Inceneritori: quale alternativa?

Una tematica che accende il dibattito

A seguito dell’articolo «Bruciare i rifiuti? Una pessima idea» comparso sul numero di marzo, un lettore ben documentato chiama in causa gli autori. «Articolo fazioso, impostazione più ideologica che scientifica». È meglio la discarica o l’inceneritore? Gli articolisti rispondono.

Spettabile redazione,

ho letto con attenzione l’articolo sugli inceneritori, riportato sul numero di marzo di MC. Peccato per l’ambiguità con la quale è stato trattato l’argomento come risulta evidente fin dal titolo: «Bruciare i rifiuti? Una pessima idea».
Al presente nessuno pensa agli inceneritori – non uso il termine termovalorizzatori, che non piace ai redattori del servizio – per «bruciare i rifiuti», bensì a impianti per eliminare la sola parte non riutilizzabile.
È pur vero che, qua e là, nell’ampio servizio, si ammette anche l’eventualità della destinazione all’incenerimento del Cdr (combustibile derivante dai rifiuti, meglio definibile frazione secca), ma l’insieme dell’articolo e dei numerosi riquadri, presenta gli inceneritori come distruttori di tutti i rifiuti, definiti «tal quale» e, di conseguenza, come produttori di velenosi inquinanti.
Mi è difficile credere all’esistenza di inceneritori che brucino il «tal quale», se non altro perché sarebbero talmente inefficienti e avrebbero tali problemi di gestione e di emissioni, da non poter funzionare a lungo. Lo stesso inceneritore di Brescia, non di ultima generazione, non brucia il «tal quale», ma rifiuti selezionati. L’inceneritore di Rho, più recente, risulta molto efficiente e con bassissime emissioni. L’inceneritore del Gerbido e gli altri allo studio in Italia dovrebbero essere non certo inferiori a quello di Rho e pertanto non quei mostri di inquinamento come nel servizio sono presentati.

È semplicemente faziosa l’affermazione di Paolo Moiola, posta come giudizio finale del servizio (pag. 60), che raccolta differenziata ed inceneritore sono antitetici.
È vero invece l’esatto contrario, poiché gli inceneritori presuppongono la raccolta differenziata in quanto rappresentano una delle fasi della stessa, insieme agli impianti di preselezione e trattamento, dopo la raccolta domiciliare delle frazioni divise.
Il servizio su MC, cercando di accreditarsi come scientifico, presenta un profluvio di dati scelti artatamente, ma che, se anche veri, nell’insieme dicono solo mezza verità, perché trascurano diversi aspetti del complesso problema. Si tratta di una impostazione più ideologica che scientifica.
Senza addentrarmi troppo nella questione, faccio rilevare che l’incenerimento dei rifiuti è l’ultimo anello di una lunga catena e che se non si tiene conto di ciò che sta a monte, si rischia di sbagliare clamorosamente il giudizio.

Suonano quasi irrisorie le ultime 7 righe e mezzo dell’articolo, in un servizio di 8 (otto) pagine, nelle quali si fa un fiero riferimento a «nuovi stili di vita» per ridurre i rifiuti!
Certamente il nodo del problema sta proprio nello smodato e ottuso consumismo. Questo, oltre a mettere a disposizione una esagerata quantità di beni, con relativi rifiuti, si porta appresso modalità irrazionali, spesso senza senso, di confezionamento dei prodotti, da quelli alimentari a quelli di tutti gli altri generi. Non di rado il contenitore è più consistente del contenuto.
Allora una fondamentale questione riguarda la messa in circolo di materiali già in partenza definibili rifiuti. Una campagna seria contro gli inceneritori dovrebbe innanzitutto puntare a promuovere in tutti i modi consumi più sobri e nel proporre modalità diverse di imballaggio, attualmente oltremodo esagerate e impostate sul vuoto a perdere.
Questo è un problema affrontabile solo in sede politica. Soltanto leggi appropriate possono dare una svolta incisiva. Perché non imporre una tassa alla sorgente su certi contenitori, tale da rendere conveniente il loro riutilizzo, anziché il passaggio immediato ai rifiuti? Perché non il divieto, «tout court», dell’utilizzo di certe plastiche non riciclabili, di difficile combustione e producenti inquinanti micidiali, compresa la diossina?

