L’Harmattan non ci spaventa
Comminando sul filo tra «primo» e «terzo» mondo
Un gruppo di assessori, funzionari comunali, associazioni e insegnanti sbarcano in un paese saheliano. Incontrano un sindaco e la società civile del suo comune. Il clima è torrido, il sole picchia e la polvere ricopre ogni cosa. Ma i nostri riescono a creare un legame tra le città e i loro abitanti. Con la scusa di un progetto di sviluppo. Reportage.
Aicha ha sette anni. Nel suo zainetto di plastica ha un quaderno con la copertina colorata e una matita. Come ogni giorno percorre i tre chilometri che separano la sua casa dalla scuola, nel villaggio di Tirgo. Siamo nel Nord del Burkina Faso, nei pressi di Ouahigouya, la quarta città del paese. In pieno Sahel, savana secca, spazzata dall’Harmattan, il vento che arriva dal Sahara. La polvere è ovunque, copre ogni cosa, fa parte della vita. Qui sono tutti agricoltori, lavorano per strappare la poca terra rimasta all’avanzata del deserto, ma piove solo tre – quattro mesi all’anno.
Da queste parti, in ambiente rurale, le bambine non vanno a scuola. I genitori preferiscono tenerle a casa e avviarle, fin da piccole, ai lavori domestici. La scuola ha un costo: iscrizione, materiali, divisa. I maschietti hanno più fortuna e magari frequentano le prime due o tre classi di elementari.
Fatimata percorre in bicicletta molti chilometri. Va da un villaggio all’altro per distribuire copie di «Pagb yell goama» (sguardo di donna), una semplice rivista stampata su otto fogli di carta grigia. è scritta in mooré, la lingua più diffusa in questa zona, per sensibilizzare le donne contro l’escissione (mutilazione genitale femminile), il matrimonio forzato, la violenza di cui sono vittime da secoli. Di solito chi legge ad alta voce è circondato da molte che ascoltano.
Awa vive in un quartiere povero di Ouahigouya. Non sapeva né leggere né scrivere e non aveva un mestiere. Ha potuto frequentare per due anni di seguito i corsi di alfabetizzazione e poi una formazione sulla gestione di un piccolo commercio. In seguito ha ottenuto una piccola sovvenzione, che le ha permesso di acquistare alcuni montoni, allevarli e rivenderli.
Aicha, come altre 350 bambine dei villaggi vicini, Fatimata, Awa e le sue compagne, beneficiano di un progetto di cooperazione decentrata nato a fine 2002 grazie alla collaborazione di cinque comuni piemontesi (Rivoli, Moncalieri, Nichelino, Beinasco e Settimo Torinese) membri del Coordinamento comuni per la pace della provincia di Torino e la città di Ouahigouya.
Un legame sempre più forte tra territori italiani e africani. Le attività in Italia puntano a informare i cittadini sul Burkina Faso, paese sconosciuto ai più, nelle scuole, si organizzano mostre fotografiche, proiezioni, si stampano documenti sul tema. è stato anche attivato uno scambio di giovani che ha permesso visite in Piemonte e in Burkina.
Sicurezza alimentare e cellulare
A Ouahigouya, in questi anni, sono pure state realizzate alcune scuole e appoggiata la biblioteca comunale, su richiesta delle autorità della città.
«Ho trovato grosse differenze con la nostra realtà, anche a livello del comune e dei servizi che può offrire. Non ne sono rimasto scioccato perché ero preparato». Angelo Ferrero presidente del Cocopa e assessore alla pace di Moncalieri, descrive così una sua recente visita ai partner burkinabè. «Una cosa che mi ha colpito è che quasi tutti abbiano il cellulare, quando ci sono ancora gravi problemi di sicurezza alimentare. Ho notato, inoltre, che sono piuttosto abituati a fare cooperazione». «Posso parlare di due livelli: i rapporti con le istituzioni, nelle quali ho trovato una buona disponibilità e accoglienza. Si tratta di amministratori pubblici: hanno chiaro l’importanza di avere della cooperazione internazionale sul loro territorio. L’altro livello sono le associazioni: ancora più calorose, ma anche sfacciatamente interessate all’appoggio finanziario».
Il sindaco della città saheliana, Abdoullaye Sougouri, ci spiega l’importanza di questa cooperazione: «Ouahigouya è un comune relativamente vecchio, con molte ambizioni ma mezzi limitati. Adesso è il momento dello sviluppo alla base. Per questo motivo, il sostegno di amici all’estero è determinante, per favorire l’accesso della popolazione ai servizi minimi per tutti. Parlando di educazione, sanità, giovani, molte cose sono realizzate ma molte altre restano da fare. Una sinergia d’azione è quindi fondamentale. Nel corso del 2007 abbiamo elaborato un bilancio di 287 milioni di franchi (ca 437 mila euro). Se guardiamo i servizi che bisogna realizzare nella città, ad esempio per l’acqua, anche se utilizzassimo interamente questa cifra, sarebbe come una goccia nell‘oceano».
