«Le changement»
La rivoluzione guineana e l’uomo nuovo
Un anziano presidente in carica da 23 anni. L’inflazione al 50%, mancanza di acqua ed elettricità perfino nella capitale. Nonostante la varietà climatica, il suolo fertile e la ricchezza in minerali. Come un paese entra in profonda crisi economica e sociale e come cerca di uscie. Anche grazie alla società civile.
Conakry. Nel corso dei primi due mesi del 2007, la Guinea ha vissuto l’apice di una crisi economico-sociale che da molti anni attanagliava il Paese.
La causa principale è stata la pessima gestione dello stato e il crollo delle entrate minerarie, che hanno portato le casse del paese a una situazione insostenibile. Inoltre, a partire dal 2000, i donatori inteazionali hanno pressoché bloccato tutti gli aiuti alla Guinea, data l’impossibilità di garantie una gestione trasparente.
In questa situazione il governo è stato costretto a una politica economica basata sull’indebitamento e questo si è ripercosso sui prezzi (il tasso d’inflazione nel 2006 era del 50%) e quindi sulla popolazione. Il prezzo del sacco di riso, alimento di base per la popolazione, nel corso dell’anno è passato da 60.000 a 150.000 franchi guineani (circa 22 euro), che corrisponde al salario medio mensile nel paese.
Anche il corso della valuta locale ha seguito lo stesso cammino (da 2.500 franchi per 1 euro a inizio 2005 a 5.200 franchi per 1 euro all’inizio del 2006 a circa 7.900 ad aprile 2007), un colpo pressoché mortale per un paese che importa quasi tutto quello che consuma.
Lo stato non arriva a garantire i servizi di base neanche nella capitale (dove l’elettricità e l’acqua sono distribuiti per qualche ora al giorno, ma con, talvolta, giorni di interruzione completa). Il panorama è, ovviamente, ancora più desolante nelle regioni intee, dove questi servizi non sono assolutamente presenti, la rete stradale è formata, per lo più, da sconnesse piste in terra battuta, impraticabili nella stagione delle piogge (tre, quattro mesi l’anno).
paese ricco per gente povera
Questa situazione disastrosa si ripercuote anche sul sistema sanitario e quello scolastico, che sono tra i peggiori dell’Africa dell’Ovest.
Questo quadro è ancora più difficile da accettare se si pensa alle potenzialità del paese: la diversità climatica (dalla foresta pluviale, alle zone secche, alle mangrovie lungo le coste) permette di coltivare una grande varietà di prodotti tutto l’anno. La Guinea è attraversata dai più grandi fiumi della regione, e bagnata da piogge abbondanti. Tutto quello che si coltiva cresce con facilità: riso, pomodori, patate, caffè, cacao, banane.
Nonostante ciò, anche l’agricoltura guineana è moribonda (è passata dal 90% del Pil negli anni successivi all’indipendenza al 20% di oggi). Uno dei segnali più evidenti di questo fenomeno è la «scomparsa» della banana come fonte di entrate della Guinea (mentre era il primo paese esportatore di questa frutta ai tempi delle colonie).
In più, il suolo guineano è talmente ricco di minerali da essere definito uno «scandalo geologico» (secondo produttore di bauxite al mondo, vi si trovano anche oro, diamanti, ferro, ecc.). Ma anche queste risorse sono poco e male sfruttate (gran parte dei guadagni non restano in Guinea o finiscono nelle mani dei pochi).
la voce dei movimenti
In questo quadro fosco, i due principali sindacati dei lavoratori (l’Unione sindacale dei lavoratori di Guinea, Ustg e la Confederazione nazionale dei lavoratori di Guinea, Cntg) insieme al Collettivo nazionale delle organizzazioni della società civile (Cnosc), si sono fatti portavoce del malessere della popolazione.
