Avanti «in Domino»!
Gentile Direttore,
da quando ho capito che quello di cui ci chiederà conto il Signore sarà cosa abbiamo fatto per il prossimo sofferente, il mio impegno è rivolto soprattutto verso i missionari, vera punta di diamante della chiesa, che testimoniano il Signore con la parola e con l’esempio. Devo dire che il suo periodico è fra i migliori, se non il migliore, di quelli missionari per la ricchezza di argomenti, la chiarezza e indipendenza nella denuncia dei misfatti e ingiustizie contro i poveri nel mondo.
Mi sorprende molto il fatto che qualche volta ci siano lettori che, solo perché un articolo denuncia la sopraffazione dei potenti e dei ricchi sulla povera gente, tacciano l’autore come comunista, cattocomunista, prete compagno, ecc.
Mi chiedo: «Ma non sono i cristiani quelli che si devono occupare e combattere per primi per la giustizia sociale e aiutare i bisognosi?».
Caro Direttore, vada avanti tranquillo: Missioni Consolata dà forza ai coraggiosi e scuote le coscienze degli indifferenti.
Buon lavoro! Con stima,
Dante Bersetti
Montemarciano (AN)
Grazie di cuore per l’incoraggiamento ad «andare avanti tranquilli». Il nostro beato Fondatore diceva: «Avanti in Domino!» (nel Signore).
Multinazionale Gisas
Gentile redazione,
in riferimento al vostro articolo «Multinazionale Gisas» (M.C. settembre 2003, ndr), vorrei distanziarmi da quanto detto. Sono in generale d’accordo sulla critica fatta a Benny Hinn e all’emittente Tbne. Ma affermate anche, spero in buona fede: «Per chi volesse conoscere cosa pensa il mondo evangelical italiano che conta 300 mila persone, la Tbne rappresenta un buon strumento, anche se non tutti vi si riconoscono». La realtà è un’altra! Pochi credenti evangelici, inclusi quelli che chiamate «caldi», cioè i carismatici (ai quali io non appartengo, ma che è un movimento trasversale comune al mondo cattolico), si identificano con Benny Hinn o l’emittente di cui parlate.
Credo che sia un atto di diffamazione affermare questo di persone che credono sinceramente nella bibbia. Una caratteristica degli evangelici è (o dovrebbe essere) il non conformarsi agli uomini e a non idolatrare altri esseri umani, ma di coltivare un rapporto personale con Gesù Cristo e a comportarsi come tempio dello Spirito Santo. Certo, è una caratteristica della fallacia umana, il voler avere altri esempi oltre a quello supremo di Gesù Cristo e questo può portare a innalzare eccessivamente persone e non Dio. Ma ciò è comune a ogni religione… Citando un’altra frase: «Un’impresa commerciale quindi? Quando ci troviamo davanti a cifre da capogiro, viene il dubbio che qualcuno lucri alle spalle dei fedeli», ricordo che essa è applicabile anche al mondo cattolico, in cui molti fanno affari a costo dei fedeli…
Vi chiederei quindi, di correggere suddetto articolo in quanto non conforme alla realtà evangelica italiana e, mi auguro, neanche a quella americana…
Annegret Martella
Via e-mail
Fin dall’inizio l’autore dell’articolo distingue chiaramente tra «evangelical» ed «evangelico». Col primo termine viene indicato chi, come Benny Hinn e Tbne, riducano la religione a spettacolo teatrale e prodotto di consumo emotivo. Per cui niente di personale contro gli «evangelici» in generale e quanti seguono Cristo crocifisso e risorto.
Più testimoni
Caro padre Pozzoli,
desidero inviarle i miei più cordiali auguri di buon lavoro per il nuovo incarico di direttore della rivista Missioni Consolata che tanto amo.
L’occasione mi è propizia per esprimerle un desiderio, da me profondamente sentito e condiviso da un numeroso pubblico che giorno dopo giorno testimonia il suo affetto al mondo dei missionari. Per favore dedicate, sulla rivista, molto più spazio alla testimonianza e alla vita dei missionari della Consolata (e dei loro amici) nel mondo. Abbiamo tutti bisogno del loro esempio e di conoscere il loro pensiero e la loro opera.
Apprezzo anche i vari dossier/inchieste che spesso pubblicate. Tuttavia trovo che, alcune volte, tali servizi troverebbero spazio più confacente su altre riviste. Per esempio, il dossier sulla Tv, pubblicato sul numero di aprile di quest’anno, pur se condiviso da me, non ha nulla di pertinente con la rivista. È come se su una rivista di finanza venisse pubblicato un articolo di moda per bambini.
Mi scusi di questi piccoli suggerimenti e buon lavoro!
Giovanni Pirovano
Via e-mail
Grazie per l’amore alla nostra rivista e grazie anche per i suggerimenti. Siamo pienamente d’accordo che, come diceva Paolo vi, «oggi il mondo ha più bisogno di testimoni che di maestri»; e i missionari sono testimoni qualificati e credibili. Purtroppo, non sono molti quelli che osano raccontare la loro vita. Da parte nostra cerchiamo di sfruttare anche le letterine di natale che inviano i nostri missionari.
A riguardo del dossier sulla Tv, ricordiamo la campagna condotta lo scorso anno dalle riviste missionarie in Italia: «Notizie, non gossip», che sembra aver ottenuto qualche risultato (vedi M.C. maggio 2007 p.3). Soprattutto, la Tv fa parte del «primo areopago moderno» da evangelizzare (Redemptoris missio 37).
Il cuore della missione
Cari missionari,
mi capita spesso che la lettura di Missioni Consolata mi provochi l’amarezza di non trovare in essa un aiuto alla mia vita, a ciò in cui credo.