Ma la cooperazione tra enti locali deve andare nelle due direzioni, volendo essere il legame tra due territori. Anche se lo squilibrio di risorse finanziarie si fa sentire, gli africani hanno molto da insegnarci.
«Cooperazione è innanzitutto costruire legami tra comunità e città nell’ambito dell’amicizia e della pace. Attraverso questi aspetti si sviluppa la solidarietà, che gioca un grande ruolo. Con gli amici si condividono le stesse preoccupazioni e difficoltà, ecco perché sovente i nostri partner del Nord vengono a sostenerci nelle azioni di sviluppo. Ed è piuttosto l’aspetto finanziario che viene sottolineato, dimenticando le cose fondamentali. Penso che nell’ambito culturale i paesi del Sud possono portare le loro esperienze e contributi, attraverso i legami che si creano». Continua Sougouri.
«Un’altra visione del mondo»
Quarantacinque chilometri più a sud, un’altra città, Gourcy, ha iniziato nel 2005 un percorso di cooperazione con un altro gruppo di comuni piemontesi: Grugliasco, Alpignano, Brandizzo e Pianezza.
Roberto Montà, assessore alla pace di Grugliasco vede così il contributo degli africani al suo comune nella cintura torinese: «Possono trasferirci un’altra visione del mondo utile per amministratori e cittadini. Possiamo superare gli stereotipi nei confronti degli africani. D’altro lato abbiamo da imparare sul piano culturale e sull’approccio ai problemi e alla vita. I nostri bisogni sono molto più generali e sovradimensionati. Il nostro modello di sviluppo è sproporzionato. Per approccio alla vita intendo anche il confrontarci sui nostri modelli di sviluppo. Ad esempio in Africa ho visto che talvolta copiano i nostri modelli. Questo non ha senso. La mia speranza è che ognuno prenda il meglio dei due approcci. Noi dobbiamo capire quali sono le loro esigenze, ma anche il loro valore aggiunto in termini di cultura e visione del mondo. Loro però devono capire che alcuni nostri modelli sono sbagliati».
Il sindaco di Gourcy, Dominique Ouedraogo, replica: «Abbiamo culture molto diverse, noi non abbiamo soldi, ma abbiamo sviluppato quello che in fondo ci può assicurare un minimo di vita, che è la solidarietà. Io conosco l’Europa e penso che questi valori si stiano perdendo. Anche le relazioni umane contano molto nella società africana: il rispetto dei valori tradizionali, dei valori trasmessi dai nostri genitori, ad esempio nell’educazione dei bambini. Qui il rispetto degli anziani impone che un giovane debba obbedire ai suoi genitori, al contrario di quello che vediamo in Europa».
Ma come fare a trasmettersi tutte queste esperienze? «Con gli scambi culturali. Mandateci i piccoli italiani e anche i loro genitori. Diamo la possibilità a qualcuno di venire a vivere le nostre realtà. Si renderanno conto che l’Africa ha qualcosa da condividere: questo calore umano, che non troviamo in Europa, dove invece ognuno va per se. Da noi non immaginiamo qualcuno che viva fuori dall’ambito famigliare, che per noi è sacro. Mentre in Europa vince sempre più l’individualismo nella vita. Penso che con gli scambi e i viaggi, i nostri amici europei possono rendersi conto che hanno perso molte cose».
A Gourcy, città di 80.000 abitanti, i quattro comuni italiani stanno realizzando, grazie anche all’appoggio finanziario della Regione Piemonte, un polo zootecnico, composto da un nuovo mercato del bestiame e un mattatornio. Lo sviluppo di questo programma è previsto in tre anni e vuole diventare un riferimento non solo a livello comunale, ma provinciale. Gourcy ha anche proposto lo sviluppo della biblioteca comunale. Un altro livello di intervento è quello scolastico. Non solo è stata realizzata una scuola elementare ma si è messo in piedi uno scambio tra gli allievi di questa scuola e di una decina di classi di scuole medie ed elementari di Grugliasco e Alpignano. I licei di Grugliasco e il liceo provinciale di Gourcy comunicano via posta elettronica, grazie al progetto.
Collegamento istituzionale
Montà spiega il valore di interagire con un comune africano: «Sul piano istituzionale è riconoscere alle istituzioni locali il ruolo fondamentale sullo sviluppo del loro territorio. Inoltre consente ai comuni italiani di esercitare in prima persona il ruolo di partner di sviluppo e quindi di farsi carico di questo compito sul proprio territorio. Il comune non si limita a dare i soldi in beneficenza, ma controlla l’intero processo. Questo gli permette di interagire, collaborando, relazionandosi e rafforzando colleghi eletti che hanno bisogno di sostegno. La cooperazione tradizionale (governativa, ndr.) è più efficiente, noi siamo più farraginosi, articolati, ma abbiamo la possibilità di mobilitare le coscienze, dialogare con comuni al sud del mondo. Perché, con gli amministratori, dal dialogo può nascere il reciproco interesse, su tematiche comuni, come l’erogazione dei servizi».