Negli ultimi tre, quattro anni, la società civile guineana ha cominciato a organizzarsi in maniera più strutturata in tutto il paese. Si parla di movimento associativo di «seconda generazione», poiché in Guinea sino al 1984 (cioè alla fine del regime «socialistico-autoritario» di Sekou Touré) l’associazionismo non esisteva, tranne nelle forme organizzate dallo stato.
Questo fenomeno appare oggi molto giovane, ma dinamico e sostenuto anche da numerosi partners allo sviluppo.
Il Cnosc è nato nel febbraio 2002 con l’obiettivo di essere la struttura nazionale che potesse raggruppare tutti gli attori della società civile. Oggi si può dire che questo obiettivo sia stato in gran parte raggiunto e lo dimostra la forte adesione alle diverse fasi dello sciopero (tra fine 2006 e inizio 2007) indetto da loro e dai due principali sindacati.
L’adesione allo sciopero è stata infatti da subito massiccia: circolazione dei mezzi di trasporto pubblici quasi assente, rifoimento di benzina e gasolio nullo, banche e servizi chiusi, porte dei principali negozi sbarrate.
Nell’ultima fase della protesta le richieste del movimento popolare non erano più unicamente economiche, ma anche politiche tra cui la nomina di un «governo di unità nazionale» formato da tecnici esperti che potesse portare il paese fuori dalla crisi e una riduzione del costo della benzina e del sacco di riso.
cambio o non cambio?
Per svariate settimane (tra gennaio e febbraio 2007) in tutto il Paese si sono registrate manifestazioni popolari guidate dai sindacati e dal Collettivo della società civile che chiedevano «le changement et le départ» (il cambiamento e la partenza) del presidente Lansana Conté, al potere da 23 anni. Manifestazioni spesso represse violentemente da parte della polizia e della guardia presidenziale, provocando centinaia di morti e feriti. Il tutto nel silenzio pressoché totale della comunità internazionale.
La popolazione indignata e ferita, ha vissuto questo calvario con sentimenti di frustrazione, ingiustizia e rivolta. Le numerose vittime vengono martirizzate e i giovani continuavano a dirsi pronti a morire per il proprio paese.
Quando a inizio febbraio il presidente Conté accettò la richiesta dei sindacati di cedere parte del suo potere ad un primo ministro di largo consenso, la crisi sembrava essersi risolta.
Dopo alcune settimane di attesa, il presidente tenta un colpo di mano. Il 9 febbraio nomina alla primatura Eugene Camara, suo fedele alleato e da tempo al suo fianco anche nei precedenti governi già contestati.
È subito indignazione. I giovani invadono le strade in quasi tutto il paese per manifestare il loro sdegno: pneumatici bruciati, negozi razziati, creazione di barricate per impedire l’ingresso e l’uscita ai veicoli.
Gli edifici pubblici sono stati saccheggiati e completamente distrutti e molti prefetti e governatori sono stati costretti alla fuga.
scontro generazionale
Atti di violenza unica, senza il minimo controllo sociale, in cui anche i sindacati e la società civile hanno perso il controllo della situazione.
I giovani agivano irrazionalmente, spinti da un’incontrollabile voglia di distruggere qualsiasi simbolo del governo, cercando di ricavare anche un minimo beneficio dalla situazione.
Inutile il difficile compito degli anziani (i saggi) e dei capi religiosi che cercavano di dialogare con i rivoltosi, nel tentativo di far capire loro che ciò che stavano distruggendo erano dei propri beni.
El Hadji Barry, segretario della lega islamica di Mamou (città dell’interno), ci ha detto: «Ho vissuto giorni veramente difficili, vedevo i miei “figli” distruggere quel poco che abbiamo e nonostante le innumerevoli ore passate in moschea nella speranza di dissuaderli, loro continuavano. La sera ci avevano promesso di non attaccare l’edificio del comune e il mattino seguente tutto era distrutto. Ci dicevano che noi non li capiamo, che anche noi siamo stati corrotti dal governo». «Siamo stati di fronte ad una profonda crisi politica e sociale», continua El Hadji «non c’era né religione, né ragione che tenesse. Questo che abbiamo vissuto è anche uno scontro generazionale, i giovani vogliono un cambiamento totale poiché nel quadro attuale non vedono alcuna possibilità d’inserimento per loro nella gestione dello stato e del suo futuro».