È faticoso spendersi per cercare di ottenere modifiche del modo di progettare «le cose», del confezionarle, del trasportarle! Significa scontrarsi con l’inerzia e l’interesse del mondo industriale e commerciale. Si presenta un ulteriore ostacolo di non facile superamento: la modifica del comportamento di tanti ormai consolidati consumisti e, a seconda della latitudine, più o meno restii a sottostare alle regole della differenziazione dei rifiuti domestici.
In attesa di una rivoluzione copeicana di là da venire, che facciamo?
Topino e Novara sparano a zero sugli inceneritori ma, visto che la produzione dei rifiuti continua imperterrita, questi dove li mettiamo?
Con la raccolta differenziata si fa un passo nella direzione giusta, quindi è utile verificare a che punto siamo. Si va da un 10% nel Sud a un 25-30% al Nord. Sono pochi i comuni virtuosi che arrivano al 50%, quota in Italia ritenuta un buon obiettivo! Ci accontentiamo di ben poco se ci poniamo a confronto dei paesi del Nord Europa, in cui la percentuale raggiunge il 90% e dove sono usati gli inceneritori.
Quindi come sanno i redattori del servizio, fatta la raccolta differenziata, rimane una consistente quota di «indifferenziato» che va selezionata per separare l’umido, ancora in qualche modo riciclabile come «compost» e che se fosse avviato all’inceneritore lo metterebbe in crisi. Ciò che rimane, la «frazione secca», costituisce il 15-30% del totale, che va in qualche modo eliminata.
Se escludiamo aprioristicamente l’incenerimento, non rimane che la discarica! Questa è la preferenza che emerge evidente dal servizio.
Perché allora si tace delle discariche, ormai dappertutto strapiene e le cui collinette (non più tanto «ette») incominciano a modificare la «sky line» delle città? Per correttezza andrebbe detto quanto le discariche siano vere «bombe ecologiche», lasciate in eredità alle future generazioni, con tanto di problemi di inquinamento delle falde, caratteristici miasmi (il profumo città), ecc.

La maggior parte delle discariche ha accolto senza differenziazione tutti i tipi di rifiuti e, per non dovee aprire di nuove, obiettivo principale di tutto il ciclo della raccolta dei rifiuti differenziata, il poco spazio disponibile va utilizzato nel modo più intelligente possibile, riducendo al minimo il conferimento di materiale.
Risulta pertanto evidente quanto sia essenziale la raccolta differenziata, che andrebbe ben diversamente sostenuta, da quanto oggi facciano le amministrazioni comunali, ma anche quanto sia essenziale la combustione di ciò che non è riciclabile in alcun modo, ricavandone comunque ancora un po’ di energia elettrica e termica. Non è molto importante il valore economico di ciò che si ottiene, neppure in grado di portare in pareggio il bilancio, ma il fatto di ridurre al minimo i rifiuti irriciclabili, ovvero a meno della metà quel 15-30% di Cdr.
Finora si sono procrastinate le scelte, con il tipico vizio italiano, quando posti di fronte a problemi difficili, meglio dire, impopolari, ma ormai il problema non può più essere eluso.
Qualcuno mi saprebbe dire cosa ne faremmo delle «ecoballe» napoletane, se altri paesi europei non le accogliessero per incenerirle, facendosi pagare «il giusto» per il favore? E dei rifiuti industriali, di cui ogni tanto si ha notizia di clamorose «esportazioni» nei cosiddetti paesi poveri, con procedure sicuramente criminose e incivili?

Siamo di fronte a scelte né facili, né indolori, e nessuna entusiasmante. In attesa di incidere radicalmente sulla fonte della produzione dei rifiuti, per le quali, sì, occorre spendersi generosamente, la scelta è per il male minore.
Occorre una opinione pubblica ben informata e perciò mi permetto di richiamare chi si rivolge a dei lettori, al dovere di grande onestà intellettuale, al dovere di estrema correttezza. Non possono essere sottaciuti aspetti del problema che potrebbero condurre il lettore a conclusioni diverse da quelle auspicate dallo scrivente.
Diversamente siamo di fronte non a informazione, ma a un tentativo ideologico e fazioso di indottrinamento. «Missioni Consolata» non può essere luogo per simili comportamenti.
In attesa di una gradita risposta saluto cordialmente.

