesticidi organoclorurati hanno mostrato nel primo caso che le concentrazioni di metaboliti alchilsolfati era significativamente maggiore nei bambini, rispetto a quanto osservato in un precedente campione di adulti, abitanti nella stessa zona, anche se l’esposizione era da riferire più all’uso domestico di insetticidi che alla dieta; nel caso di Seattle si è scoperto che nei bambini, che consumavano abitualmente frutta e verdure biologiche, la concentrazione degli alchilsolfati era sei volte inferiore, rispetto a quella dei bambini alimentati convenzionalmente.
Dal momento che è ormai appurato che l’assunzione di pesticidi organofosfati per via diretta con l’alimentazione o indiretta, attraverso la placenta, può alterare lo sviluppo del sistema nervoso centrale, l’EPA (Environmental Protection Agency) ha messo in relazione il vertiginoso aumento delle patologie comportamentali, decisamente aumentate negli ultimi anni in USA, anche con l’aumento dell’assunzione di questi composti.
A seguito dei risultati di studi come quelli sopracitati, il National Research Council (NRC) dell’Accademia nazionale delle scienze di Washington suggerisce che le procedure per la valutazione del rischio sulla salute dei fitofarmaci siano condotte, prendendo come modello l’organismo di una bambina (per la maggiore sensibilità agli effetti dei pesticidi sugli organi riproduttivi) nella fascia d’età compresa tra 0 anni e la pubertà, cioè quella più sensibile.
La maggiore sensibilità dei bambini ai pesticidi, rispetto all’organismo adulto è dovuta all’immaturità dell’azione disintossicante del fegato nella giovane età.
La questione
del «multiresiduo»
Un altro problema che si pone nella definizione dei limiti di legge per i pesticidi residui negli alimenti è quello del multiresiduo. Attualmente i limiti della dose di residuo sono calcolati sull’organismo adulto e per un singolo principio attivo, quindi questo modello non tiene conto dell’eventuale sinergismo di più composti. Tuttavia c’è un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Ue, il 396/2005, secondo il quale si dovrebbe finalmente tenere conto del multiresiduo ed inoltre i limiti massimi dovranno essere uniformati in tutta l’Unione europea.
È importantissimo non sottovalutare i rischi associati all’uso di fungicidi, in particolare dei ditiocarbammati, come il mancozeb ed il maneb, considerati a bassa tossicità, perché tali composti vengono rapidamente metabolizzati nell’organismo e nell’ambiente, con la formazione di etilentiourea (ETU), un metabolita molto tossico, che ad alte dosi è teratogeno per il feto dei mammiferi ed inoltre è un potente tireostatico, cioè interferisce con lo sviluppo della tiroide e degli ormoni tiroidei, che sono importantissimi per la maturazione del cervello. Studi sperimentali sui roditori esposti ai ditiocarbammati hanno mostrato danni neurologici simili a quelli presenti nel morbo di Parkinson.
Tra i vari danni portati alla salute umana dai pesticidi ci sono poi quelli dei pesticidi ad azione ormonale, cioè quelli appartenenti alla categoria degli Endocrine Disrupting Chemicals (EDC), ai quali abbiamo già accennato prima, parlando degli studi compiuti sui bambini. Si tratta di composti in grado d’interferire con la normale regolazione ormonale di un organismo, secondo diversi meccanismi: alcuni sono in grado di formare un complesso ormone-recettore; altri interferiscono nei meccanismi di produzione o di eliminazione di un ormone; altri ancora stimolano la formazione di recettori di superficie per determinati ormoni; ci sono infine quelli che reagiscono direttamente o indirettamente con un ormone, alterandone la struttura o la sintesi. Di solito questi composti presentano un’elevata solubilità nei lipidi, quindi tendono ad accumularsi nel tessuto adiposo degli esseri viventi, il che non comporta problemi fisiologici fino a quando non cominciano dei processi di mobilizzazione dei grassi, come avviene ad esempio nel momento della riproduzione. In questo caso tali sostanze vengono liberate dal tessuto adiposo e metabolizzate, con conseguente formazione di altri composti, che possono avere un’azione ormonale. Un altro aspetto fondamentale è l’accumulo di questi composti nei diversi livelli della catena alimentare (biomagnificazione o concentrazione attraverso la catena alimentare), per cui animali predatori, che si trovano al vertice