Dopo questi avvenimenti i diversi attori hanno cercato di riprendere in mano la situazione, ognuno con le proprie modalità. Il governo è intervenuto nuovamente con le armi e poi con la dichiarazione dello «stato d’assedio» (12 febbraio) per i successivi dodici giorni, periodo in cui il pieno potere era passato nelle mani dei militari al fine di riportare l’ordine e la tranquillità nel paese.
Durante questo periodo sono stati registrati saccheggi e violenze a opera delle forze armate, che avendo piena autorità ne approfittavano per «vendicarsi» della sommossa popolare, con il bene placito dei loro superiori (tutti entourage del presidente Conté).
Questa situazione di grande instabilità con un grave rischio di guerra civile ha portato la comunità Internazionale a reagire attraverso alcune missioni della Cedeao (Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale) per fare pressioni sul regime di Lansana Conté.
Sindacati, società civile, autorità religiose e rappresentanti del governo si sono più volte incontrati, finché questa complessa fase di negoziazione ha portato il presidente a cedere alla volontà popolare.
L’uomo della soluzione?
Il primo marzo Lansana Kouyaté, un tecnico di grande esperienza internazionale proposto dagli attori della società civile, ha preso ufficialmente funzione a Conakry come primo ministro.
Kouyaté ha ricoperto cariche diplomatiche di alto livello: da ambasciatore in Egitto a rappresentante della Guinea all’Onu, e poi sotto segretario generale delle Nazioni Unite per l’Africa, l’Asia dell’ovest e il Medio Oriente dal ‘94 e segretario esecutivo della Cedeao dal ‘97 (posto questo che gli ha permesso di tessere legami con tutti i capi di stato della regione).
Dal 2003 era rappresentante dell’Organizzazione della Francofonia nella mediazione della crisi in Costa d’Avorio.
A un mese dalla sua nomina, il primo ministro ha formato un governo di largo consenso in un clima di gioia manifestata da tutta la popolazione.
Ecco uno stralcio del suo discorso introduttivo alla nazione: «Cari compatrioti, io prometto di consacrare tutte le mie energie e la mia piena volontà al fine di rimettere la Guinea in piedi, in un clima di pace dopo un’esplosione sociale senza precedenti (… ) che il sangue versato durante i giorni di crisi serva come seme per la nostra speranza e la nostra giustizia…».
La nuova équipe governativa si è messa subito all’opera cercando di dare all’opinione pubblica dei segnali di cambiamento. Queste azioni vanno dalle piccole cose, come quella di un maggior controllo sull’utilizzo dei beni dei ministeri (ad esempio le auto che precedentemente erano utilizzate a scopi privati) a degli impegni di grande spessore di politica economica.
Tra questi sono da sottolineare il blocco dato alle esportazioni di prodotti agricoli (tra cui il riso, alimento principale per i guineani) con lo scopo di fae abbassare il prezzo sul mercato nazionale e la volontà di rivedere tutte le concessioni date alle imprese multinazionali per sfruttare le risorse minerarie guineane.
Oggi si possono già constatare piccoli cambiamenti, soprattutto la diminuzione dei prezzi dei beni di prima necessità.
La Guinea sta vivendo un momento «storico», nel quale la volontà di cambiamento della popolazione ha potuto prevalere sul presidente e sul suo clan, seppur pagandolo con il sangue di centinaia di vittime.
Non avevo mai pensato che un giorno sarei arrivato in Africa. Quando dopo sei mesi di anno sabbatico nella comunità cattolica San Giovanni vicino a Vienna, il priore mi ha fatto la proposta di andare in Guinea, dovevo cercare sulla carta geografica questo paese a me sconosciuto. La comunità San Giovanni è stata fondata in Francia negli anni Settanta dal domenicano Dominique Philippe, docente di filosofia a Fribourg in Svizzera, e un gruppo di suoi allievi.