Piero Coletto
Rivoli (TO)

Gentile Sig. Coletto,

abbiamo letto la sua lettera di critica al nostro articolo sugli inceneritori. Nel mondo scientifico, la critica svolge la fondamentale funzione di obbligare gli studiosi a documentarsi a fondo prima di affermare qualsiasi concetto e, nel contempo, a cercare sempre nuove soluzioni per risolvere un problema. Tuttavia la critica, per essere costruttiva, deve sempre essere a sua volta supportata da un’accurata documentazione e non solo da opinioni personali.
Il «profluvio» di dati da noi prodotto per, come lei dice, accreditare come scientifico il nostro lavoro, ha lo scopo di evidenziare un aspetto inquietante degli inceneritori e cioè il loro impatto sulla salute umana e sull’ambiente in generale. Lei sostiene che «tali dati, anche se veri, dicono solo mezza verità, perché trascurano diversi aspetti del complesso problema». Sicuramente ci sono altri aspetti del problema dello smaltimento dei rifiuti, tutti importanti e meritevoli di accuratissima disamina, ma quello dell’impatto sulla salute pubblica li supera tutti di gran lunga e chi opera nel settore sanitario ha in primo luogo il dovere di occuparsi per l’appunto di salute e di ciò che può nuocere alla medesima. Nella sua critica questo aspetto pare essere invece di secondaria importanza.

Per quanto riguarda poi la sua deduzione, secondo cui da questo articolo si evincerebbe la nostra preferenza per la discarica, vorremmo precisare che, sebbene essa non sia la soluzione ideale, è sempre meglio una discarica controllata, piuttosto che una discarica per rifiuti speciali (tossici), come è quella necessaria per lo smaltimento dei fanghi, delle ceneri e delle polveri derivanti dall’inceneritore. Non abbiamo tuttavia fatto alcun elogio per la discarica in nessuna parte dell’articolo.
Alcuni punti della sua lettera richiedono una risposta particolareggiata.
In primo luogo, lei contesta l’ambiguità del titolo: «Bruciare i rifiuti? Una pessima idea». Il titolo non è ambiguo, è univoco: numerosi studi scientifici hanno dimostrato un aumento di malformazioni nei bambini e di tumori, nelle zone dove sono attivi gli inceneritori. Sono lavori dell’Istituto Oncologico Veneto per il rischio di sarcoma, dell’Università di Firenze per i linfomi non Hodgkin, di ricercatori ed epidemiologi di varie parti del mondo, per le malformazioni del palato (labbro leporino) e per l’endometriosi. In particolare lo studio realizzato nella regione Rhone Alpes (comprende i centri di Lione, Nimes e Montpellier) dell’Institut Européen des Genomutations ha constatato un numero considerevole di nascite di bambini malformati correlato alla presenza di inceneritori. Ricordiamo inoltre il recente studio dell’Associazione Cardiologi sul rischio micropolveri e sulla loro diretta responsabilità nella crescita di morti per infarto.

