L’unione fa la forza

Cocopa: oltre la sigla

Fino a qualche anno fa le attività inteazionali degli enti locali italiani erano limitate ad alcune azioni di collaborazione all’interno dei gemellaggi istituzionali,  oppure a donazioni di denaro in seguito ad emergenze (terremoti, inondazioni, ecc.), accoglienza e ospitalità (profughi da zone di guerra, bambini di Ceobyl).
Spesso i comuni hanno finanziato progetti di cooperazione allo sviluppo realizzati da Ong o associazioni di volontariato internazionale, ma il loro ruolo era sostanzialmente di finanziatori senza altra forma di coinvolgimento all’interno dei progetti.
Verso la metà degli anni ’90, gli enti locali hanno iniziato a definire meglio il loro ruolo all’interno della cooperazione allo sviluppo. Ciò  è stato determinato da alcuni fattori.
I processi di inteazionalizzazione e globalizzazione hanno avvicinato molti dei cittadini dei nostri comuni ai drammatici squilibri Nord – Sud e hanno fatto crescere la consapevolezza delle collettività locali, di essere sempre più parte di un sistema interdipendente. Si è capito che ciò che capita a migliaia di chilometri ha effetti in diverse parti del mondo (guerre, violazione dei diritti dei lavoratori in Cina, crack finanziari, atti di terrorismo, fenomeni di immigrazione, emergenze ambientali e climatiche, ecc.). Oggi molti avvertono la necessità di aprirsi al mondo, di coinvolgersi nella riflessione sui modelli di sviluppo, di agire per l’attenuazione degli squilibri e di cercare di dare risposte globali a problemi ormai diventati planetari.
Alcuni insuccessi della cooperazione governativa hanno lasciato nuovi spazi alle amministrazioni locali. Cresce la convinzione che gli eletti (sindaci, consiglieri, ecc.) del Nord e del Sud rappresentino il livello istituzionale più vicino alla popolazione e che conoscano concretamente le problematiche dei cittadini, ma anche le risorse che possono essere messe in gioco. Possono dunque collaborare più efficacemente «dal basso», in modo molto concreto e trasparente.

Dieci anni per la pace

Nel 1996 è nato in provincia di Torino il Coordinamento comuni per la pace (Cocopa) con l’obiettivo di promuovere un’autentica e diffusa cultura di pace attraverso  la realizzazione di progetti concreti e cornordinando l’impegno dei singoli enti in iniziative comuni. Oggi aderiscono al Coordinamento 35 comuni e la provincia di Torino in rappresentanza di circa il 70% della popolazione provinciale.
Il Cocopa ha individuato come uno dei propri ambiti di intervento,  la promozione di progetti consortili di cooperazione decentrata in partenariato con comuni del Sud del mondo e le numerose espressioni della società civile attive sul proprio territorio.
Sulla base di queste riflessioni il Coordinamento ha sviluppato una propria metodologia di lavoro, perfezionata grazie ad un percorso di auto formazione nell’ambito degli «Stati generali della cooperazione» della Regione Piemonte (un percorso triennale di confronto tra enti locali, con la collaborazione di Ong e missionari sulle metodologie e buone pratiche della cooperazione decentrata).
Ne è nato un modello di cooperazione decentrata, o «comunitaria» che non si pone come unico obiettivo la realizzazione di infrastrutture o iniziative di solidarietà, ma in cui sono fondamentali i processi di partecipazione, coinvolgimento e sensibilizzazione dei cittadini.
Una cooperazione in cui si pone al centro il rapporto con le municipalità di Africa e America Latina, spesso fragili e di recente costituzione, cui si riconosce innanzitutto pari dignità e con cui ci si confronta su modelli di sviluppo, sulle modalità di erogazione dei servizi essenziali ai cittadini (anagrafe, educazione, gestione dell’acqua, dei rifiuti, ecc.). Si tratta di lavorare per dare sostanza ai piani di sviluppo elaborati dai partner, adoperandosi affinché contribuiscano a tutelare i diritti fondamentali delle persone e si caratterizzino per una modalità di progettazione e gestione il più possibile partecipata con la cittadinanza.

Scambiando si sviluppa

è un’ idea di una cooperazione che prevede uno scambio tra comunità, in cui i territori e i diversi attori si attivano e si incontrano (amministratori, funzionari, istituzioni scolastiche, associazioni…), in cui il coinvolgimento attivo della struttura comunale diventa risorsa e opportunità per riflettere su questi temi, superare pregiudizi, accrescere il coinvolgimento. Il ruolo dell’ente locale è dunque non solo quello di essere portatore di competenze specifiche utili ai partner, ma di rappresentare un territorio e di mettere in relazione attori diversi.
I progetti sono un’occasione di apertura delle nostre città al mondo, a realtà in passato lontane ora rese più vicine, tangibili. Un modo di conoscere direttamente altre città, di rivedere stereotipi e anche, in maniera critica, le informazioni che ci provengono dai media, costruire davvero una cultura di pace che si fondi sulla relazione diretta tra i popoli, sul mutuo riconoscimento tra comunità, sulla solidarietà.
I comuni hanno scelto di lavorare insieme, dando vita a progetti consortili in cui siano valorizzate le scarse risorse disponibili. Le azioni coinvolgono soggetti diversi avvalendosi della collaborazione di Ong, università, sindacati, associazioni, mondo missionario. Le Ong, ad esempio, spesso mettono a disposizione il loro personale  nei paesi di intervento per il monitoraggio delle attività e per facilitare l’incontro tra gli attori del Sud e del Nord.
Al momento la legislazione italiana in materia di cooperazione decentrata è assai carente. A differenza di altri paesi europei, manca un riconoscimento formale del ruolo degli enti locali nella cooperazione italiana. Senza il quale i fondi ad essa dedicati e l’impegno dei comuni resteranno marginali rispetto agli altri compiti istituzionali.
Un altro rischio è che, in seguito alla continua contrazione delle risorse di cui dispongono, i comuni riducano il loro coinvolgimento attivo, limitando il proprio impegno a finanziare progetti, senza apportare alcun valore aggiunto.

Di Edoardo Daneo

Edoardo Daneo

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