di questa catena presentano la più alta concentrazione di composti lipofili. Tra questi organismi c’è anche l’uomo. Una delle classi di composti che meglio corrisponde a queste caratteristiche è quella dei pesticidi organoclorurati, cioè contenenti cloro, tra cui abbiamo i dicloro-difeniletani (Ddt, Dde, Ddd, ecc.), i cicloesani ed i ciclodieni. Molti di questi composti sono attualmente vietati o molto limitati nell’uso, ma continuano ad essere presenti nell’ambiente, perché accumulati negli esseri viventi grazie al processo di bioaccumulazione. Questo processo è favorito dalla presenza di atomi di alogeno (come il cloro) nella catena di idrocarburo (carbonio più idrogeno). Gli alogeni introdotti negli idrocarburi ne diminuiscono l’idrosolubilità e ne aumentano la liposolubilità. Ecco il motivo della loro presenza nel tessuto adiposo. Il capostipite di questi composti è l’insetticida Ddt o Dicloro-difenil-tricloroetano, una molecola caratterizzata da due anelli benzenici e da 5 atomi di cloro. A dimostrazione della potenzialità di questi composti si può citare l’incidente avvenuto nel 1980 nel lago Apopka in Florida, dove venne riversata dalla Tower Chemical Company, un’azienda produttrice di clorobenzilati, una miscela di dicolfolo, DDT e DDE. In seguito nella popolazione di alligatori del lago sono state evidenziate anomalie endocrine di vario tipo, tra cui emergevano la demasculinizzazione degli alligatori maschi e la superfemminilizzazione delle femmine, questo per via di una concentrazione di estrogeni doppia del normale in questi organismi. Pesticidi di questo tipo si comportano a tutti gli effetti come estrogeno-mimetici. La presenza di pesticidi organoclorurati è stata inoltre correlata alla diminuzione ed alla scomparsa di alcune specie di rane in parchi e riserve naturali in Canada.
A livello umano, questi pesticidi sono stati associati alla comparsa di patologie come l’endometriosi, che colpisce circa 80 milioni di donne al mondo, senza distinzioni etniche o sociali. Oltre a questo nelle donne causerebbero infertilità, aborti e parti prematuri, nonché malformazioni fetali. Analoghi problemi d’infertilità si sono sviluppati anche nell’uomo.
Uno degli aspetti più temibili di questi composti è la possibile associazione, come suggerito da alcuni recenti studi (anche se non tutti gli studiosi convergono su questo punto), tra i composti organoclorurati e l’insorgenza del cancro della mammella, una delle principali cause di morte per tumore nella donna, essendo le altre il carcinoma del polmone e del collo dell’utero (quest’ultimo ad eziologia virale, da Hpv). Il tumore della mammella esiste infatti in due varietà, estrogeno-dipendente ed estrogeno-indipendente; è chiaro che lo sviluppo del primo tipo è strettamente correlato alla presenza di estrogeni nell’organismo.
I pesticidi illegali
Finora ci siamo occupati quasi esclusivamente degli effetti di pesticidi legalmente in uso, ma non dobbiamo dimenticare che nell’ambiente sono ancora presenti (in parte per bioaccumulazione, in parte perché tuttora alcuni vengono adoperati nei paesi in via di sviluppo) dei pesticidi appartenenti ad un gruppo di composti definiti POP (Persistent Organic Pollutants). Tali composti sono stati messi al bando il 17 maggio 2004 dalla Convenzione di Stoccolma e sono: DDT, aldrina e dieldrina, clordano, endrina, toxaphene, eptacloro, PCB, murex, esaclorobenzene, diossine e furani. A parte diossine, furani e PCB, tutti gli altri sono pesticidi. La Convenzione di Stoccolma ne vieta la fabbricazione, l’impiego ed il commercio e prevede anche l’obbligo di allestire un inventario dei depositi di materiali contaminati da POP e di smaltie le scorie in modo ecologico. Nonostante queste restrizioni, il rapporto di Legambiente del 2004 mette in luce la presenza di DDT in Italia, specialmente in Emilia-Romagna, Liguria, Sardegna, Marche e Lazio. Ciò può essere dovuto al fatto che il DDT può viaggiare negli strati caldi dell’atmosfera, per condensare e precipitare a terra quando incontra aria più fredda, quindi non solo ha la capacità di persistere a lungo, ma anche di arrivare molto lontano dal luogo di utilizzo (nel mondo viene ancora adoperato nei paesi dove la malaria è endemica). Inoltre nelle serre e nei sistemi di coltivazione al chiuso si usa spesso terriccio, probabilmente contaminato, proveniente dai paesi dell’Est.