Di seguito lei scrive che le riesce difficile credere all’esistenza di inceneritori che brucino il «tal quale», se non altro perché «sarebbero talmente inefficienti e avrebbero tali problemi di gestione e di emissioni, da non poter funzionare a lungo» e cita come esempio l’inceneritore di Brescia, anche se fonti verificabili (Il Gioale del 12 febbraio 2007) riferiscono che tutti i rifiuti di Brescia finiscono nel termovalorizzatore e, conseguentemente, la raccolta differenziata non ha più motivo di essere fatta. L’affermazione di Paolo Moiola, che lei definisce «semplicemente faziosa», secondo cui «raccolta differenziata ed inceneritore sono strumenti antitetici» risulta dimostrata dai fatti.
Dopo aver illustrato le sue considerazioni, lei indica l’incenerimento come il male minore; facciamo due conti: in base a studi condotti su un modeissimo inceneritore italiano, per ogni tonnellata di rifiuto incenerito si producono 7.600 nanogrammi di diossine, che si ritrovano nelle ceneri pesanti, 2.700 nanogrammi nelle ceneri leggere e 170 nanogrammi nei fumi: in totale per ogni tonnellata di rifiuto incenerito sono 10.470 i nanogrammi di diossine immesse nell’ambiente. Poiché in una tonnellata di attuali rifiuti urbani si trovano mediamente solo 2.700 nanogrammi di diossine, (valore in calo di pari passo alla minore immissione di diossine da attività umane inquinanti) l’affermazione che gli inceneritori sono macchine che, per ridurre i volumi di scarti non pericolosi, producono rifiuti (solidi ed aeriformi) pericolosi, è una affermazione assolutamente corretta. Questo conteggio riguarda la sola diossina, la cui quantità viene quadruplicata dall’inceneritore, ma bisogna sempre considerare anche tutti gli altri veleni, che abbiamo descritto dettagliatamente nell’articolo che lei contesta.

Tra gli inquinanti prodotti dall’incenerimento abbiamo ricordato le polveri sottili e vorremmo aggiungere una breve considerazione sui filtri anti-particolato (FAP), che degradano le polveri fini PM10 riducendone la presenza nelle emissioni (anche dei veicoli a motore).
Bisogna fare molta attenzione perché degradare non vuol dire far scomparire. È stato dimostrato che con il filtro anti-particolato le PM10 vengono combuste e diventano PM2,5 o PM1, che sono molto più pericolose.
Dato che in Italia la legge prevede il monitoraggio delle sole PM10, le aziende hanno trovato questo sistema (legale) che consiste nel trasformare i PM10 prodotti (sottoposti a controllo ambientale) in qualcosa di ancora più fine e pericoloso (che non è sottoposto a controllo).
La pubblica amministrazione dovrebbe prendere atto che la produzione di queste polveri ultra sottili (che prendono il nome di nanopolveri) è molto più nociva per le persone e di conseguenza dovrebbe prescrivere controlli più approfonditi.

È  quanto meno strano, poi, che lei si sia accorto solo delle ultime sette righe e mezzo su otto pagine, per quanto riguarda il monito a nuovi stili di vita perché, ad esempio, quanto lei suggerisce circa il pagamento di una tassa o di una cauzione sui contenitori, in modo da favorie il riutilizzo è stato ampiamente citato nel lavoro, così come il ricorso al riciclaggio.
Probabilmente la sua è stata una lettura un po’ frettolosa, altrimenti si potrebbe pensare, data l’acredine della sua lettera, che la critica al nostro lavoro sia stata dettata più da una forma di cointeressenza con la costruzione e/o la gestione degli inceneritori, che dalla reale ricerca della soluzione meno pericolosa e più idonea per il problema dei rifiuti.

Il nostro comportamento, che lei giudica «un tentativo ideologico e fazioso di indottrinamento», non è volto ad indottrinare i lettori (nel mondo scientifico si procede con dimostrazioni), ma a cercare di fare il possibile per lasciare ai nostri figli e alle generazioni future un mondo meno inquinato. Forse anche fare informazione può servire allo scopo, per cui, consci del fatto che quanto scriviamo può risultare sgradito a qualcuno, tuttavia riteniamo importante invitare i lettori a riflettere.
Infine, per quanto riguarda il suo richiamo «al dovere di grande onestà intellettuale e al dovere di estrema correttezza», le ricordiamo che i professionisti nel settore della salute rispondono al giuramento di Ippocrate, che prevede la tutela della persona e non degli interessi economici, in questo caso, dei costruttori degli inceneritori e dei loro «amici».
La ringraziamo, in ogni caso, per il suo interesse sull’argomento, che ci ha dato la possibilità di approfondire il discorso, in particolare sugli aspetti sanitari.
A disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti, porgiamo cordiali saluti.

Roberto Topino e Rosanna Novara

Roberto Topino e Rosanna Novara

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