La nuova congregazione è cresciuta velocemente e nel 1993 è stata chiamata da monsignor Robert Sarah, in quei tempi arcivescovo di Conakry, per aprire un’attività missionaria in Guinea. Alcuni anni fa monsignor Sarah si è trasferito in Vaticano, alla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Robert Sarah continua a essere una personalità molto stimata e rispettata in Guinea, anche da parte dei musulmani, per il suo coraggio e la sua voce incorruttibile nel denunciare le ingiustizie nel paese.
La chiesa cattolica della Guinea è da tempo quasi completamente africanizzata e il numero di sacerdoti stranieri nel paese è molto ridotto. La chiesa cattolica in generale è molto rispettata da tutti e la convivenza con l’islam è buona. La comunità San Giovanni in Guinea ha aperto una missione vicino a Coyah, una piccola città a 60 km di distanza dalla capitale Conakry. È stata chiamata Mariamayah, che in lingua sussu, l’etnia locale, significa «là dove abita Maria». Avevano bisogno di un falegname e quindi ho accettato la proposta del priore in Austria. L’ho accolta nella fede, non senza timori, come una chiamata del Signore, con spirito di curiosità e voglia di vivere un’avventura.
Arrivai in Guinea da solo alla fine del mese di novembre 1998. Conakry era tutta nascosta nel buio della notte appena cominciata. Ma il primo impatto rimane indimenticabile: l’umidità dell’aria calda e piena di profumi e odori mai sentiti e l’attività caotica nel piccolo aeroporto. C’era John Jesus, un frate irlandese, ad accogliermi. Questo frate meraviglioso, molto amato dalla popolazione per la sua giorniosa semplicità e umiltà, sarebbe poi diventato il mio punto di riferimento, nei primi sei mesi, prima del suo trasferimento nel Camerun.
I primi mesi furono difficili, anche perché non sapevo ancora parlare bene il francese. Mi diedero subito la responsabilità della falegnameria, che faceva parte di una società di costruzioni gestita dai frati. Tutti gli edifici della missione – chiesa, i conventi – erano stati costruiti con l’aiuto di artigiani locali. Alla fine dei lavori i frati avevano deciso di creare una ditta per garantire a questi artigiani un lavoro, ma anche fornire formazione artigianale ai giovani. All’inizio dovetti gestire otto persone, numero che crebbe fino a 25 artigiani.
La Guinea è in grande maggioranza musulmana e i cristiani si trovano soprattutto nella zona forestale nel sud del paese. I falegnami erano quasi tutti di fede musulmana. Il rapporto con loro fu uno dei modi migliori per conoscere le difficoltà della gente. Una volta conquistata la loro fiducia, venivano spesso da me per chiedere aiuto, per esempio piccoli prestiti per comprare farmaci in una situazione di emergenza familiare o solo per arrivare a fine mese. Una scuola di ascolto, certo, ma dovetti anche imparare a dire «no».
Il lavoro in falegnameria ogni giorno era una sfida. Di fronte alla continua mancanza di attrezzi o ai guasti dei macchinari era spesso necessario improvvisare o avere pazienza, talvolta perché il lavoro andava a rilento oppure non si riusciva a far nulla.
Un concetto importante da capire è che in generale, per l’africano il lavoro è sempre secondario agli impegni familiari, anche nell’ambito della famiglia allargata.
Alla comunità San Giovanni sono state affidate anche due parrocchie, Coyah e Forecariah. La vita parrocchiale era una buona occasione per creare contatti con la gente e amicizie con altri giovani. Prendevo l’abitudine di fare regolarmente visita a diverse famiglie, godendo della loro calorosa accoglienza e gentilezza. Dopo un anno e mezzo di presenza in Guinea queste amicizie facevano parte delle esperienze più preziose che ho portato con me al momento del ritorno in Italia.