Che fare?
Toando al nostro dubbio iniziale sulla presenza o meno di residui di pesticidi sui prodotti ortofrutticoli, in assenza di indicazioni, è chiaro dai risultati dell’indagine di Legambiente che la metà della frutta ed un quarto della verdura risultano contaminati. Che fare quindi, dal momento che qualcosa bisogna pur mangiare? Senza farsi prendere dal panico, forse è sufficiente fare delle scelte ragionate al momento dell’acquisto, rivolgendosi il più possibile ai prodotti da agricoltura biologica, che sono sottoposti a maggiori controlli. Ormai in parecchi supermercati si trova l’angolo dedicato a questi prodotti. In loro mancanza, vale sempre il buon vecchio metodo del lavaggio molto accurato della verdura e della frutta. Quest’ultima poi andrebbe sempre sbucciata, magari asportando anche un po’ di polpa, dal momento che i pesticidi si concentrano nella buccia e nello strati immediatamente sottostante. Inoltre è sempre meglio leggere attentamente gli ingredienti e le informazioni riportati nell’etichetta dei cibi confezionati. Ove possibile poi, sarebbe opportuno servirsi dei prodotti del commercio equo e solidale, anche se in qualche caso possono essere più cari. Questo commercio può aiutare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, paesi dove l’uso indiscriminato di pesticidi e lo sfruttamento delle multinazionali stanno causando delle gravi emergenze sociali.
(fine 1.a puntata – continua)
Il glossario
Alogeni: sono il fluoro, il cloro, il bromo, lo iodio e l’astato e sono gli elementi del VII gruppo del sistema periodico. Sono non-metalli, energici ossidanti e molto reattivi, che si combinano facilmente con gli elementi del I gruppo del sistema periodico (metalli), dando origine a dei sali.
Anticrittogamici: sostanze chimiche attive contro le crittogame parassite delle piante coltivate. Per crittogame si intendono le piante senza fiore, contrapposte alle piante fanerogame o con fiore. In agricoltura la lotta viene condotta quasi esclusivamente contro un tipo di crittogame, cioè i funghi e, a seconda dell’azione, gli anticrittogamici vengono definiti come fungicidi, quando uccidono i funghi; fungistatici, quando ne ostacolano lo sviluppo; antisporulanti, quando interferiscono con la sua moltiplicazione. Gli anticrittogamici si dividono inoltre in esofarmaci, se esercitano la loro azione sulla superficie dei vegetali ed in endofarmaci, se penetrano nei tessuti interni. Di solito i primi hanno un’azione preventiva e gli altri curativa, nei confronti delle infezioni. Infine gli anticrittogamici possono essere inorganici (a base di rame, di zolfo o di polisolfuri), oppure organici (carbammati, derivati del fenolo, dicarbossimidi, ammine, ammidi, diazine, eterociclici diversi, aloidrocarburi).
Azione detossicante del fegato: tra le sue molteplici attività, il fegato svolge la funzione detossicante, ovvero le sue cellule (epatociti) provvedono ad eliminare dal sangue le sostanze tossiche per l’organismo (tra cui ad es. l’alcornol etilico).
Composti inorganici: composti chimici privi di carbonio nella loro molecola, appartenenti al regno minerale.
Composti organici: composti chimici contenenti carbonio nella loro molecola e caratterizzanti la materia vivente.
Diserbanti o erbicidi: sostanze che distruggono le erbe infestanti o ne impediscono lo sviluppo in modo selettivo o non selettivo. L’azione fitotossica dei diserbanti può riguardare la struttura dei tessuti (causticazione, coagulazione del materiale cellulare, ecc.) o i meccanismi biologici del vegetale (alterazione del metabolismo di alcune sostanze, dei meccanismi ormonali, ecc.). Un erbicida può avere tempi di degradazione molto brevi, o permanere a lungo inalterato nel terreno, a seconda delle sue caratteristiche chimiche, fisiche, biologiche, nonché delle condizioni ambientali e delle caratteristiche del suolo. Ogni specie coltivata tollera la presenza di residui di ciascun diserbante solo se la concentrazione non supera un determinato valore, detto soglia di tollerabilità della specie verso un certo erbicida. I diserbanti sono classificati in: fenossiderivati, derivati degli ossiacidi aromatici o dell’acido ftalico, derivati degli acidi aromatici o dell’acido benzoico, derivati degli acidi grassi, nitroderivati o nitrocomposti, benzonitrili, carbammati, derivati dell’urea, ammidi, triazine o loro derivati, dipiridilici, diazine, piridine, pirimidine, derivati diversi.
