Quando il ritardo è fatale
Malattie dimenticate (11): tripanosomiasi (malattia del sonno)
Sono ancora decine di migliaia i pazienti con la malattia del sonno, decine di milioni le persone che rischiano di ammalarsi.
Migrazioni, guerra, povertà. Tre elementi strettamente collegati alla malattia del sonno. Una malattia mortale, se non trattata, che continua a imperversare nelle zone dell’Africa subsahariana, la cui diffusione, e il riemergere di epidemie, viene spesso collegata ai conflitti.
Non sono note le cifre precise sul numero di malati, ma secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), potrebbero variare da 50 mila a 70 mila le persone infettate, mentre sarebbero 60 milioni quelle che vivono in zone a rischio e potrebbero ammalarsi.
Due differenti possibilità, stesso destino
La tripanosomiasi umana africana, più conosciuta come malattia del sonno, è diffusa in 36 paesi nell’Africa subsahariana, dove è presente la mosca tse tse, che con il suo morso può trasmettere l’infezione: una zona di oltre 9 milioni di chilometri quadrati, pari a circa un terzo dell’intera superficie del continente africano.
Il responsabile è un tripanosoma, che può essere di due tipi, con una distribuzione geografica, e caratteristiche temporali differenti della malattia. Il Trypanosoma brucei gambiense, cui vengono attribuiti 9 casi su 10 di malattia del sonno, è diffuso nell’Africa occidentale e centrale e causa un’infezione cronica: possono passare mesi o anni prima della comparsa dei segni e sintomi più gravi, che segnalano lo stadio avanzato della malattia, con coinvolgimento del sistema nervoso centrale.
Invece, il Trypanosoma brucei rhodesiense viene localizzato a oriente e nel sud dell’Africa e causa una malattia assai più rapida, che si manifesta nel giro di pochi mesi o anche settimane e si diffonde al sistema nervoso centrale.
Dal sangue al cervello
Il tripanosoma viene trasmesso dalla puntura della mosca tse tse, che predilige vivere in zone ricche di vegetazione vicino a fiumi e laghi, in ambienti umidi, con penombra e temperature alte. Nel caso del Trypanosoma rhodesiense, animali quali antilopi, iene, pecore e bovini possono fungere da «serbatornio» della malattia, da cui la mosca tse tse può prendere il tripanosoma che poi trasmette all’uomo con la sua puntura.
La mosca tse tse, e con essa la malattia del sonno, è recentemente salita all’attenzione dei media per la sua «passione» nei confronti dei colori nerazzurri, caratteristici delle maglie di alcune squadre di calcio italiane. Sembra infatti che le mosche tse tse siano attirate da questa combinazione di colori, utilizzata per la costruzione di trappole in cui attirarle.
Una volta entrato nell’organismo, il tripanosoma si diffonde nei tessuti sotto la pelle, nel sangue e nel sistema linfatico, per poi superare la barriera ematoencefalica e arrivare al sistema nervoso centrale. Vengono lasciate aperte altre possibilità di passaggio dell’infezione, come dalla madre al bambino in gravidanza, accidentale in laboratorio, attraverso trasfusioni e trapianti d’organo.
La malattia del sonno, se non viene riconosciuta e trattata, porta alla morte del paziente e le manifestazioni dell’infezione sono suddivise in due fasi. La prima, definita emolinfatica, con febbre e sintomi poco specifici, come mal di testa, dolori alle articolazioni e prurito (in un quarto dei casi vi può essere rigonfiamento dei linfonodi cervicali). La seconda, neurologica, si manifesta, come accennato prima, a intervalli di tempo differenti a seconda del tripanosoma responsabile, a seguito dell’arrivo dell’infezione al sistema nervoso centrale.
È caratterizzata dalla comparsa dei sintomi da cui prende il nome di malattia del sonno. Infatti, accanto a disturbi psichici e neurologici (come confusione, disturbi sensoriali e di cornordinazione), compaiono le alterazioni del ritmo sonno-veglia: i pazienti tendono a dormire di giorno e fanno fatica di notte.
Il ritorno della malattia
Le popolazioni a rischio di infezione sono quelle che vivono nelle zone rurali, dedicate ad agricoltura, pesca, allevamento o caccia. Altri fattori segnalati dall’Oms collegati alla diffusione della malattia sono gli spostamenti delle popolazioni, la guerra e la povertà.
Negli ultimi 100 anni sono state segnalate nel continente africano tre principali epidemie: fra il 1896 e il 1906, nel 1920 e nel 1970, quest’ultima non ancora sotto controllo.
In occasione dell’epidemia del 1920, l’utilizzo di squadre mobili per monitorare le popolazioni a rischio aveva permesso di arrivare al controllo della diffusione dell’infezione a metà degli anni ‘60. Ma il venir meno dei controlli ha permesso al tripanosoma di tornare a manifestarsi negli anni successivi in diverse regioni: i dati del 2005 contano fra i 50 mila e i 70 mila casi.
La diffusione della malattia varia fra i diversi paesi e, anche all’interno degli stessi, fra le diverse zone. Nel 2005 sono state segnalate epidemie importanti in Angola, Repubblica Democratica del Congo e Sudan, e la tripanosomiasi umana africana rimane un problema di salute pubblica per Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Guinea, Malawi, Uganda e Tanzania. In altri paesi il numero di casi riportati è più basso o non vi sono segnalazioni, ma non si hanno certezze, perché manca una sorveglianza adeguata con diagnosi dei possibili casi.
Vi sarebbero tuttavia segnali positivi: l’Oms riporta che gli sforzi da lei compiuti insieme con quelli dei governi e di organizzazioni non governative hanno permesso di interrompere la continua salita nel numero di nuovi casi.
Il ritardo
peggiora la prognosi
L’ambiente in cui è maggiore il rischio di essere infettati dal tripanosoma è anche quello che condiziona l’andamento peggiore della malattia. Infatti i malati spesso vivono in zone isolate, lontano dai centri sanitari e quindi dalla possibilità di essere visitati e di avere una diagnosi nelle prime fasi della malattia. Il ritardo nella diagnosi restringe le possibilità di cura, perché le prospettive di guarigione diminuiscono con il procedere dell’infezione.
Dal punto di vista terapeutico infatti, i farmaci indicati per la prima fase della malattia del sonno non solo sono più efficaci, ma hanno anche meno effetti collaterali dannosi per il paziente e sono più semplici da somministrare. Viceversa, una volta che il tripanosoma ha superato la barriera ematoencefalica ed è arrivato al sistema nervoso centrale, i farmaci a disposizione possono arrecare maggiore danno al paziente e sono anche più complicati come modalità di somministrazione. Uno, per esempio, è un derivato dall’arsenico e può causare un danno grave al cervello, che può essere mortale in una percentuale che varia dal 3 al 10% dei casi.
Proprio nell’ottica di migliorare la diagnosi e anticiparla si colloca l’annuncio, dato a febbraio del 2006 dall’Oms e dalla Fondazione per la diagnostica innovativa (Find, Foundation for Innovative New Diagnostic), della partenza di ricerche per arrivare a nuovi esami per la diagnosi. Infatti, nei primi stadi della malattia la diagnosi è più difficile per la presenza di pochi sintomi, tanto che si ritiene sia identificato correttamente solo un paziente su dieci.
Lo scopo delle nuove ricerche è arrivare a esami che migliorino le possibilità di una diagnosi precoce e con esse di un trattamento tempestivo e con maggiori possibilità di successo.
Valeria Confalonieri