Particolarmente importante sarebbe stata l’amicizia con Odilon, il mio assistente falegname, un uomo di più di quarant’anni con moglie e figli. Era cristiano, di etnia guerzé e originario della Guinea forestale. È stato nell’occasione del viaggio con lui nel suo villaggio natale Gouécké, vicino a Nzérékoré, che ho conosciuto l’orfanotrofio St. Kisito. Qui vengono accolti bimbi che hanno perso la madre durante il parto.
Nella mentalità della popolazione della zona questi bambini sono maledetti e quindi abbandonati. In generale nella famiglia allargata africana gli orfani sono sempre accolti da un parente, ma in questo caso la paura è troppo grande. Dopo il mio ritorno in Alto Adige le suore africane, che gestiscono l’orfanotrofio, in un momento di emergenza (diffusione di malattie mortali) si sono rivolte a me per chiedere aiuto. È così che ho organizzato una piccola rete di donatori per appoggiare St. Kisito, in particolare nella prevenzione sanitaria.
Sono tornato nel 2002 e poi nel 2006 per fare visita all’orfanotrofio. La cosa più bella del viaggio era l’essere tra amici dal primo fino all’ultimo momento. Già all’aeroporto mi ha accolto un’amica che subito mi ha fatto riposare in una stanzetta riservata, grazie a sue conoscenze nella guardia doganale.
Il viaggio da Conakry a Gouécké dura normalmente circa 22 ore in taxi brousse, ma l’ultima volta ne abbiamo impiegate 30. La ragione fu un guasto al motore dopo dieci ore di viaggio. Per fortuna il guasto si è verificato in una città, quindi anche alle dieci di sera è stato possibile trovare un meccanico. Il resto fa parte delle esperienze incredibili, che ti lasciano stupefatto per la capacità di improvvisare e di arrangiarsi con i mezzi più semplici: un bastone di legno, appena sufficientemente solido, e una corda per smontare il motore dalla macchina, una decina di attrezzi di base per ripararlo, sotto l’illuminazione debole di una torcia scadente, e rimontarlo, infine, alle cinque di mattina!
A Nzérékoré assieme a suor Cathérine Thea, la responsabile dell’orfanotrofio, ho fatto una visita al vescovo monsignor Vincent Kouroumah. Mi ha spiegato la situazione delicata degli orfani. È difficile integrarli nella famiglia di provenienza o anche trovare famiglie coraggiose per accoglierli. Il vescovo è riuscito a far nascere un’attività di accoglienza di questi bambini.
Ogni viaggio in Guinea e l’incontro con gli amici mi fa partecipare alle sofferenze di un paese totalmente assente dai nostri media. Da anni l’inflazione crescente continua a schiacciare la popolazione in modo pesante. Ad esempio il prezzo del riso, alimento base, è aumentato enormemente. Le infrastrutture stradali continuano ad essere scadenti e il costo del trasporto influisce sull’attività economica, anche per il prezzo del carburante.
La Guinea è circondata da paesi che negli ultimi anni hanno vissuto crisi violente e guerre civili terribili: Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau. La Guinea ha generosamente accolto numerosi rifugiati da questi paesi, dove spesso vivono le stesse etnie.
La popolazione della Guinea ha accettato per anni, con pazienza e un certo fatalismo, il governo forte e autoritario di Lansana Conté, arrivato al potere nel 1984 e tuttora in carica. «Poveri, ma almeno in pace», era ed è un pensiero comune.
Solo recentemente, di fronte al continuo peggioramento della situazione economica e la vecchiaia del presidente, attraverso ripetuti scioperi generali il popolo ha cominciato a rivendicare dei cambiamenti. Nel paese vivono più di trenta diversi gruppi etnici, (alcuni maggioritari, vedi scheda), ma spero nel sentimento di unità e orgoglio nazionale, che i guineani hanno fatto loro dopo il radicale distacco dalla Francia, con il governo autoritario di Sekou Touré. Regime segnato da oppressione e terrore, ma che ha esaltato e valorizzato la tradizione e la cultura africana.