Faccio un piccolo esempio. L’editoriale del numero di aprile del nuovo direttore, come in tante altre occasioni, dopo alcune considerazioni sulla violenza in Colombia che arriva a uccidere anche i missionari, ripone la speranza di una soluzione in strategie etico-sociali, pur necessarie e alle quali non può mancare il contributo di tutti, anche di chi è impegnato direttamente o meno nell’azione missionaria, ma che non rappresentano, a mio avviso, il cuore della missione.
Da una rivista missionaria mi aspetterei che mi ricordasse sempre le ragioni della missione, il nesso concreto tra la fede e l’impegno quotidiano sia dei missionari in paesi lontani, sia del mio qui, dove vivo.
Vorrei che mi venisse confermata la speranza che dà senso al mio sforzo di «servo inutile». «Mia forza e mio canto è il Signore: egli mi ha salvato» si prega nella liturgia delle Lodi con le parole dell’Esodo.
Di questa non corrispondenza mi dispiace, perché i missionari della Consolata sono anche parte della mia famiglia. Spero e prego che lo Spirito, che certamente ha mosso il Fondatore, possa trasparire con sempre maggior chiarezza dalle pagine della rivista, come accade, ad esempio nello stesso numero di aprile, nella presentazione della figura della beata madre Laura Montoya Upegui.
Carlo Viscardi
Via e-mail
Siamo convinti anche noi che le motivazioni di fede e di speranza sono alla base dell’azione missionaria e costituiscono «il cuore della missione», anche se molte volte le diamo per scontate o troppo sottintese.
VIVERE SENZA TV … SI PUO’
V orrei esprimere i miei complimenti per la qualità della rivista che, senza dover ricorrere necessariamente a confronti, non sfigura certo paragonata ad altre di maggior fama e fortuna.
Scrivo a commento del dossier sulla televisione, direi necessario e riuscito. Nella mia famiglia non abbiamo Tv, e non ne sentiamo la mancanza; premetto che la scelta è avvenuta per caso: appena sposati e trasferiti, tra le tante cose da fare «la» abbiamo lasciata fra le ultime necessità. Poi ci siamo accorti che anche «senza di lei» il tempo per fare tutto ciò a cui avremmo tenuto scarseggiava, senza contare la necessità di sacrificarle uno spazio in casa. Con l’arrivo dei figli tempo e spazio si sono ridotti in loro favore e, pur non escludendone l’acquisto, questo viene rimandato a quando «ce ne sarà bisogno».
Non rifiutiamo i Dvd di film, cartoni e i tanto invocati documentari; ma lo schermo del Pc, non collegato a internet, non troneggia come un grande idolo al centro di ogni luogo di vita domestica – cucina, camera da letto – né dove vengono ricevuti gli ospiti.
O ra, un interrogativo che aleggia inespresso nel vostro dossier, ma che non è stato formulato: si può fare a meno di passare ore incollati allo schermo? Vivere senza le fiction, i reality, gli aggioamenti quotidiani sugli amori dei divi, è possibile? E soprattutto senza comprare la Tv?
Spesso mi viene chiesto come faccia a informarmi. Io chiedo di definire l’informazione. Sapere che, ad esempio, in Indonesia si è rovesciato un autobus, causando decine di morti, è importante per la mia «informazione»? Ma anche nell’ambito nazionale, che importanza ha sapere, a distanza di anni dal fatto oltretutto, se effettivamente la perizia psichiatrica fatta e rifatta ha finalmente stabilito se quel determinato assassino era pazzo veramente, o fingeva soltanto, una volta portato in tribunale? Opprimere il nostro cuore di sciagure (in tempi evidentemente altrettanto duri, qualcuno ha detto «il bene è tanto, ma non fa notizia») è informazione? Sapere, o formarsi questa impressione, che in Italia vivono persone che non aspettano altro che esca di casa per truffarmi, cominciando dai comuni che operano false raccolte differenziate dei rifiuti, mi aiuta a proteggermi o alimenta l’emulazione dei disonesti e la sfiducia nel sistema?
D ieci anni or sono il monopolio televisivo era del calcio, fra partite e approfondimenti pre-durante-post. Ora ci sono i reality. Nulla di grave da parte di chi li produce, meglio per chi vi partecipa, grave e colpevole è chi li alimenta: chi è disposto a rinunciare al proprio tempo libero in favore della demenzialità, chi si porta sempre dietro conduttori e partecipanti, chi li elegge a modelli.
Se poi l’invocato documentario è un modo poco faticoso per tentare di colmare lacune liceali, dandoci l’impressione di sapere o affinché l’uomo della strada possa discutere dei «quanti» mi fermo a riflettere anche sulla sua utilità.
Ma spesso osservo che tra la demenzialità, per non dire di peggio, televisiva e quella cartacea c’è poca differenza. Il «buon libro» quale sarebbe? Anche la carta stampata predilige il best seller da spiaggia all’opera ricercata, è massificata, le porcherie dello schermo arrivano in romanzi scritti male e viceversa; nella carta patinata le riviste pseudo scientifiche danno l’impressione di sapere senza dover fare la fatica di imparare. Non credo che oggi i tempi siano più duri, per la Cultura, di secoli or sono: Machiavelli era famoso nella sua epoca per due commedie (Mandragola e Clizia) sboccate e sciatte, dalla trama volgare, non certo per il De Principatibus; e del Decameron ci ricordiamo solo Bruno e Buffalmacco, che ordiscono truffe ai danni del più debole e sprovveduto Calandrino.
Senza perdere la speranza, il vostro richiamo a rimanere sempre vigili è utilissimo, ma domando: fra i teledipendenti che anelano ai muscoli o alle linee perfette, quanti avranno letto il vostro dossier?
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