Un chiaro esempio di raccordo istituzionale è stato il ruolo giocato dal comune di Orbassano, come ci racconta il sindaco, Mario Marroni, nel distretto di Taraka, in Kenya, nei pressi della missione Mariamanti, della Consolata: «In collaborazione con le autorità locali abbiamo sviluppato il progetto sull’acqua, la costruzione di un acquedotto, promosso da un’associazione locale. Anche grazie al nostro intervento, il governo del Kenya ha poi investito sulla depurazione. La nostra presenza ha facilitato i rapporti con le istituzioni. Il nostro ruolo è creare il collegamento istituzionale nei nostri limiti e possibilità».
Una preoccupazione di un amministratore eletto, che ha dunque un mandato preciso, è anche rendere conto alla popolazione, come racconta Ferrero: «Cerchiamo di fare informazione sul nostro territorio rispetto a questi progetti. Ma penso che siamo ancora carenti. Il cittadino fa fatica a sapere cosa succede. Per spiegarlo, tento di descrivere la situazione nel paese in cui operiamo e le nostre attività. Spesso c’è molta sensibilità e la gente mi chiede cosa può fare, come singoli o associazioni».
Il sistema messo in piedi dal comune di Grugliasco prevede di coinvolgere le diverse realtà del proprio territorio, stimolarle a intraprendere un percorso di cooperazione con realtà similari in Africa e accompagnarle qualora queste iniziative si concretizzino. Roberto Montà ci descrive come: «Ai cittadini diciamo che con i soldi pubblici stiamo portando avanti progetti certi, ben definiti e controllati direttamente da noi. Il comune si assume la responsabilità in toto. Favoriamo la riflessione con tutti i soggetti del nostro territorio, in particolare con il settore scolastico e l’associazionismo. Ci serve per portare a tutta la città l’importanza di questi temi. Per costruire una domanda su base locale di sensibilizzazione e formazione, che punta a fornire gli strumenti per intraprendere in piccolo attività in società in via di sviluppo. Come i gemellaggi di 30 anni fa con i paesi francesi. In questo caso però c’è anche un gap finanziario, che rende necessarie più risorse. Non è un’attività singola ma un cornordinamento generale. Con il nostro progetto consortile in Burkina Faso abbiamo creato un tavolo di lavoro tra le associazioni e abbiamo attivato le nostre scuole per scambi con istituti africani. è una cooperazione organizzata con obiettivi, metodologia, criteri ben precisi. Se il comune riesce a cornordinare in modo generale i vari soggetti che portano avanti questo tipo di cooperazione su base locale è un buon risultato. Per accompagnarli occorre monitorare i loro progetti e aiutarli a reperire risorse. Il comune cornordina ma non è lesivo delle autonomie».
Quel filo tra Nord e Sud
Ma chi esegue progetti di cooperazione decentrata, oltre a scontrarsi con le complessità tecniche e legate al contesto, comuni agli altri progetti di sviluppo, deve affrontare problematiche intrinseche dovute al gran numero e diversità di attori coinvolti. I comuni piemontesi si avvalgono in Burkina Faso dell’appoggio tecnico dell’Ong Cisv di Torino, che mette a disposizione la sua struttura nel paese. «Il problema maggiore riscontrato nella cornordinazione e nella gestione di questi progetti è indubbiamente quello di lavorare “in bilico” tra due realtà diametralmente opposte. è come camminare su un filo che collega direttamente Nord e Sud, primo e terzo mondo, modeità e tradizione, benessere e sottosviluppo. Chi lavora sul campo si trova su questo filo: è il facilitatore nelle relazioni tra gli attori» racconta Fabio Carbone, responsabile della cooperazione decentrata in Burkina Faso per la Cisv. «Chi cornordina questi progetti ha il compito, non facile, di smussare un po’ le divergenze, di far capire agli uni le esigenze e i bisogni degli altri, di metterli a confronto, sempre nel rispetto delle usanze e delle abitudini di chi sta dall’altra parte» continua Carbone.
Aicha torna a casa, dopo una giornata di scuola. Il suo passo leggero percorre uno dei centinaia di sentirneri nella savana burkinabè. Qui le automobili sono molto rare e i più fortunati si spostano in bicicletta. Il caldo inizia a farsi sentire in questa stagione, che in Europa si chiama primavera, ma nel Sahel è solo il periodo più caldo e secco dell’anno. Superiamo i 45 gradi all’ombra e l’acqua scarseggia. è così difficile per Aicha pensare a come sia la giornata tipo di un bambino italiano. Impossibile anche per un suo coetaneo di Moncalieri o Grugliasco, pur dotato di televisione e playstation, immaginare la vita di Aicha. Chissà se, un giorno, queste enormi distanze si ridurranno.
Marco Bello