Non so quanto io abbia potuto aiutare durante il mio soggiorno in Guinea, ma so che per me questa esperienza è stata un grande privilegio e una tappa fondamentale per la mia crescita personale, professionale e spirituale. Infatti, ho poi deciso di riprendere gli studi e mi sto laureando in Studi europei e inteazionali con l’obiettivo di lavorare nella cooperazione allo sviluppo.
L’azione del Foguired nasce dalla «Campagna per la riduzione del debito estero dei paesi più poveri» (promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2000, anno giubilare) e dalla firma, avvenuta nell’aprile 2003, di un accordo bilaterale tra governo italiano e governo guineano.
Le due Ong avevano già attivamente collaborato alla campagna di sensibilizzazione in Italia sul problema del debito, promossa dalla chiesa italiana, in occasione del Giubileo del 2000.
Dopo una missione congiunta Cisv, Lvia, Foguired realizzata nell’aprile 2005, le due Ong hanno elaborato un progetto di appoggio alla società civile nell’ambito del fondo per la riconversione del debito.
Per l’azione del Foguired sono state individuate, le cinque prefetture «più povere» della Guinea come zone privilegiate. In queste zone si è puntato ad appoggiare le popolazioni direttamente alla base, mediante la promozione di opportunità di accesso ai finanziamenti per un ampio ventaglio di organizzazioni della società civile, anche quelle poco strutturate, soprattutto organizzazioni contadine. Questa strategia ha portato al finanziamento di quasi 600 microprogetti.
Uno dei bisogni primari di queste piccole associazioni, che hanno ricevuto il finanziamento è quella di un accompagnamento per realizzare il proprio progetto e garantie la sostenibilità, garanzia di prosecuzione nel tempo dell’azione di lotta alla povertà.
Per svolgere questo ruolo di accompagnamento e monitoraggio delle azioni, il Foguired, (sempre nell’ottica di appoggio alle realtà della società civile guineana), ha scelto tre «giovani» Ong locali originarie delle zone d’intervento.
Questa scelta ha messo in luce il bisogno di appoggio e formazione delle Ong locali.
È in questo quadro che si è inserita l’azione del consorzio Cisv-Lvia. Azione che ha avuto come obiettivo quello di rafforzare, con percorsi di formazione, e accompagnare le tre strutture incaricate di monitorare i progetti gestiti dalle associazioni di base, affinché questi diventino delle esperienze forti e durature di sviluppo locale.
Il progetto ha previsto la creazione di strumenti per il monitoraggio (schede e rapporti), ma anche l’organizzazione di occasioni di incontro e confronto nelle prefetture, sulle tematiche importanti per la popolazione che beneficia dei progetti Foguired (come si gestisce un progetto, incontri «filiera», cioè tra tutti i gruppi di produttori con problematiche simili, l’analisi partecipativa del territorio e delle priorità necessarie per il suo sviluppo).
Inoltre, l’azione del consorzio formato dalle due Ong italiane ha permesso di promuovere la creazione di reti tra gruppi che si occupano dello stesso settore, con particolare attenzione alle associazioni di agricoltori e allevatori. Di grande importanza, nella realizzazione di questo progetto, è stato, anche l’avvio di una fruttuosa collaborazione con la Cnop-g (Confederazione nazionale delle organizzazioni contadine di Guinea), la più importante organizzazione di agricoltori del paese.
L’obiettivo finale è stato quello di stimolare delle dinamiche «virtuose» nelle quali gli attori della società civile possano, a partire dall’aiuto ricevuto grazie alla conversione del debito estero, prendere in mano il difficile cammino della lotta alla povertà.
L’esperienza del progetto Foguired è stata molto positiva per le Ong italiane. Essa ha permesso di avviare un percorso di collaborazione con alcuni attori della società civile guineana, con i quali sono stati sviluppati nuovi progetti.
www.cisvto.org
www.lvia.it
Fabio Ricci e Monica del Sarto