Edc (Endocrine disrupting chemicals): composti chimici con azione di disturbo sul sistema endocrino, cioè sull’attività ormonale.
Endometriosi: patologia cronica femminile caratterizzata dall’anomala presenza di endometrio, cioè mucosa uterina, in altre sedi come ovaie, tube, peritoneo o intestino. Conseguenze di questa anomalia sono sanguinamenti interni, infiammazioni croniche, presenza di tessuto cicatriziale, aderenze ed infertilità. L’endometriosi è spesso dolorosa e può diventare invalidante.
Epa (Environmental protection agency): agenzia di protezione ambientale statunitense.
Fitofarmaci: composti chimici naturali o sintetici usati in agricoltura per combattere i parassiti e le malattie delle piante, per proteggere le colture da tutti gli agenti dannosi (non necessariamente parassiti, come erbe infestanti o alghe) e per il miglioramento della produttività. I fitofarmaci vengono distinti in varie classi: fisiofarmaci, usati per il controllo delle alterazioni fisiologiche da cause varie; fitoregolatori, capaci di modificare il normale sviluppo delle piante, in modo da ottenere rendimenti anomali, ma economicamente vantaggiosi, oltre che di controllare le alterazioni fisiologiche; fertilizzanti fogliari, impiegati per curare le malattie da carenze nutrizionali; erbicidi, per eliminare le erbe infestanti (vedi sopra); antiparassitari, per eliminare organismi vegetali o animali dannosi per le colture; anticrittogamici (vedi sopra).
Insetticidi: composti chimici in grado di eliminare gli insetti dannosi alle colture, alle derrate alimentari, agli animali domestici ed all’uomo. La loro tossicità, che può essere acuta o cronica, impone la necessità di stabilire i valori di ADI (acceptable daily intake) cioè le dosi giornaliere accettabili, che influenzano anche i valori limite dei residui di insetticidi ammessi per es. negli alimenti. Gli insetticidi sono classificati in:
• cloroderivati, cioè composti organici di sintesi, contenenti in prevalenza cloro, usati anche come anticrittogamici (cloropicrina). Sono distinti in derivati del difeniletano (DDT, DDD, ecc.), del cicloesano (esaclorocicloesano, lindano, ecc.), e ciclodienici (endosulfan, eptacloro, clordano, aldrin, dieldrin, ecc.);
• composti organofosforici: sono composti organici, contenenti fosforo, agenti in modo polivalente nei confronti degli insetti, degli acari e dei nematodi (vermi). Alcuni di questi sono usati per disinfestare le derrate alimentari o il terreno. Si distinguono in fosfati (dichlorvos), tiofosfati (paratione), ditiofosfati (dimetornato), fosfonati (trichlorphon), ditiofosfonati (fonophos);
• carbammati: composti di tipo alcaloide, distinti in monometilcarbammati (carbaryl, carbofuran) e dimetilcarbammati (isolan), usati come geodisinfestanti, disinfestanti del bestiame e delle abitazioni;
• piretroidi, neonicotinoidi, rotenoidi: insetticidi di origine vegetale, facilmente biodegradabili, ma che spesso presentano problemi di tossicità.
Metaboliti alchilfosfati: prodotti del metabolismo cellulare, costituiti da molecole di idrocarburi (carbonio e idrogeno) a catena aperta, con la presenza di atomi di fosforo.
Pesticidi: è un termine generico, che comprende gli anticrittogamici, i fitofarmaci, gli insetticidi, i diserbanti, ecc., cioè quei composti di origine per lo più sintetica, che vengono applicati sulle colture, sulle derrate alimentari o sul terreno per liberarli da infezioni o da infestazioni di vario genere.
Pop (Persistent organic pollutant): inquinante organico persistente nell’ambiente.
(a cura di R.Novara e R.Topino)
Roberto Topino e Rosanna Novara